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La Secchia Rapita 08-2

Post n°1329 pubblicato il 07 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

        34
A questa Apollo già fe' privilegi
che rimanesse incontro al tempo intatta,
e che la fama sua con vari fregi
eterna fosse in mille carmi fatta:
onde i sepolcri de' superbi regi
vince di gloria un'insepolta gatta.
Ugon su l'armi e ne la sopraveste
un pardo d'oro e 'l campo avea celeste.

        35
La squadra di Vicenza ultima guida
Naimiero Gualdi, a la sembianza fuore
amico d'Ezzelin che se ne fida,
ma non risponde a la sembianza il core.
Quel campo non avea scorta piú fida,
d'ogni bellica frode era inventore;
ma facea 'l goffo, e si tenea col Papa,
e ne la finta insegna avea una rapa.

        36
Egli era un uom d'anni cinquantadui,
dotto e faceto e con le guance asciutte,
solito sempre a dar la baia altrui,
ché sapea tutti i motti di Margutte.
Gran turba di villani avea con lui
con occhi stralunati e ciere brutte,
ch'armati di balestre e ronche e scale
nati a posta parean per far del male.

        37
Valmarana, Arcugnan, Pilla e Fimone,
Sacco e Spianzana guida; ove le chiome
de la Betia cantò su 'l Bachiglione
Begotto e 'l volto e l'acerbette pome,
e dove la sampogna di Menone
fe' risonar de la Tietta il nome;
e Montecchio e la Gualda, Olmo e Cornetto,
e trenta ville e piú di quel distretto.

        38
Dopo l'ultime squadre il cavaliero
che dovea comandar, solo veniva
sovra un baio corsier macchiato a nero,
con armi di color di fiamma viva;
ondeggiava su l'elmo il gran cimiero,
pompeggiando il caval se stesso giva,
e avea dietro e dinanzi e d'ambo i lati
Greci per guardia e Saracini armati.

        39
Mentre s'armano questi a la vendetta
del famoso figliol di Federico,
l'un campo e l'altro su 'l Panaro aspetta
che stanco si ritiri il suo nemico.
Quinci e quindi si veglia; e a la vedetta
stanno continue guardie a l'uso antico
con archi e balestroni a canto a gli argini
che scopano del fiume i nudi margini.

        40
L'architetto maggior mastro Pasquino
fe' molte botti empier di maccheroni,
altre di biscottelli, altre di vino,
e ne formò ripari e bastioni;
onde i soldati sempre a capo chino
stavano a custodir le guarnigioni,
fin ch'a trattar del fin de le contese
furon per dieci dí l'armi sospese.

        41
Ed ecco comparir due ambasciatori,
l'un con la veste lunga e incappucciato,
e l'altro in su le grazie e in su gli amori
con la spada e 'l pugnal tutto attillato:
il primo è del Collegio e de' Signori,
e 'l dottor Marescotti è nominato;
il secondo di Rodi è cavaliero,
di Casa Barzellin, detto frà Piero.

        42
Questi venían per ritentar se v'era
partito alcun di racquistar la Secchia,
avendo udito già per cosa vera
che 'l Tiranno Ezzelin l'armi apparecchia.
Furo onorati e si fermâr la sera,
né trattar piú de la proposta vecchia;
ma di cambiar la Secchia in que' baroni,
eccetto il Re, ch'essi tenean prigioni.

        43
Il Potta, che 'l disegno a' cenni intese,
rispose lor ch'era miglior riguardo
finir tutte le liti e le contese,
e barattar la Secchia col Re sardo,
e 'l Duca di Cremona e 'l Gorzanese
col signor di Faenza e con Ricciardo:
e in questo si mostrò sí risoluto,
che d'ogn'altro parlar fece rifiuto.

