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La Secchia Rapita 10-1

Post n°1340 pubblicato il 08 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

CANTO DECIMO

ARGOMENTO

A Napoli se 'n va la Dea d'amore,
e 'l principe Manfredi a l'armi accende.
Al conte di Culagna infiamma il core
Renoppia, che di lui gioco si prende.
E d'uccider la moglie entra in umore
con veleno, e sé stesso incauto offende.
Fugge la moglie al campo, e si procaccia
d'amante, e fagli al fin le corna in faccia

        1
Il carro de la Notte era già fuora
del cerchio che divide Africa e Spagna,
e non dormiva e non posava ancora
il glorioso conte di Culagna.
Va tra sé rivolgendo ad ora ad ora
con quant'onore in campo egli rimagna,
poiché mercé di sua felice stella
l'incantato guerrier tratto ha di sella.

        2
Quindi pensando a la cagion che spinto
Melindo avea su 'l favoloso legno,
pargli non pur del ricco scudo vinto,
ma de la bella donna esser piú degno.
Gli somministra il naturale istinto
e la ragion del suo elevato ingegno,
che poiché 'l campo il cavalier gli cede,
d'ogn'onor, d'ogni premio il lascia erede.

        3
E su questo pensier vaneggia in guisa,
che di Renoppia già si finge amante,
e le bellezze sue fra sé divisa
cupidamente, e n'arde in un istante.
Or ne' begli occhi suoi tutto s'affisa,
or ne gli atti leggiadri, or nel sembiante;
e come lusingando il va la speme,
or gioisce, or sospira, or brama, or teme.

        4
Moglie giovane e bella ei possedea,
ma ogni pensier di lei se n'è fuggito;
e in questo nuovo amor s'interna e bea
tanto, che pargli il ciel toccar col dito.
Cosí la carne già ch'in bocca avea
su 'l fiume il can d'Esopo, un dí schernito
lasciò cader nel fuggitivo umore,
per prender l'ombra sua ch'era maggiore.

        5
Tutta la notte andò girando il conte
le piume, senza mai prender riposo;
e Febo già con l'infiammata fronte
rimovendo dal ciel l'aer ombroso,
colta l'Aurora avea su l'orizonte
ignuda in braccio al suo Titon geloso;
ond'ella rossa in volto, alzando il petto
con la camicia in man fuggia del letto.

        6
Quand'il conte levato anch'egli mosse
colà dove Renoppia era attendata,
cantando a l'improviso a note grosse
sopra una chitariglia discordata:
e giudicando che la lingua fosse
di gran momento a intenerir l'amata,
s'affaticava in trovar voci elette
di quelle che i Toscan chiamano prette.

        7
- O, diceva, bellor de l'universo,
ben meritata ho vostra beninanza;
ché 'l prode battaglier cadde riverso,
e perdé l'amorosa e la burbanza.
Già l'ariento del palvese terso
non mi brocciò a pugnar per desianza;
ma di vostra parvenza il bel chiarore,
sol per vittoriare il vostro quore. -

        8
Cosí cantava il conte innamorato
a lei che del suo amor fra sé ridea.
Ma Venere fra tanto in altro lato
le campagne del mar lieta scorrea:
un mirabil legnetto apparecchiato
a la foce de l'Arno in fretta avea;
e movea quindi a la riviera amena
de la real città de la Sirena,

        9
per incitar il Principe novello
di Taranto ad armar gente da guerra,
e liberar di prigionia il fratello
che chiuso sta ne la nemica terra.
Entra ne l'onda il vascelletto snello,
spiega la vela un miglio o due da terra;
siede in poppa la Dea, chiusa d'un velo
azzurro e d'oro a gli uomini ed al cielo.

        10
Capraia adietro e la Gorgona lassa,
e prende in giro a la sinistra l'onda;
quinci Livorno, e quindi l'Elba passa
d'ampie vene di ferro ognor feconda;
la distrutta Faleria in parte bassa
vede, e Piombino in su la manca sponda,
dov'oggi il mare adombra il monte e 'l piano
l'aquila del gran re de l'Oceàno.

