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La Secchia Rapita 11-1

Post n°1347 pubblicato il 09 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

CANTO UNDECIMO

ARGOMENTO

Il conte di Culagna entra in furore,
e sfida a duellar Titta prigione.
Ma, sciolto che lo vede, ci perde il core,
e cerca di fuggir dal paragone.
Vi si conduce al fine: e perditore
un nastro rosso il fa de la tenzone.
De la vittoria sua spande la nuova
Titta, e pentito poi se ne ritrova.

        1
Poiché la fama al fin con mille prove
mostrò l'infamie sue scoperte al conte,
e gli fece veder come si trove
con la corona d'Atteone in fronte,
contra la moglie irato in forme nuove
si volse a vendicar l'ingiurie e l'onte;
e per farla morir con vituperio
l'accusò di veleno e d'adulterio.

        2
Per tutto il campo allor si fe' palese
quel ch'era prima occulto o almeno in forse.
La donna francamente si difese,
e le querele in lui tutte ritorse;
e fe' rider ognun quando s'intese
com'ella seppe al suo periglio opporse,
e d'inganno pagar l'ingannatore,
ch'ebbe poscia a cacar l'anima e 'l core.

        3
Il conte, che si vede andar fallato
contra la moglie il suo primier disegno,
pensa di vendicarsi in altro lato,
e volge contra Titta ogni suo sdegno.
sa che per ritrovarsi imprigionato,
per forza ha da tener le mani a segno.
lo chiama traditor solennemente
e aggiugne che se 'l nega, ei se ne mente;

        4
e che gliel proverà con lancia e spada
in chiuso campo a publico duello;
e perché la disfida attorno vada,
la fa stampar distinta in un cartello;
e vantasi d'aver trovata strada
da non potere in qual si voglia appello
d'abbattimento o giusto o temerario
sottoporsi al mentir de l'avversario.

        5
Ma gli amici di Titta avendo intesa
la disfida, s'uniro in suo favore;
e feron sí che la sua causa presa
e terminata fu senza rigore:
anzi, perch'ei serviva in quella impresa
contra Bologna e 'l Papa suo signore,
fu scarcerato come ghibellino
senza fargli pagar pur un quattrino.

        6
Sciolto ch'ei fu, rivolse ogni pensiero
a la battaglia pronto e risoluto;
preparò l'armi e preparò il destriero,
né consiglio aspettò, né chiese aiuto.
Poco avanti da Roma un cavaliero
nel campo modanese era venuto,
di casa Toscanella, Attilio detto:
e fu da lui per suo padrino eletto.

        7
Questi era un tal piccin pronto ed accorto,
inventor di facezie e astuto tanto,
che non fu mai Giudeo sí scaltro e scorto
che non perdesse in paragone il vanto.
Uccellava i poeti, e per diporto
spesso n'avea qualche adunata a cantO;
ma con modi sí lesti e sí faceti,
che tutti si partían contenti e lieti.

        8
In armi non avea fatto gran cose,
però ch'in Roma allor si costumava
fare a le pugna, e certe bellicose
genti il governator le castigava.
ma egli ebbe un cor d'Orlando, e si dispose
d'ire a la guerra, perché dubitava
de' birri, avendo in certo suo accidente
scardassata la tigna a un insolente.

        9
Il conte allor che vide al vento sparsi
tutti i disegni e 'l suo pensier fallace,
cominciò con gli amici a consigliarsi
se v'era modo alcun di far la pace.
vorrebbe aver taciuto, e ritrovarsi
fuor de la perigliosa impresa audace;
ché sente il cor che teme e si ritira,
e manca l'ardimento in mezzo a l'ira.

        10
Ma il conte di Miceno e 'l Potta stesso
e Gherardo e Manfredi e 'l buon Roldano
gli furo intorno, e 'l vituperio espresso,
dov'ei cadea, gli fêr distinto e piano.
indi promiser tutti essergli appresso,
e la pugna spartir di propria mano;
ond'ei riprese core, e per padrino
s'elesse il conte dI San Valentino.