        44
Gli ambasciatori, a' quali era prescritto
quanto dovean trattar, spediro un messo,
ch'andò dal campo a la città diritto
a ragguagliarne il Reggimento stesso:
e in tanto il figlio di Rangone invitto
e 'l buon Manfredi, a cui fu ciò commesso,
condussero a veder le lor trinciere
gli ambasciatori, e l'ordinate schiere.

        45
Menârgli a spasso poi dove alloggiate
Renoppia le sue donne avea in disparte,
non quelle tutte, che con lei passate
erano pria, ma la piú nobil parte.
Stavano a' lor ricami intente armate
imitando Minerva in ogni parte:
ma lasciar gli aghi e fêr venir in tanto
il cieco Scarpinel con l'arpa e 'l canto.

        46
Questi in diverse lingue era eloquente,
e sapeva in ciascuna a l'improviso
compor versi e cantar sí dolcemente,
ch'avrebbe un cor di Faraon conquiso.
L'arpa al canto accordò subitamente;
e poiché fu d'intorno ogn'un assiso,
col moto de la man ceffi alternando
incominciò cosí tenoreggiando.

        47
- Dormiva Endimion tra l'erbe e i fiori
stanco dal faticar del lungo giorno,
e mentre l'aura e 'l ciel gli estivi ardori
gli gían temprando e amoreggiando intorno,
quivi discesi i pargoletti Amori
gli avean discinta la faretra e 'l corno,
ch'a i chiusi lumi e a lo splendor del viso
fu loro di veder Cupído aviso.

        48
Sventolando il bel crine a l'aura sciolto
ricadea su le guancie in nembo d'oro;
v'accorrean gli Amoretti, e dal bel volto
quinci e quindi il partían con le man loro;
e de' fiori onde intorno avean raccolto
pieno il grembo, tessean vago lavoro,
a la fronte ghirlanda, al piè gentile
e a le braccia catene, e al sen monile.

        49
E talor pareggiando a l'amorosa
bocca o peonia o anemone vermiglio,
e a la pulita guancia o giglio o rosa,
la peonia perdea, la rosa e 'l giglio.
Taceano il vento e l'onda, e da l'erbosa
piaggia non si sentía mover bisbiglio;
l'aria e l'acqua e la terra in varie forme
parean tacendo dire: «Ecco, Amor dorme».

        50
Qual ne' celesti campi, ove il gran toro
s'infiamma a i rai di luminose stelle,
sogliono sfavillar con chioma d'oro
le figliole d'Atlante, alme sorelle;
ch'a la maggiore e piú gentil di loro
brillando intorno stan l'altre men belle:
tal in mezzo agli Amori Endimione
parea tra l'erbe e i fior de la stagione.

        51
Quando la bella Dea del primo cielo
tutta cinta de' rai del morto sole,
a la scena del mondo aprendo il velo
le campagne mirò tacite e sole;
e sparsa la rugiada e scosso il gielo
dal lembo sovra l'erbe e le viole,
a caso il guardo in quella piaggia stese,
e vaga di veder dal ciel discese.

        52
Sparvero i pargoletti a l'apparire
de la Dea spaventati; ed ella, quando
vide il giovane sol quivi dormire,
ritenne il passo e si fermò guardando.
L'onestà virginal frenò l'ardire:
e ne gli atti sospesa e vergognando,
avea già per tornare il piè rivolto;
ma richiamata fu da quel bel volto.

        53
Sentí per gli occhi al cor passarsi un foco
che d'un dolce desio l'alma conquise:
givasi avicinando a poco a poco,
tanto ch'al fianco del garzon s'assise;
e di que' vaghi fior, ch'avean per gioco
gli Amoretti intrecciati in mille guise,
s'incoronò la fronte e adornò il seno,
che tutti fur per lei fiamma e veleno.

        54
Trassero i fior la man, la mano i baci
a le guance, a le labbra, a gli occhi, al petto,
che s'impresser sí vivi e sí tenaci,
che si destò smarrito il giovinetto.
Al folgorar de le divine faci
tutto tremò di riverente affetto;
e ad atterrarsi già ratto surgea,
s'ella non l'abbracciava e nol tenea.

