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Il Malmantile racquistato 01-1

Post n°1557 pubblicato il 01 Maggio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore. 1861)

PRIMO CANTARE

Argomento

Marte, sdegnato perchè il Mondo è in pace,
Corre, e dal letto fa levar la suora:
E in finto aspetto, e con parlar mendace
Mandala a svegliar l'ire in Celidora.
Fa la mostra de' suoi Baldone audace:
Indi all'imbarco non frappon dimora:
E per via narra con che modo indegno
Bertinella occupato avea il suo Regno.


1
Canto lo stocco e 'l batticul di maglia (1),
Onde Baldon sotto guerriero arnese (2),
Movendo a Malmantile aspra battaglia,
Fece prove da scriverne al paese,
Per chiarir Bertinella e la canaglia (3)
Che fu seco al delitto in crimenlese (4),
Del fare a Celidora sua cugina,
Per cansarla del regno, una pedina (5).

2
O Musa che ti metti al Sol di state
Sopra un palo a cantar con sì gran lena,
Che d'ogn'intorno assordi le brigate,
E finalmente scoppi per la schiena;
Se anch'io, sopr'alle picche dell'armate,
Vòlto a Febo, con te vengo in iscena,
Acciocch'io possa correr questa lancia (6),
Dammi la voce, e grattami la pancia (7).

3
Alcun forse dirà ch'io non so cica,
E ch'io farei il meglio a starmi zitto.
Suo danno; innanzi pur; chi vuol dir dica:
Fo io per questo qualche gran delitto?
S'io dirò male, il Ciel la benedica;(8)
A chi non piace, mi rincari il fitto (9).
Non so s'e' se la sanno questi sciocchi,
Ch'ognun può far della sua pasta gnocchi.

4
Mi basta sol se Vostra Altezza (10) accetta
D'onorarmi d'udir questa mia storia
Scritta così come la penna getta,
Per fuggir l'ozio, e non per cercar gloria:
Se non le gusta, quando l'avrà letta,
Tornerà bene il farne una baldoria (11);
Chè le daranno almen qualche diletto
Le monachine quando vanno a letto.

5
Offerta gliel'avea già, lo confesso;
Ma sommene anche poi morse le mani,
Perchè il filo non va nè ben nè presso (12),
E versi v'è che il Ciel ne scampi i cani.
Ma poi ch'ella la vuole, ed io ho promesso,
Non vo' mandarla più d'oggi in domani;
Chè chi promette, e poi non la mantiene,
Si sa, l'anima sua non va mai bene.

6
Ma che? siccome ad un che sempre ingolla
Del ben di Dio (13), e trinca del migliore,
Il vin di Brozzi (14), un pane e una cipolla
Talor per uno scherzo (15) tocca il cuore (16);
Così la vostra idea (17), di già satolla
Di que' libron che van per la maggiore (18),
Forse potrà, sentendosi svogliata,
Far di quest'anche qualche corpacciata.

7
Già dalle guerre le provincie stanche,
Non sol più non venivano a battaglia;
Ma fur banditi gli archi e l'armi bianche
Ed eziam il portare un fil di paglia:
Vedeansi i bravi acculattar le panche,
E sol menar le man sulla tovaglia;
Quando Marte dal ciel fa capolino,
Come il topo dall'orcio al marzolino (19):

8
Chè d'averlo non v'è nè via nè modo,
Se dentr'ad un mar d'olio (20) non si tuffa:
E reputa il padron degno d'un nodo (21),
Che lo lascia indurire e far la muffa,
Così Marte, che vede l'armi a un chiodo
Tutt'appiccate, malamente sbuffa,
Che metter non vi possa su le zampe,
E che la ruggin v'abbia a far le stampe.

9
Sbircia di qua di là per le cittadi
Nè altre guerre o gran campion discerne,
Che battaglie di giuoco a carte e a dadi,
E stomachi d'Orlandi (22) alle taverne.
Si volta, e dà un'occhiata ne' contadi,
Che già nutrivan nimicizie eterne;
E non vede i villan far più quistione,
In fuor che colla roba del padrone.

10
Ond'ei, che in testa quell'umor si è fitto,
Che l'uom si crocchi (23) pur giusta sua possa;
Senza picchiar nè altro, giù sconfitto
L'uscio a Bellona manda in una scossa.
Niun fïata perciò, non sente un zitto,
Perch'ella dorme, e appunto è in sulla grossa;
Poichè la sera avea la buona donna
Cenato fuora e preso un po' di nonna (24).

11
Le scale corre lesto come un gatto:
Poi dal salotto in camera trapassa:
E vede sopra un letto malrifatto,
Ch'ell'è rinvolta in una materassa;
Sta cheto cheto, e con due man di piatto
Batte la spada sopr'ad una cassa:
La qual s'aperse, ed ei, vistevi drento
Robe manesche (25), a tutte fece vento (26).

12
Ma non fa sì che la sorella sbuchi,
Di modo ch'ei la chiama e le fa fretta:
La solletica, e dice: Ovvía, fuor bruchi (27):
Lo spedalingo (28) vuol rifar le letta.
S'allunga e si rivolta come i ciuchi
Ella, che ancor del vino ha la spranghetta (29):
E fatto un chiocciolin(30) sull'altro lato,
Le vien di nuovo l'asino legato (31).

