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La Secchia Rapita 10-2

Post n°1341 pubblicato il 08 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

        33
Voi che reggete il fren di questo regno
potete vendicar di nostro padre
e di nostro fratel l'obbrobrio indegno,
armando in terra e in mar diverse squadre.
Né già piú glorioso o bel disegno,
né piú famose prove e piú leggiadre
poteva in terra o in mar da parte alcuna
al valor vostro appresentar fortuna.

        34
Io, se non fossi donna, andrei con questa
mano a spianar le temerarie mura;
né vorrei che giammai l'iniqua gesta
si vantasse d'aver parte sicura,
se prima non venisse in umil vesta
con una fune al collo o la cintura
a chiedermi perdono e a consegnarmi
il mio fratello e la cittade e l'armi.

        35
Ah Dio! perché fui donna, o non usai
a l'armi, al sangue anch'io la destra molle? -
Qui sfavillò di sí cocenti rai,
che trafisse il meschin ne le midolle.
Trema il cor come fronda; e tutto omai
fuor di ghiaccio rassembra e dentro bolle:
vorría stender la man, vorría rapire;
ma un segreto terror smorza l'ardire.

        36
Al fin con voce tremula risponde:
- Sorella mia, reina mia, Dea mia,
andrò nel foco, andrò per mezzo a l'onde,
e nel centro per voi, s'al centro è via.
Lo scettro di mio padre in queste sponde,
con libero voler, tutto ho in balía:
disponetene voi come v'aggrada,
ché vostro è questo core e questa spada. -

        37
Cosí dicendo apre le braccia e crede
strigner de la sorella il vago petto:
ma l'amorosa Dea che 'l rischio vede,
subito si ritira e cangia aspetto.
Ne la forma immortal sua prima riede;
e alzandosi ne l'aria, al giovinetto
versa, al partir, dal bel purpureo grembo
sopra di rose e d'altri fiori un nembo.

        38
- O bellezza del ciel viva immortale,
dove fuggi da me? perché mi lassi?
Né mi concedi almen, che in tanto male
io possa in te sbramar quest'occhi lassi? -
Cosí parlava il giovane reale;
e intanto rivolgea gli afflitti passi
a l'onda giú dove l'attende il legno,
disegnando d'armar tutto quel regno.

        39
Ma il conte di Culagna avendo intanto
vista Renoppia uscir del padiglione,
rassettato il collar, la barba e 'l manto
e tiratosi in fronte un pennacchione,
l'era gita a incontrar da un altro canto,
salutandola quasi in ginocchione;
ond'ella instrutta di sue degne imprese
l'avea chiamato a sé tutta cortese.

        40
E avendo il suo valor molto esaltato,
la dispostezza e 'l fior de l'intelletto,
giurato avea di non aver trovato
chi piú paresse a lei degno suggetto
de l'amor suo, quand'ei non fosse stato
in nodo marital congiunto e stretto:
onde il burlar de la donzella avía
posto il meschino in strana frenesia.

        41
Trovollo Titta in un solingo piano
ch'ei passeggiava a l'ombra d'una noce,
e gía fra sé con la corona in mano
parlando, a passo or lento, ora veloce.
Come egli vide il cavalier romano,
gli si fece a l'orecchia, e a mezza voce
- Frate, gli disse, per uscir di doglie
io son forzato avvelenar mia moglie.

        42
A me certo ne spiace in infinito,
ma cosí porta la crudel mia stella. -
Quindi gli narra quanto era seguito,
e quel che detto gli ha Renoppia bella.
Mostra di rimaner Titta stupito,
e lo chiama felice in sua favella:
- Conte, tu se' nu Papa, e t'aio detto
che no' ce che te pozza stare a petto. -

        43
Gli va poscia di bocca ogni pensiero
cacciando a poco a poco, e lo millanta:
ed ei, com'è di cor pronto e leggiero,
si ringalluzza e si dimena e canta.
Gli scuopre de l'interno il falso e 'l vero,
e del disegno rio si gloria e vanta.
Nota Titta ogni cosa, e lo conforta
ch'alcun non saprà mai chi l'abbia morta.

        44
Era Titta per sorte innamorato
de la moglie del conte, e mentre fue
ne la città, con atti a lei mostrato
l'avea e con voci a le serventi sue.
Or che si vede il modo apparecchiato
di far che resti il mal accorto un bue,
scrive il tutto a la donna, e in che maniera
il pazzo rio d'attossicarla spera.

        45
Lo ringrazia la donna, e cauta osserva
gli andamenti del conte in ogni parte,
e informa del periglio ogni sua serva,
perché sieno a guardarla anch'esse a parte.
Il conte, fisso già ne la proterva
sua voglia, tratto avea solo in disparte
il medico Sigonio, e in pagamento
offertogli in buon dato oro ed argento,

        46
se gli prepara un tossico provato,
cui rimedio non sia d'alcuna sorte:
dicendo che di fresco avea trovato
la moglie che gli fea le fusa torte,
e ch'avea risoluto e terminato
di darle di sua man condegna morte.
Lungamente pregar si fe' il Sigonio,
e al fin gli diè una presa d'antimonio.