        11
Tremolavano i rai del sol nascente
sovra l'onde del mar purpuree e d'oro;
e in veste di zaffiro il ciel ridente
specchiar parea le sue bellezze in loro:
d'Africa i venti fieri e d'Oriente
de le fatiche lor prendean ristoro;
e co' sospiri suoi soavi e lieti
sol Zefiro increspava il lembo a Teti.

        12
Al trapassar de la beltà divina
la Fortuna d'amor passa e s'asconde.
L'ondeggiar de la placida marina
baciando va l'inargentate sponde.
Ardon d'amore i pesci, e la vicina
spiaggia languisce invidiando a l'onde;
e stanno gli amoretti ignudi intenti
a la vela, al governo, a i remi, a i venti.

        13
Quinci e quindi i delfini a schiere a schiere
fanno la scorta al bel legnetto adorno;
e le ninfe del mar pronte e leggiere
corron danzando e festeggiando intorno.
Vede l'Umbrone ove sboccando ei père
e l'isola del Giglio a mezzogiorno;
e in dirupata e ruinosa sede
monte Argentaro in mezzo a l'onde vede.

        14
Quindi s'allarga in su la destra mano,
e lascia il porto d'Ercole a mancina;
vede Civitavecchia, e di lontano
biancheggiar tutto il lido e la marina.
Giaceva allora il porto di Traiano
lacero e guasto in misera ruina;
strugge il tempo le torri e i marmi solve
e le machine eccelse in poca polve.

        15
Già la foce del Tebro era non lunge,
quando si risvegliò Libecchio altiero
che 'n Libia regna, e dove al lido giunge,
travalca sopra il mar superbo e fiero:
vede l'argentea vela, e come il punge
un temerario suo vano pensiero,
vola a saper che porti il vago legno,
e intende ch'è la Dea del terzo regno.

        16
Onde orgoglioso, e come invidia il muove,
a Zefiro si volge e grida: - O resta,
o io ti caccierò nel centro dove
non ardirai mai piú d'alzar la testa.
A te la figlia del superno Giove
non tocca di condur: mia cura è questa,
va' tu a condur le rondini al passaggio,
e a far innamorar gli asini il maggio. -

        17
Zefiro, ch'assalito a l'improviso
da l'emulo maggior quivi si mira,
ne manda in fretta al suo fratello aviso,
che su l'Alpi dormiva, e 'l piè ritira:
corre Aquilon, tutto turbato in viso,
ch'ode l'insulto, e freme di tant'ira
che fa i tetti cader, gli arbori svelle,
e la rena del mar caccia a le stelle.

        18
Libecchio che venir muggiando insieme
i due fratelli di lontano vede,
si prepara a l'assalto, e già non teme
del nemico furor, né il campo cede:
tutte raguna le sue forze estreme,
e dal lido african sciogliendo il piede,
chiama in aiuto anch'ei di sua follía
Sirocco regnator de la Soria.

        19
Vien Sirocco veloce, onde s'accende
una fiera battaglia in mezzo a l'onde.
Si turba il ciel, si turba l'aria, e stende
densa tela di nubi e 'l sol nasconde:
fremono i venti e 'l mar con voci orrende,
risonano percosse ambe le sponde:
e par che muova a' suoi fratelli guerra
l'ondoso scotitor de l'ampia terra.

        20
Si spezzano le nubi e foco n'esce
che scorre i campi del celeste regno:
il foco e l'aria e l'acqua e 'l ciel si mesce;
non han piú gli elementi ordine o segno;
s'odono orrendi tuoni, ognor piú cresce
de' fieri venti il furibondo sdegno,
increspa e inlividisce il mar la faccia
e l'alza contra il ciel che lo minaccia.

        21
Già s'ascondeva d'Ostia il lido basso,
e 'l Porto d'Anzio di lontan surgea,
quando sentí il romor, vide il fracasso
che 'l ciel turbava e 'l mar, la bella Dea:
vide fuggirsi a frettoloso passo
le Ninfe dal furor de la marea;
onde tutta sdegnosa aperse il velo
e dimostrò le sue bellezze al cielo.