13
Oh corna! disse il re degli smargiassi:
E intanto le coperte avendo preso,
Le ne tira lontan cinquanta passi;
Ma in terra anch'egli si trovò disteso;
O che per la gran furia egli inciampassi;
O ch'elle fusson di soverchio peso;
Basta ch'ei battè il ceffo, e che gli torna
In testa la bestemmia delle corna (32).

14
Ella svegliata allora escì del nidio:
E dicendo che 'n ciò gli sta il dovere,
E ch'ei non ha nè garbo nè mitidio (33),
Non si può dalle risa ritenere;
Cosa ch'a Marte diede gran fastidio:
Ma perch'ei non vuol darlo a divedere,
Si rizza e froda (34) il colpo che gli duole:
Poi dice che vuol dirle due parole.

15
Dì' pur, la dea risponde, ch'io t'ascolto:
Hai tu finito ancora? ovvía dì' presto;
Ma prima di quei panni fa' un rinvolto,
E gettalo in sul letto, ch'io mi vesto.
Quello non sol, ma quanto aveva tolto
Di quella cassa, ei rende, e mette in sesto:
E postosi a seder su la predella (35),
Con gravità dipoi così favella.

16
Sirocchia, male nuove; poichè in terra
Veggiam ch'all'armi più nessuno attende;
Onde il nostro mestiere, idest la guerra,
Che sta in sul taglio (36), non fa più faccende.
Sai che la Morte ne molesta e serra,
Che la sua stregua (37) anch'ella ne pretende;
E se non se le dà soddisfazione,
La ci farà marcir 'n una prigione.

17
Bisogna qui pigliar qualche partito,
Se noi non vogliam ir nella malora:
Ed un ce n'è, ch'è buono arcisquisito,
Qual è, che si risvegli Celidora (38),
C'ha dato un tuffo nello scimunito (39),
Mentre di Malmantil si trova fuora;
E passandola sempre in piagnistei,
Pigra si sta, come non tocchi a lei.

18
Ma come quella, pare a me, che aspetta
Che le piovano in bocca le lasagne,
Senza pensare un Jota alla vendetta,
La sua disgrazia maledice, e piagne.
Or mentre (40) ch'ella in arme non si metta
Per racquistar lo scettro e sue campagne,
Molto male per noi andrà il negozio,
Che muoiam di mattana (41) e crepiam d'ozio.

19
Chi sa? forse costei se ne sta cheta,
Perch'ella vede esser legata corta (42);
Che s'ell'avesse un dì gente e moneta,
Tu la vedresti uscir di gatta morta;
Ma qui Baldon farà dall'A alla Zeta;
(43)So quel ch'io dico, quando dico tórta:
Ritrova tu costei, sta' seco in tuono (44);
Chè quant'al resto, anch'io farò di buono (45).

20
Vattene dunque, e in abito di mago,
Dopo il formar gran circoli e figure,
Conchiudi e dille che tu se' presago
Che presto finiran le sue sciagure:
E quel tuo corazzon pelle di drago (46),
Imbottito d'insulti e di bravure,
Mettile indosso; chè vedra'la poi
Far lo spavaldo più che tu non vuoi.

21
Bellona, che ha il medesimo capriccio
Di far braciuole, va col sarrocchino (47)
E col bordone e un bel barbon posticcio,
Sembrando un venerabil pellegrino:
E fatto di parole un gran piastriccio,
Esser dicendo astrologo e indovino,
Che vien di quel discosto più lontano (48),
La ventura le fa sopr'alla mano.

Note:

(1) CANTO LO STOCCO ecc. Dice il nostro Poeta in modo ridevole ciò che gli epici tutti col solito Canto le armi; e nomina lo stocco, specie dì spada che ha forma quadrangolare, e il batticulo, parola già usata per giuoco a, significare il giaco, arma del dosso.
(2) GUERRIERO ARNESE, Insegne militari, apparato bellico, e forse anche, fortezza, luogo fortificato. - Quando altri fa cosa da nulla e se ne vanta come di prodezza, gli si dice: hai fatto assai; scrivi al paese, e il modo è preso dal fatto di quei che, andati alla guerra, d'altro non iscrivono al paese che di lor geste.
(3) PER CHIARIR. Scaponire, sgarire, far ricredere e pentire del fare ecc.
(4) DELITTO IN CRIMENLESE, di lesa maestà.
(5) FARE UNA PEDINA è fraudare altri di ciò ch'egli è vicino a conseguire. Qui intende fraudarla del regno. Modo preso dal giuoco degli scacchi.
(6) CORRER QUESTA LANCIA.Tirare a fine quest'opera: dai giuochi degli anfiteatri.
(7) GRATTAMI LA PANCIA. Fa' tu a me, divenuto cicala, ciò che a te si suole, per farti cantare. Grattare il corpo a uno vale, cercare di cavargli di bocca un segreto, o cosa almeno ch'e' non vuol dire.
(8) IL CIEL LA BENEDICA. Pazienza, quel che è fatto è fatto.
(9) MI RINCARI IL FITTO, quasi il fisso, il fissato; come dicesse: mi faccio io forse pagare? usa per dire: non temo le male lingue.
(10) VOSTRA ALTEZZA Il cardìnale Leopoldo de' Medici.
(11) BALDORIA è fiamma di materie aride, che presto finisce, fatta per lo più per allegria. - Quelle faville che prima di spengersi errano per le ceneri della carta arsa, diconsi dai bambini LE MONACHINE che VANNO A LETTO.
(12) NÈ, BEN NÈ  PRESSO, Tutti intendono: nè bene nè presso a bene. Ma poichè l'immagine è dal tessere, non potrebbe voler dire: il filo non va spedito bene, né s'accosta presso agli altri, sì che la tela riesca uguale?
(13) BEN DI DIO. Grazia di Dio, vivande squisite.
(14) BROZZI è luogo sotto Firenze, che dà, o dava, un vino debole.
(15) PER UNO SCHERZO. Per istravizio o tornagusto.
(16) TOCCA IL CUORE. Va al cuore, gusta moltissimo.
(17) IDEA. Intelletto mente.
(18) VAN PER LA MAGGIORE. Sono di prima classe; qui, di gran dottrina. Il modo è dai magistrati delle Arti di Firenze, le quali dividevansi in Maggiori o Minori.
(19) MARZOLINO è un cacio che s'incomincia a lavorare di marzo nella Valdelsa in Toscana: e il migliore è quello di Lucardo.
(20) UN MAR D'OLIO. L'olio in cui si tiene immerso il marzolino, per conservarlo.
(21) NODO, laccio, forca
(22) STOMACO D'ORLANDO vale, Uomo di gran coraggio; ma qui l'aggiunta alle taverne, dà alla frase il senso proprio, che torna tanto più ridicolo.
(23) CROCCHIARE, è il cantare della chioccia; esprime pure il suono di un vaso di terra cotta gesso; vale anche cicalare, e qui percuotere, dar busse.
(24) PIGLIAR LA NONNA. Il Minucci dice che questo modo è lo stesso che pigliar la mónna, imbriacarsi: ma il Biscioni afferma che il secondo modo soltanto è in uso, e così legge l'edizione di Finaro.
(25) MANESCHE. Qui, pronte e comode a valersene.
(26) FECE VENTO. Fece quel che il vento fa alle cose leggieri, che le porta via.
(27) FUOR BRUCHI. Via di qua, esci dal letto.
(28) LO SPEDALINGO. Il guardiano degli spedali ove si ricettano i pellegrini, per destarli e avvisarli che è tardi, suol gridare: S'hanno a rifar le letta.
(29) LA SPRANGHETTA o stanghetta è un particolare dolor di capo o stordimento che prova al destarsi chi ha bevuto troppo vino.
(30) FARE UN CHIOCCIOLINO. Raggrupparsi come la chiocchiola.
(31) LEGAR L'ASINO. Il villano preso per via dal sonno, lega l'asino a un ramo, e si mette a dormire.
(32) GLI TORNA IN TESTA ecc. Si fa in fronte un corno, un bernoccolo, un biccio, come dicono a Siena.
(33) MITIDIO. Giudizio, ordine. È parola corrotta da metodo.
(34) FRODA. Nasconde, dissimula
(35) PREDELLA. Questa voce di varii significati, qui rappresenta quel mobile che oggi comunemente chiamiamo comodino.
(36) MESTIERE CHE STA IN SUL TAGLIO, nel senso ovvio vorrebbe dire: Mestiere di chi vende drappi a braccia, al minuto, cioè tagliandoli. Ma qui significa: Mestiere che consista nel tagliare, e tagliar uomini.
(37) STREGUA. Qui, porzione dovuta, dazio.
(38) SI RISVEGLI dalla sua inerzia, Celidora, che trovasi fuor del suo Stato di Malmantile, per esserne stata cacciata da Bertinella.
(39) DARE UN TUFFO, nello scimunito, nel pazzo o simile vale fare atto, o diportarsi da scimunito, da pazzo ecc.
(40) MENTRE. Finchè.
(41) MATTANA. Malinconia.
(42) LEGATA CORTA. Non ha forze bastanti, come cavallo che se è legato a corto, non può fare grandi sforzi
(43) SO QUEL CH'IO DICO ecc. Il Pulci nel suo Morgante nomina la tórta per significare un'altra cosa; poi aggiunge: So quel ch'io dico quando dico tórta. Questo verso è passato in proverbio per esprimere. M'intend'io.
(44) STA' SECO IN TUONO. Vacci d'accordo.
(45) FAR DI BUONO. Giocar di danari e non di nulla; e perciò, stare attento, operare con ogni attenzione.
(46) CORAZZON Fatto di PELLE DI DRAGO.
(47) SARROCCHINO. Mantello cortissimo di cuoio o di tela incerata.
(48) CHE VIEN più da lungi che da qual siasi più lontano luogo: ossia, di lontanissimo. Forse invece di quel è da leggere qual.

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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