        47
Per tossico se 'l piglia il conte; e passa
a Modana improviso una mattina;
saluta la moglier che non si lassa
conoscer sospettosa, e gli s'inchina.
Va scorrendo la casa e al fin s'abbassa,
per dispensare il tossico, in cucina;
ma la trova guardata in tal maniera
che non sa come fare, e si dispera.

        48
Torna a salir su per l'istessa scala
tutto affannato e conturbato in volto:
e aspetta fin che sian portati in sala
i cibi, e su la mensa il pranzo accolto.
Allora corre, e la minestra sala
de la moglier col cartoccin disciolto,
fingendo che sia pepe, e a un tempo stesso
scuote la peparola ch'avea appresso.

        49
La cauta moglie e sospettosa viene,
e mentre ch'ei le man si lava e netta,
gli s'oppone co' fianchi e con le rene,
e la minestra sua gli cambia in fretta:
mostra che s'è lavata, e siede e tiene
l'occhio pronto per tutto, e non s'affretta
a mettersi vivanda alcuna in bocca
che non abbia il marito in prima tocca.

        50
Il conte in fretta mangia e si diparte,
ché non vorria veder la moglie morta.
Vassene in piazza ov'eran genti sparte
chi qua, chi là, come ventura porta.
Tutti, come fu visto, in quella parte
trassero per udir ciò ch'egli apporta.
Egli cinto d'un largo e folto cerchio
narra fandonie fuor d'ogni superchio.

        51
E tanto s'infervora e si dibatte
in quelle ciance sue piene di vento,
ch'eccoti l'antimonio lo combatte
e gli rivolta il cibo in un momento.
Rimangono le genti stupefatte;
ed egli vomitando, e mezzo spento
di paura, e chiamando il confessore,
dice ad ognun ch'avvelenato more.

        52
Il Coltra e 'l Galiano, ambi speziali,
correan con mitridate e bollarmeno,
e i medici correan con gli orinali
per veder di che sorte era il veleno.
Cento barbieri e i preti co i messali
gl'erano intorno e gli scioglieano il seno,
esortandolo tutti a non temere
e a dir devotamente il Miserere .

        53
Chi gli ficcava olio o triaca in gola,
e chi biturro o liquefatto grasso;
avea quasi perduta la parola,
e per tanti rimedi era già lasso:
quand'ecco un'improvisa cacarola
che con tanto furor proruppe a basso,
che l'ambra scoppiò fuor per gli calzoni
e scorse per le gambe in su i taloni.

        54
- O possanza del ciel, che cosa è questa?
disse un barbier quando sentí l'odore;
questo è un velen mortifero ch'appesta,
io non sentii giammai puzza maggiore.
Portatel via, che s'egli in piazza resta,
appesterà questa città in poche ore. -
Cosí dicea, ma tanta era la calca,
ch'ebbe a perirvi il medico Cavalca.

        55
Come a Montecavallo i Cardinali
vanno per la lumaca a concistoro
stretti da innumerabili mortali
per forza d'urti e con poco decoro;
cosí i medici quivi e gli speziali
non trovando da uscir strada né fòro,
urtati e spinti, senza legge e metro
facean due passi innanzi e quattro indietro.

        56
Ma poiché l'ambracane uscí del vaso
e 'l suo tristo vapor diffuse e sparse;
cominciò in fretta ognun co' guanti al naso
a scostarsi dal cerchio e a ritirarse;
e abbandonato il conte era rimaso,
se non ch'un prete allor quivi comparse,
ch'avea perduto il naso in un incendio,
né sentia odore; e 'l confessò in compendio.

        57
Confessato che fu, sopra una scala
da piuoli assai lunga egli fu posto,
e facendo a quel puzzo il popol ala,
il portâr due facchini a casa tosto:
quivi il posaro in mezzo de la sala,
chiamaro i servi, e ognun s'era nascosto;
fuor ch'una vecchia, che v'accorse in fretta
con un zoccolo in piede e una scarpetta.

        58
Già pria la nuova in casa era venuta
che 'l conte si moriva avvelenato:
onde la moglie accorta e proveduta
aveva in fretta il suo destrier sellato:
e in abito virile e sconosciuta
con un cappello in testa da soldato
tacitamente già s'era partita,
e a trovar Titta al campo era fuggita.

        59
A cui fatto saper con lieto aviso
che l'attendea del conte un paggio in sella
per cosa di suo gusto, a l'improviso
l'avea fatto venir dove stav'ella.
Com'egli alzò le luci al vago viso,
tosto conobbe la sua donna bella,
onde s'avventa, e de l'arcion la prende,
e la si porta in braccio a le sue tende.

        60
E baciandola in bocca avidamente
or la strigne or la morde or la rimira;
ed ella in lui, fra cupida e dolente,
le belle luci sue languida gira.
Parve l'atto ad alcun poco decente
che l'ebbero per maschio a prima mira:
né distinguendo ben dal pèsco il fico,
dicevano di lui quel ch'io non dico.

