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Il Trecentonovelle 71-75

Post n°1345 pubblicato il 09 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Il Trecentonovelle
di Franco Sacchetti

NOVELLA LXXI

Uno Frate romitano di quaresima in pergamo a Genova ammaestra ch'e' Genovesi debbano fare buona guerra.

E' non è molt'anni che trovandom'io in Genova di quaresima, e andando, com'è d'usanza, la mattina alla chiesa, fui alla chiesa di Santo Lorenzo, dove predicava in quell'ora un frate romitano, ed era la guerra tra Genovesi e Viniziani; e in quelli dí li Viniziani aveano forte soprastato a' Genovesi. Ora, accostandomi e porgendo gli orecchi per udire alquanto, le sante parole e' buoni esempli che io gli udi' dire furono questi. E diceva:
- Io sono Genovese, e se io non vi dicessi l'animo mio, e' mi parrebbe forte errare; e non abbiate a male, ché io vi dirò il vero. Voi siete appropiati agli asini; la natura dell'asino è questa: che quando molti ne sono insieme, dando d'uno bastone a uno, tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual fugge là, tanto è la lor viltà; e questa è proprio la natura vostra. Li Viniziani sono appropiati a' porci, e sono chiamati Viniziani porci, e veramente egli hanno la natura del porco, però che essendo una moltitudine di porci stretta insieme, e uno ne sia o percosso o bastonato, tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi gli percuote; e questa è veramente la natura loro: e se mai queste figure mi parvono proprie, mi paiono al presente. Voi percotesti l'altro dí li Viniziani: e' si sono serrati verso voi a lor difesa e a vostra offesa; e hanno cotante galee in mare con le quali v'hanno fatto e sí e sí; e voi fuggite chi qua e chi là, e non intendete l'uno l'altro; e non avete se non cotante galee armate: egli n'hanno presso a due tanti. Non dormite, destatevi, armatene voi tante che possiate, se bisogna, non che correre il mare, ma entrare in Vinegia.
Poi fa fine a queste parole, dicendo:
- Non l'abbiate a male, ché io serei crepato, s'io non mi fusse sfogato.
Or questa cotanta predica udi' io, e torna' mi a casa; l'avanzo lasciai udire agli altri. Avvenne per caso quel medesimo dí che nel luogo de' mercatanti, essendo io dov'erano in un cerchio e Genovesi, e Fiorentini, e Pisani, e Lucchesi, e ragionandosi de' valenti uomini, disse uno savio Fiorentino che ebbe nome Carlo degli Strozzi:
- Per certo voi Genovesi siete gli migliori guerrieri e piú prod'uomini che siano al mondo: noi Fiorentini siamo da fare l'arte della lana, e nostre mercanzie.
Ed io risposi:
- E' c'è ben la ragione.
Il perché tutti dissono:
- Come?
E io rispondo:
- Li nostri frati, quando predicano a Firenze, ci ammaestrano del digiuno e dell'orare, e che dobbiamo perdonare, e che dobbiamo seguire la pace e non far guerra; li frati che predicano qui insegnano tutto il contrario; però che in questa mattina ritrovandomi in Santo Lorenzo, io porsi gli orecchi a un frate romitano che predicava; gli ammaestramenti e gli esempli che il populo qui poté udire furono questi: - e raccontai ciò che avea udito.
Tutti si maravigliorono: e allora da chi aveva udito com'io, ne seppono la verità, e ciò udito, dissono che io aveva ragione; e parve a tutti una nuova predica.
E cosí siamo spesse volte ammaestrati, tanto è ampliata la nostra fede, salendo tale in pergamo che Dio il sa quanta sia la loro prudenza, o la loro discrezione.


NOVELLA LXXII

Un Vescovo dell'ordine de' Servi al luogo della chiesa loro di Firenze, dicendo le piú nuove cose del mondo, e le piú stolte, tira a sé di molta gente.