        11
Questi, che ne la scherma avea grand'arte,
subito gl'insegnò colpi maestri
da ferire il nemico in ogni parte,
e modi da parar securi e destri;
indi rivide l'armi a parte a parte
del cavaliero e i guernimenti equestri.
ma un petto, senza cor, che l'aria teme,
non l'armerían cento arsenali insieme.

        12
La notte a la battaglia precedente,
che fra i due cavalier seguir dovea,
volgendo il conte l'affannata mente
al periglio mortal ch'egli correa,
ricominciò a pensar tutto dolente
di nol voler tentar, s'egli potea;
e innanzi l'alba i suoi chiamò fremendo,
un gran dolor di ventre aver fingendo.

        13
Il padrin, che dormía poco lontano,
tutto confuso si destò a quell'atto;
con panni caldi e una lucerna in mano
Bertoccio suo scudier v'accorse ratto:
e 'l barbier de la villa e 'l sagrestano
di Sant'Ambrogio v'arrivaro a un tratto;
e 'l provido barbier, ch'intese il male,
gli fe' subitamente un serviziale.

        14
Ed egli per non dar di sé sospetto,
cheto se 'l prese e si mostrò contento;
ma fingendo che poi non fésse effetto,
né prendesse il dolore alleggiamento,
chiamò gli amici e i servidori al letto,
e disse che volea far testamento;
onde mandò per Mortalin notaio,
che venne con la carta e 'l calamaio.

        15
La prima cosa lasciò l'alma a Dio,
e lasciò il corpo a quell'eccelsa terra
dov'era nato, e per legato pio
danari in bianco e quantità di terra.
indi tratto da folle e van desio
a dispensar gli arredi suoi da guerra,
lasciò la lancia al Re di Tartaria
e lo scudo al Soldan de la Soria;

        16
la spada a Federico Imperatore
ed al popol romano il corsaletto;
a la reina del mar d'Adria, onore
del secol nostro, un guanto e un braccialetto;
l'altro lasciollo a la città del Fiore,
e al greco Imperator lasciò l'elmetto:
ma il cimier, che portar solea in battaglia,
ricadeva al signor di Cornovaglia.

        17
Lasciò l'onore a la città del Potta,
poi fe' del resto il suo padrino erede.
D'intorno al letto suo s'era ridotta
gran turba intanto, chi a seder, chi in piede;
fra' quali stando il buon Roldano allotta,
che non prestava a le sue ciance fede,
gli dicea a l'orecchia tratto tratto:
- Conte, tu sei vituperato a fatto.

        18
Non vedi che costor t'han conosciuto
che per tema tu fai de l'ammalato?
Salta su presto, e non far piú rifiuto;
ché tu svergogni tutto il parentato.
Noi spartiremo e ti daremo aiuto
subito che l'assalto è incominciato. -
Il conte si ristrigne e si lamenta,
e si vorría levar, ma non s'attenta.

        19
Di tenda in tenda in tanto era volata
la fama di quell'atto, e ognun ridea.
Renoppia, che non era ancor levata,
un paggio gli mandò che gli dicea
che stava per servirlo apparecchiata,
e accompagnarlo in campo; e ben credea
ch'egli si porterebbe in tal maniera
ch'ella n'avrebbe poscia a gire altiera.

        20
Quest'ambasciata gli trafisse il core
e destò la vergogna addormentata:
e cominciaro in lui viltà ed onore
a combatter la mente innamorata.
S'alza a sedere, e dice che 'l dolore
mitigato ha il favor de la sua amata,
e s'adatta a vestir, ma la viltade
finge che 'l dolor torni, e giú ricade.