        55
Anima bella, disse, e dormigliosa,
che paventi? che miri? I' son la Luna
ch'a dormir teco in questa piaggia erbosa
amor, necessità guida e fortuna.
Tu non ti conturbar, siedi e riposa;
e nel silenzio de la notte bruna
pensa occultar l'ardor ch'io ti rivelo,
o d'isperimentar l'ira del cielo.

        56
O pupilla del mondo, in cui la face
del sol s'impronta, pastorello indegno
son io, disse il garzon: ma se ti piace
trarmi per grazia fuor del mortal segno,
vivi sicura di mia fé verace;
e questo bianco vel te ne sia pegno,
ch'a mia madre Calice Etlio già diede
mio padre, in segno anch'ei de la sua fede.

        57
Cosí dicendo, un vel candido schietto,
che di gigli di perle era fregiato,
e 'l tergo in un gli circondava e 'l petto
giú da la spalla destra al manco lato,
porse in dono a la Dea, ch'ogni rispetto
già spinto avea del cor tutto infiammato,
e come fior che langue allor ch'aggiaccia
si lasciava cader ne le sue braccia.

        58
Vite cosí non tien legato e stretto
l'infecondo marito olmo ramoso,
né con sí forte e sí tenace affetto
strigne l'edera torta il pino ombroso;
come strigneansi l'uno a l'altro petto
gli amanti accesi di desio amoroso:
saettavan le lingue in tanto il core
di dolci punte, che temprava Amore.

        59
Cosí mentre vezzosi atti e parole
guardi, baci, sospiri e abbracciamenti
facean dolcezze inusitate e sole
a gli amanti gustar lieti e contenti;
levò la diva l'uno e l'altro sole,
accusando le stelle e gli elementi,
poiché con tanti e con sí lunghi errori
seguite avea le fiere e non gli amori.

        60
Misera me, dicea, quant'error presi
quel dí ch'io presi l'arco e 'l bosco entrai!
quant'anni poscia ho consumati e spesi,
che di ricoverar non spero mai!
o passi erranti e vani e male intesi,
come al vento vi sparsi e vi gettai!
quant'era meglio questi frutti corre,
ch'a rischio il piè dietro a le belve porre!

        61
Or conosco il mio fallo, e farne ammenda
vorrei poter; ma il ciel non me 'l consente:
restami sol che del futuro i' prenda
pensier, di cui mai piú non sia dolente.
Però l'aria, la terra e 'l mare intenda
quel che di terminar già fisso ho in mente,
e la legge, ch'io fo, duri col sole
sovra me stessa e la femminea prole.

        62
Io stabilisco che non copra il cielo,
ch'io governo, mai piú femmina bella
(eccetto alcune poche ch'io mi celo
che fien di me maggiori e d'ogni stella),
che sopporti con casto e puro zelo
finir la vita sua d'amor ribella,
e che stia intatta di sí dolce affetto,
se non mentitamente o al suo dispetto. -

        63
Volea l'orbo seguir, come dolente
tornò la diva a la sua bella sfera:
se non che lo mirò di sdegno ardente
Renoppia, e in voce minacciosa e altera,
- Accecato de gli occhi e de la mente,
brutta effigie, gli disse, anima nera,
va', canta a le puttane infame e sciocche
queste tue vergognose filastrocche.

        64
E se vuoi ch'io t'ascolti e che il tuo canto
ritrovi adito piú per queste porte,
cantami di Zenobia il pregio e 'l vanto
o di Lucrezia l'onorata morte. -
Il cieco allor stette sospeso alquanto;
poscia in tuono di guerra assai piú forte
l'amor di Sesto e gli empii spirti ardenti
incominciò a cantar con questi accenti:

        65
- Il Re superbo de' romani eroi
a la regia di Turno il campo avea,
e con fanti e cavalli e servi e buoi
di trinciere e di fosse ei la cingea.
Eran con lui tutti i figlioli suoi:
e quivi si mangiava e si bevea
con gusto tal, che 'l dí di san Martino
bebbero in sette un carratel di vino.