La novella passata mi tira a dire quello che, fra l'altre nuove predicazioni che facea, disse un dí un Vescovo dell'ordine de' Servi nella loro chiesa in Firenze in sul pergamo predicando. Questo Vescovo lavaceci, vogliendo ammaestrare nel vizio della gola, riprendea gli Fiorentini dicendo:
- Voi siete molto golosi; e' non vi basta magnare le pastinache fritte, ché voi le mettete ancora nell'agliata cotta; e quando mangiate li ravazzuoli, non vi basta, quando hanno bollito nel pignatto, mangiarli con quel buglione, ché voi gli traete del loro proprio brodo e friggeteli in un altro pignatto, e poi gli minestrate col formaggio.
E molte altre cose simili che tutte veníano dalla sua profonda celloria.
E in questa medesima predica, che credo fosse quel dí della Assunzione, venendo a dire come Cristo n'andò in cielo, comincia a dire:
- E' n'andò ratto piú che cosa che si potesse dire. Come n'andò ratto? andonne come uccello che volasse? piú; andonne come freccia che uscisse d'arco? piú; o come strale che uscisse di balestro? piú; come n'andò? Come se mille paia di diavoli ne l'avessino portato.
Udendo questa cosí bella predica, mi ritrovai in quel dí col Priore dell'ordine, e domandolo qual scrittura dicesse quello che quel Venerabile Mellone aveva detto in pergamo; ed egli rispose ch'egli era de' piú valenti uomini che avesse l'ordine, ma ch'elli credea che per infirmità ch'egli avea aúto fusse alcun'ora impedito nella mente; e io risposi che quella infirmità era continua e ch'ella durava troppo, però che in ogni predica che facea, dicea cose simili a quelle o vie piú nuove, per sí fatta forma che la gente correa piú al detto frate per avere diletto delle sue dolci parole, che non andavono per divozione alla Nunziata per avere da lei grazia. Riconobbono il loro errore, che 'l faceano predicare, e la stoltizia di colui che predicava; e disposono lui della predica, e feciono predicare un altro. E pensa tu, lettore, che frate costui potea essere; ché passando io scrittore poi ad alcun dí per Mercato Vecchio, costui era sopra un paniere di fichi, e dicea alla forese:
- O donna, quante fiche date vui per un dinaro?
E comprandole le mangiava in piazza.
Le cose stratte fuori di forma, e nuove di scienza, e con sciocchezza adornate nelle sue prediche, furono tante che lingua appena le potrebbe contare, non che io scrivere. Tanto dico che, essendo costui cosí scorto, la gente lasciava l'altre predicazioni, e correano alla sua; essendogli fatte alcuna volta di nuove cose, e fra l'altre gli vidi un dí conficcare la cappa su le sponde del pergamo, e altre cose assai; e tanto se n'avvedea dell'altrui beffe quanto farebbe una bestia.
E questi tali ci ammaestrano spesse volte, e noi cosí appariamo che manco fede abbiamo l'un dí che l'altro.
Questo frate tenea oppinione che quando il nostro Signore andò in cielo che n'andasse cosí veloce e ratto come avete udito. Uno mio amico veggendo il dí dell'Ascensione all'ordine de' frati del Carmine di Firenze, che ne faceano festa, il nostro Signore su per una corda andare in su verso il tetto, e andando molto adagio, dicendo uno:
- E' va sí adagio che non giugnerà oggi al tetto.
E quel disse:
- Se non andò piú ratto, egli è ancor tra via.


NOVELLA LXXIII

Maestro Niccolò di Cicilia, predicando in Santa Croce, gittò un motto verso il Volto santo, il qual è... , e fa rider tutta la gente.