        22
E minacciando le tempeste algenti
e le procelle e i turbini sonanti,
cacciò del ciel le nubi, e gli elementi
tranquillò co' begli occhi e co' sembianti.
Corsero tutti ad inchinarla i venti
a le minacce sue cheti e tremanti;
ella in Libecchio sol le luci affisse,
e mordendosi il dito irata disse:

        23
- Moro, can, senza legge e senza fede,
t'insegnerò, con queste tue contese,
come si tratta meco e si procede,
e ti farò tornare in tuo paese. -
Quel s'inginocchia e bacia il divin piede
chiede perdon de l'impensate offese;
e fa partendo in Africa passaggio:
segue la navicella il suo viaggio.

        24
Le donne di Nettun vede su 'l lito
in gonna rossa e col turbante in testa:
rade il porto d'Astura, ove tradito
fu Corradin ne la sua fuga mesta:
or l'esempio crudele ha Dio punito
ché la terra distrutta e inculta resta;
quindi Monte Circello orrido appare
col capo in cielo e con le piante in mare.

        25
S'avanza, e rimaner quinci in disparte
vede Ponzia diserta e Palmarola,
che furon già de la città di Marte
prigioni illustri in parte occulta e sola.
Varie torri su 'l lido erano sparte:
la vaga prora le trascorre e vola;
e passa Terracina, e di lontano
vede Gaeta a la sinistra mano.

        26
Lascia Gaeta, e su per l'onda corre
tanto ch'arriva a Procida e la rade,
indi giugne a Puzzòlo, e via trascorre,
Puzzòlo che di solfo ha le contrade;
quindi s'andava in Nisida a raccorre,
e a Napoli scopría l'alta beltade:
onde dal porto suo parea inchinare
la Regina del mar, la Dea del mare.

        27
Da Nisida la Dea spedisce un messo
al principe Manfredi, e 'n terra scende;
e cangia volto, e 'l bel sembiante espresso
de la contessa di Caserta prende.
Il principe e costei d'un padre stesso
nacquero, se la fama il vero intende,
ma di madri diverse, e fur nudriti
per alcun tempo in differenti liti.

        28
Condotti in corte poi fanciulli ancora
ne l'albergo real crebbero insieme
senza riguardo, in fin che venne l'ora
che 'l fior di nostra età spunta col seme;
erano gli anni quasi uguali, e allora
de l'uno e l'altro le bellezze estreme;
onde il fraterno amor, non so dir come,
strano incendio divenne e cangiò nome.

        29
Sospettonne osservando i gesti e i visi
il padre, e maritò la giovinetta:
ma i corpi fur, non gli animi divisi,
e restò l'alma in servitú ristretta.
Or che vede venir con lieti avisi
Manfredi il messaggier da l'isoletta,
cuopre la poppa d'una navicella,
e solo e chiuso va da la sorella.

        30
Trovolla a piè d'una distrutta ròcca,
che passeggiava in un giardino ameno.
Subito scende; e, come Amore il tocca
corre e l'abbraccia e la si strigne al seno,
e la bacia ne gli occhi e ne la bocca,
e da la Dea d'amor tanto veleno
con que' baci rapisce e tanto foco,
che tutto avvampa e non ritrova loco.

        31
Volea iterar gli abbracciamenti e i baci,
ma con la bella man la Dea s'oppose,
e respignendo l'avide e mordaci
labbia, si tinse di color di rose.
- Frenate, signor mio, le mani audaci
e le voglie, dicea, libidinose;
ché non son questi a gli andamenti, a i cenni
baci fraterni, e udite perch'io venni. -

        32
Il principe ristette: ed ella, poi
che d'Enzio il fiero caso ebbe narrato,
ch'estinto il fior de' cavalieri suoi
prigioniero pugnando era restato,
le lagrime asciugando: - Or, disse, a voi
che mio padre in sua vece ha qui lasciato,
tocca mostrar, s'in voi non mente il sangue,
che la destra di Svevia ancor non langue.

 
 
 
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