        61
Stette tutto quel giorno il conte in letto,
tutta la notte e la seguente ancora,
sempre con gran timor, sempre in sospetto
di doversi morire ad ora ad ora:
ond'ebbero gli amanti agio a diletto
di star anch'essi e l'una e l'altra aurora,
giunti a goder de le sciocchezze sue,
discorrendo fra lor com'ella fue.

        62
Già Titta dal Sigonio intesa avea
la beffa del veleno, e l'avea detta
a la donna gentil che ne ridea
e godeva fra sé de la vendetta,
disegnando di star, s'ella potea,
col nuovo amante e non mutar piú detta:
poiché questa le par tanto sicura
che sarebbe pazzia cangiar ventura.

        63
Ma il conte poi che fu certificato
dal collegio de' medici ch'egli era
fuor di periglio, a la campagna armato
uscí per ritrovar la sua mogliera.
Al campo venne: e quivi indizio dato
gli fu del suo caval da la sua schiera,
cui sopra un giovinetto era venuto,
né l'un né l'altro piú s'era veduto.

        64
Il conte di trovarlo entra in pensiero,
e vuol saper chi 'l giovinetto sia;
e promette gran premio a chi primiero
indizio gli ne porta o gli ne invia.
La mattina seguente uno scudiero
gli dice che 'l caval veduto avía
ne le tende di Titta, e 'l premio chiede,
ma il conte ride e 'l suo parlar non crede.

        65
E manda un uomo suo, ch'a Titta dica
quel che gli fa saper l'accusatore.
Giura Titta che questa è una nemica
fraude per sciorre un sí leale amore:
ma fra tanto si studia e s'affatica
di far tignere il pel del corridore
con un color di sandali alterato,
e di leardo il fa sauro bruciato.

        66
Poi chiama il conte, e fa vedergli in prova
tutti i cavalli suoi cosí al barlume.
Il conte che 'l candor del suo non trova
e che di Titta ciò mai non presume,
si scusa che non gli era cosa nuova
de la sua limpidezza il chiaro lume.
ma tace che da lui fuggita sia
la donna che trovar cerca e desia;

        67
e gli giura ch'un paggio gli ha rubato
il suo caval né sa dove sia gito;
ma se può ritrovarlo in alcun lato,
che 'l tristo ladroncel farà pentito.
Titta, che già si vede assicurato,
comincia a ruminar nuovo partito
di ritenersi ancor la donna appresso,
senza che ne sospetti il conte stesso.

        68
Con lei s'accorda, e trova acqua stillata
da scorza fresca di matura noce;
e 'l bel collo e la faccia dilicata
de la donna e le man bagna veloce;
si disperde il candore, e sembra nata
in Mauritania, là dove il sol cuoce:
d'un leonato scuro ella diviene,
ma grazia in quel colore anco ritiene.

        69
Come panno di grana in bigio tinto
ritiene ancor de la beltà primiera,
e nel morto color d'un nero estinto
purpureggiar si vede in vista altera;
cosí di quella faccia il color finto
ritiene ancor de la bellezza vera,
splende nel fosco, e de' begli occhi il lume
folgoreggia anco al solito costume.

        70
D'una giubba azzurrina ornata d'oro
quindi ei la veste e le ricopre il seno;
e tutta d'un leggiadro abito moro
l'adorna sí, che non gli piace meno.
Indi la mostra al conte e dice: - I' moro
per questa ingrata schiava e spasmo e peno;
e a lei di me non cal, né so che farmi:
pregala conte mio che voglia amarmi. -

        71
Il conte la saluta in candiotto,
ed ella gli risponde in calabrese:
- Bella mora, ei dicea, deh fate motto
al signor vostro e siategli cortese. -
Ella volgendo a Titta un guardo ghiotto,
sporge la bocca, ed ei con voglie accese
que' baci incontra, e da' bei labbri sugge
l'alma di lei che sospirando fugge.

        72
Teneva il conte immoto e stupefatto
a gli amorosi baci i lumi intenti,
e gli parea che Titta fosse matto
a sentir per colei pene e tormenti.
Durava quella beffa lungo tratto:
se non che de la giovane i parenti
seppero il tutto e fer saperlo al Potta,
e subito la tresca fu interrotta.

        73
Il Potta fe' condur segretamente
la donna fuor del campo; e perché Titta
percosse in quella mena un insolente
birro e gli fu grave querela scritta,
fe' pigliarlo anche lui subitamente,
e in carcere condur per la via dritta
a la città per metterlo in palazzo,
quand'egli cominciò fiero schiamazzo:

        74
ch'era pariente de gliu Papa, e ch'era
baron romano, e gir bolea en castello.
Ma il buon fiscal Sudenti e 'l Barbanera
giudice criminale, e Andrea Bargello
gli mostrar con destrissima maniera
che l'albergo in palazzo era piú bello,
e che l'avrian parato e ben fornito;
onde a la fin d'andar prese partito.

Fine del canto decimo

 
 
 
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