Avendo narrato le dua precedenti novelle di quelli due smemorabili frati, mi si fa innanzi a dire una novelletta de un valentissimo maestro in teologia dell'ordine di Santo Francesco, il quale ebbe, o ancora ha (però che non so s'egli è vivo) nome maestro Niccola di Cicilia. E acciò che questa novelletta mostri il suo fondamento, è da sapere che questi valenti frati minori che sono stati, o ancora che sono in Cicilia, giammai non soffersono, dove abbiano possuto, che 'l Volto santo si dipinga in alcun luogo loro, e sono stati malvoglienti di chi mai n'ha fatto dipignere alcuno.
Capitò questo maestro Niccola nella nostra città per una questione che aveva mosso contro a lui uno Inquisitore de' frati predicatori in Cicilia; e andavasi a diffinire in Corte dinanzi al Sommo Pontefice, nel tempo ch'e' Fiorentini ebbono guerra co' pastori della Chiesa. E sentendosi per Firenze la profonda scienza del maestro Niccola, fecionlo pregare dovesse predicare qualche dí, egli predicò tre feste, l'una dello Spirito Santo, l'altra della Trinità, la terza del Corpo di Cristo; tutte altissime materie e da non meno valente uomo che fusse elli.
Essendo una di queste feste in pergamo il dí dopo desinare, ed essendovi moltissima gente, fra l'altre cose, giugnendo in una parte, volendo dare ad intendere l'essenzia del nostro Signore Jesu Cristo, dice:
- Com'è fatta la faccia di Cristo?
E furioso si volge verso il Volto santo dicendo:
- Non è fatta come la faccia del Volto santo che è colà che ben ci vegno a crepare, se Cristo fu cosí fatto.
E detto questo, si ritorna a quello che avea a dire.
La predica comincia a ridere, e ridi e ridi, tanto che per buona pezza né il detto Maestro poteo dire, né altri ascoltare. E io scrittore mi trovai con un altro valente frate maestro in teologia, che avea nome maestro Ruggieri di Cicilia nella detta chiesa; vidi certi che 'l pregavano se volea acconciare una questione, mandasse per Dino di Geri Tigliamochi (questo Dino avea fatto fare quello Volto santo); rispose maestro Ruggieri:
- Questo Dino che voi dite che io mandi per lui, è quello Dino che ci ha posto quel Volto santo colae?
Dissono di sí; e que' disse:
- Se tutti gli pianeti avessono disposto che questo accordo si facesse, adoperandosi questo Dino in ciò, lo farebbe discordare, immaginando ch'el ci abbia fatto porre questo Volto santo in questo luogo.
E mai non volle mandare per lui.
E cosí questi due valenti uomini con cosí fatta piacevolezza vollono mostrare e mostravono a chi andava alle loro camere che del nostro Signore avevano figure assai, senza cercare di cose nuove; e che il nostro Signore e di viso e d'ogni membro fu il piú bel corpo che fusse mai e che questo Volto santo che parea uno mascherone era il contrario.


NOVELLA LXXIV

Messer Beltrando da Imola manda un notaio per ambasciadore a messer Bernabò, il quale, veggendolo piccolino e giallo, il tratta come merita.

Egli è poco tempo che, essendo messer Beltrando degli Alidosi signore d'Imola, mandò un notaio per ambasciadore a messer Bernabò signore di Melano, il qual notaio avea nome ser Bartolomeo Giraldi, omicciuolo sparuto, piccolissimo, tutto nero e giallo, con gli occhi giallissimi, che parea se gli fosse sparto su il fiele. Giugnendo costui dove era il signore, trovò che era su una scala, per salire a cavallo, e 'l cavallo era ivi, e' famigli già alla staffa. Fatta la riverenza questo ambasciadore cosí fatto, e messer Bernabò dalla prima volta in su, non che lo guardasse, ma tenea volto il viso in altra parte, e dicea:
- Di' pur via ciò che tu vuogli.
E cosí, costui dicendo, e messer Bernabò mostrandoli le rene, chiamò a sé un suo famiglio e disse:
- Va', sella il tale cavallo, e allungali le staffe quanto puoi, e menalo subito qui.
Il famiglio andò presto, e menò il cavallo nella forma che il signore avea detto. Come 'l signore vide il cavallo, chiamò il famiglio, e disse:
- Quando io vel dico, o accennerò, aiutate porre a cavallo questo ambasciadore, e non raccorciate le staffe.
E come disse, cosí fu fatto; ché messer Bernabò disse:
- Messer l'ambasciadore, sali su quel cavallo, e verra' con mi parlando.
E detto questo, salí il signore a cavallo, e l'ambasciadore ciò veggendo, volendo salire sul cavallo delle staffe lunghe, e non potendo, fu da' famigli postovi su, come un fanciullo. El signore cavalca tosto; e costui, non avendo modo né d'acconciarsi, né da raccorciar le staffe, cavalca come puote. Questo cavallo, che 'l signore avea fatto venire, sempre andava aizzato e intraversando; e messer Bernabò dicea:
- Dite ciò che voi volete; lasciate pure andare il cavallo.
E non lo guardava però in viso, se non poco. Costui s'andava con le gambucce spenzolate a mezzo le barde, combattendo e diguazzando; e quello cotanto che diceva, lo dicea con molte note, come se dicesse uno madriale, secondo le scosse che avea, che non erano poche. E messer Bernabò quanto piú il vedea diguazzare, piú dicea:
- Di' pur oltre i fatti tuoi, ché io t'intenderò bene.
Brievemente egli il menò quattr'ore a questa maniera, che assai volte fu l'ambasciadore per rassegnarsi in terra, e mai non poté mettersi e' panni sotto, né acconciarsi, sí che le cosce, non che le gambe, non portasse scoperte. Alla fine tutto lacero, come quello che avea poco prosperità, ritornò col signore alla corte, donde s'era partito, piú giallo e piú cattivelluccio che mai; e 'l signore, sceso che fu, disse che ben gli risponderebbe, e andò suso.
Quando l'ambasciadore ne scese, s'attaccoe agli arcioni, lasciandosi spenzolare; e non giugnendo a un braccio a terra, fu, per una volta che 'l cavallo diede, presso che caduto. Alla fine assai debolmente si posò in terra ferma; e mai non poté andare innanzi al signore, stando in Melano piú di quindici dí; e, s'ebbe risposta, gli fu fatta per altrui, e tornossi al signore che l'avea mandato.
Il quale, udito dal giallo ambasciadoruzzo come era stato trattato, s'avvisò che messer Bernabò aveva ciò fatto per la strutta e dolorosa apparenza del suo ambasciadore, il quale parea uno rigogolo piú tosto che persona.
Molto si dovrebbe piú guardare, quando l'uomo manda gli ambasciadori, che non si fa. Vogliono essere attempati e savi, e apparenti; altrimenti chi gli manda n'ha poco onore, e vie meno eglino che sono mandati. E cosí intervenne a questo ambasciadore giallo detto di sopra.