        66
Finito il vin, nacque fra lor contesa
chi avesse moglie piú pudica a lato:
e perch'ognun volea per la difesa
combatter de la sua ne lo steccato,
per diffinir la strana lite accesa,
di consenso commun fu terminato
di montar su le poste allora allora,
e andarsene a chiarir senza dimora.

        67
Non s'usavano allor staffe né selle:
e quei signor con tanto vino in testa
correndo a lume di minute stelle,
ebbero a rimaner per la foresta.
Chi perdé il valigino e le pianelle,
chi stracciò per le fratte la pretesta,
chi rese il vino per diversi spilli,
e chi arrivò facendo billi billi.

        68
Era con lor Tarquino Collatino
che la moglie Lucrezia avea a Collazia:
ei non era fratel, ma consobrino
e lor parente di cognome e grazia.
Tutti in corte smontâr su 'l Palatino
e le mogli trovâr, per lor disgrazia,
che foco in culo avean piú ch'un Lucifero
e stavano ballando a suon di piffero.

        69
Fecero una moresca a mostaccioni
la piú gentil che mai s'udisse in corte;
e trovate al camin starne e capponi,
verso Collazia ne portâr due sporte.
giunti colà, di spranghe e di stangoni
d'ogni parte trovar chiuse le porte;
e bussaron piú volte a l'aer bruno,
prima che desse lor risposta alcuno.

        70
Una schiavetta al fine in capo a un'ora
affacciatasi a certe balestriere,
e spinto un muso di lucerta fuora,
disse: Chi bussa là? Non c'è messere.
C'è pur, rispose il Collatino allora,
venite a basso e vel farem vedere.
Riconobbero i servi a quelle voci
il padrone, e ad aprir corser veloci.

        71
Lucrezia venne in sala ad incontrarlo
con la conocchia senza servidori;
tutta lieta venía per abbracciarlo,
ma vedendo con lui tanti signori,
trasse il pennecchio, ché volea occultarlo,
e dipinse il bel volto in que' colori
ch'abbelliscon la rosa, e fe' chiamare
le donne sue che stavano a filare.

        72
Di consenso comun la regia prole
diede il vanto a costei di pudicizia.
Dormiron quivi, e a lo spuntar del sole
ritornarono al campo e a la milizia.
Ma la bella sembianza e le parole
rimasero nel cor pien di nequizia
del fiero Sesto, un de' fratelli regi,
e le caste maniere e gli atti egregi.

        73
Onde il dí quinto ripassando il monte
tornò a Collazia sol, là dov'ella era;
e giunto a l'imbrunir de l'orizonte,
disse ch'ivi alloggiar volea la sera.
La bella donna, non pensando a l'onte
ch'ei preparava, gli fe' lieta ciera;
la notte il traditor saltò del letto,
e a la camera sua corse in farsetto.

        74
E la porta gittò mezzo spezzata,
entrando col pugnal ne la man destra:
quivi una vecchia, che dormía corcata
in un letto di vinco e di ginestra,
incominciò a gridar da spiritata,
ond'ei la fe' balzar per la finestra;
ed a Lucrezia che facea schiamazzo
disse: Mettiti giuso, o ch'io t'ammazzo.

        75
A questo dir chinò Renoppia bella
prestamente la man con leggiadria,
e si trasse di piede una pianella;
ma l'orbo fu avvisato, e fuggí via.
S'alzaron que' signor ridendo, ed ella
gli ringraziò di tanta cortesia,
e con maniera signorile e accorta
gli andò ad accompagnar fino a la porta.

 
 
 
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