        21
E la pittrice già de l'oriente
pennelleggiando il ciel de' suoi colori
abbelliva le strade ad dí nascente,
e Flora le spargea di vaghi fiori;
quindi usciva del sole il carro ardente,
e di raggi e di luce e di splendori
vestiva l'aria, il mar, la piaggia e 'l monte,
e la notte cadea da l'orizonte:

        22
quando comparve il conte di Miceno
col medico Cavalca in compagnia.
Il medico a l'orina in un baleno
conobbe il mal che l'infelice avía;
e fattosi recare un fiasco pieno
di vecchia e dilicata malvagía,
gli ne fece assaggiar tre gran bicchieri;
ed ei pronto gli bebbe e volontieri.

        23
Cominciò il vino a lavorar pian piano,
e a riscaldar il cor timido e vile,
e a mandar al cervel piú di lontano
stupido e incerto il suo vapor sottile:
onde il conte gridò ch'era già sano,
che 'l dolor gli avea tolto il vin gentile,
e balzando del letto i panni chiese,
e tosto si vestí l'usato arnese.

        24
Indi tratto fremendo il brando fuora,
tagliò Zefiro in pezzi e l'aura estiva,
e se non era il suo padrino, allora
a la battaglia senz'altr'armi ei giva.
L'almo liquor che i timidi rincora
puote assai piú che la virtú nativa;
ben profetò di lui l'antica gente
ch'era sovra ogni re forte e possente.

        25
Or mentre s'arma, ecco Renoppia viene
e 'l coraggio gli adoppia e la baldanza,
che con dolci parole e luci piene
d'amor gli fa d'accompagnarlo instanza.
Egli che 'l foco acceso ha ne le vene,
commosso da desio fuor di speranza
e da furor di vino, ambo i ginocchi
a terra inchina; e dice a que' begli occhi:

        26
- O del cielo d'Amor ridenti stelle
onde de la mia vita il corso pende;
d'amorosa fortuna ardenti e belle
ruote dove mia sorte or sale, or scende;
imagini del sol , vive facelle
di quel foco gentil che l'alme incende,
il cui raggio, il cui lampo, il cui splendore
ogn'intelletto abbaglia, arde ogni core:

        27
occhi de l'alma mia, pupille amate,
lucidi specchi ove beltà vagheggia
sé stessa; archi celesti ond'infocate
quadrella aventa Amor ch'in voi guerreggia;
de le vostre sembianze onde il fregiate,
cosí splende il mio cor, cosí lampeggia,
ch'ei non invidia al ciel le stelle sue,
benché sian tante, e voi non piú che due.

        28
Come a i raggi del sole arde d'amore
la terra e spiega la purpurea veste;
cosí a i vostri be' raggi arde il mio core,
e di vaghi pensier tutto si veste.
Quest'alma si solleva al suo fattore,
e ammira in voi di quella man celeste
le meraviglie, e dal mortal si svelle,
o degli occhi del ciel luci piú belle.

        29
Rimiratemi voi con lieto ciglio
del cieco viver mio lumi fidati,
siate voi testimoni al mio periglio,
e scorgetemi voi co' guardi amati;
ché fia vana ogni forza, ogni consiglio:
cadrà l'empio e fellon ne' propri aguati,
e non che di pugnar con lui mi caglia,
ma sfiderò l'inferno anco a battaglia. -

        30
Cosí detto risorge, e 'l destrier chiede
tutto foco ne gli atti e ne' sembianti;
e fa stupire ognun che l'ode e vede
sí diverso da quel ch'egli era innanti.
Ma Titta armato già dal capo al piede
con armi e piume nere e neri ammanti
in campo era comparso, accompagnato
dal solo suo padrin senz'altri a lato.

        31
La desïosa turba intenta aspetta
che venga il conte, e mormorando freme;
s'empiono i palchi intorno, e folta e stretta
corona siede in su le sbarre estreme;
e da i casi seguiti omai sospetta
che 'l conte ceda, e la sua fama preme.
Quando a un tempo s'udîr trombe diverse
da quella parte, e 'l padiglion s'aperse.

 
 
 
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