NOVELLA LXXV

A Giotto dipintore, andando a sollazzo con certi, vien per caso che è fatto cadere da un porco; dice un bel motto; e domandato d'un'altra cosa, ne dice un altro.

Chi è uso a Firenze, sa che ogni prima domenica di mese si va a San Gallo; e uomini e donne in compagnia ne vanno là su a diletto, piú che a perdonanza. Mossesi Giotto una di queste domeniche con sua brigata per andare, ed essendo nella via del Cocomero alquanto ristato, dicendo una certa novella, passando certi porci di Sant'Antonio, e uno di quelli correndo furiosamente, diede tra le gambe a Giotto per sí fatta maniera che Giotto cadde in terra. Il quale aiutatosi da sé e da' compagni, levatosi e scotendosi, né biastemò i porci, né disse verso loro alcuna parola; ma voltosi a' compagni, mezzo sorridendo, disse:
- O non hanno e' ragione? ché ho guadagnato a mie' dí con le setole loro migliaia di lire, e mai non diedi loro una scodella di broda.
Gli compagni, udendo questo, cominciorono a ridere, dicendo:
- Che rileva a dire? Giotto è maestro d'ogni cosa; mai non dipignesti tanto bene alcuna storia quanto tu hai dipinto bene il caso di questi porci.
E andaronsene su a San Gallo; e poi tornando da San Marco, e da' Servi, e guardando, com'è usanza, le dipinture, e veggendo una storia di nostra Donna e Josefo ivi da lato, disse uno di costoro a Giotto:
- Deh dimmi, Giotto, perché è dipinto Josef cosí sempre malinconoso?
E Giotto rispose:
- Non ha egli ragione, che vede pregna la moglie, e non sa di cui?
Tutti si volsono l'uno all'altro, affermando, non che Giotto fusse gran maestro di dipignere, ma essere ancora maestro delle sette arti liberali. E tornatisi a casa, narrorono poi a molti le due novelle di Giotto, le quali furono tenute parole proprio di filosofo dagli uomini che avevono intendimento. Grande avvedimento è quello di uno vertuoso uomo, come fu costui.
Molti vanno e guardano piú con la bocca aperta, che con gli occhi corporei, o mentali; e però qualunche vive non può errare d'usare con quelli che piú che lui sanno, però che sempre s'impara.

 
 
 
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