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Il Trecentonovelle 51-54

Post n°1321 pubblicato il 05 Marzo 2015 da valerio.sampieri
 

Il Trecentonovelle
di Franco Sacchetti

NOVELLA LI

Ser Ciolo da Firenze, non essendo invitato, va ad un convito di messer Bonaccorso Bellincioni; èlli detto; e quelli, essendo goloso, risponde sí che e allora e poi mangiovvi spesso.

Ser Ciolo non ebbe minore volontà d'empiersi il corpo che avesse Ribi di vestirlo; però che, essendo in questi tempi vecchietto assai goloso e ingordo, facendo messer Bonaccorso Bellincioni, cavaliere famoso fiorentino, uno corredo a notabili cavalieri e altri, il detto ser Ciolo, avendo sentita la grida, deliberò di appresentarsi tra gli altri al detto convito; e se per forza non ne fossi cacciato, porsi alla mensa, e di quello mangiare ch'eglino. Movendosi con questo pensiero, si misse in via, e andò verso la casa del detto messer Bonaccorso, là dove, veduto nella via dinanzi all'uscio suo ragunarsi i cavalieri, e gli altri valentri uomeni, come è d'usanza, e quelli affretta i passi, e giugne e mescolasi tra loro.
E cosí stando, venuta che fu tutta la brigata, e detto loro che passino su, e ser Ciolo ne va su per le scale con loro insieme. Giunti in su la scala, ciascun si trae il mantello; e ser Ciolo prestamente si trae il suo. Dice uno de' famigli della casa a un altro:
- Che diavol ci fa ser Ciolo?
Dice l'altro:
- Non so io; e' fa una gran villania, ché io so bene che e' non fu su la scritta.
E accostansi a lui e dicono:
- Ser Ciolo, voi non fuste invitato; voi farete bene d'andarvene a casa.
Dice ser Ciolo:
- Io farei un bell'onore a messer Bonaccorso! ché direbbe ogni uomo che per avarizia m'avesse fatto cacciare. Io per me ci sono venuto per bene, e non per far vergogna a persona: se io non sono stato invitato, non è mio difetto; la colpa è stata di chi l'ha aúto a fare; - e accostasi al bacino, accozzandosi con un altro, e toglie l'acqua alle mani.
E' poterono assai dire e con parole e con cenni, che ser Ciolo si serrò sí con gli altri che, come furono per andare a tavola, si ficcò tra loro, e puosesi a sedere a mensa. Messer Bonaccorso, che ogni cosa avea considerata, mangiato che ebbe, domandò li suoi donzelli che cagione era stata, o di cui interdotto, che ser Ciolo fosse venuto quivi a desinare, e di quello che con loro contendea. Egli risposono che 'l domandavono chi l'avea invitato, e quello che rispose, e la cagione perch'egli era venuto. Di che messer Bonaccorso, udendo come ser Ciolo avea risposto a' famigli, fu piú contento e del modo e della novella di ser Ciolo, e del desinare che ebbe, che di quello che ebbono tutti gli altri: e compiuta questa festa, l'altro dí mandò messer Bonaccorso per ser Ciolo, che desinasse con lui; e ripetendo le cose del dí dinanzi, con lui ne prese gran piacere, e chiamò li suoi famigli e in sua presenza e' disse a loro:
- Ogni festa ch'io do mangiare altrui, fate che voi provveggiate di uno tagliere piú per ser Ciolo; e voglio ch'egli possa e debba sempre venire a mangiare ad ogni mio convito -; e voltossi a ser Ciolo, e disse: - E cosí v'invito.
E ser Ciolo accettò molto volentieri.
E per questo messer Bonaccorso il misse in tale andare che nessuno facea in Firenze convito che ser Ciolo non vi si rappresentasse, e che non facesse un tagliere d'avanzo per ser Ciolo, se vi venisse; e con questa preeminenza visse nella sua vecchiezza.
E però è uno volgare che dice: "Or va' tu, e non fare dell'impronto." Questo mondo è delli impronti, e 'l vizio della gola fa gli uomeni molto impronti; ma rade volte se ne arriva bene, come arrivoe ser Ciolo, il quale, mosso da questo vizio, udendo le vivande che messer Bonaccorso apparecchiava per lo detto corredo, bramoso di mangiare di quelle, si mise a pericolo di avere di molte mazzate, ed esserne cacciato con vergogna; ed egli si dice che fu il primo che disse, tornando dal desinare di messer Bonaccorso a casa sua, queste parole, o questo motto che vogliàn dire: "Chi va lecca, e chi sta si secca".


NOVELLA LII

Sandro Tornabelli, veggendo che uno il vuol fare pigliare per una carta, della quale avea fine, s'accorda col messo a farsi pigliare, e ha il mezzo guadagno dal messo.

E questa che segue fu una astuta malizia ad empiersi la borsa, cosí bene come ser Ciolo s'empié il corpo. E' non è molti anni che in Firenze fu un cittadino chiamato Sandro Tornabelli, il quale era sí vago d'acquistare moneta che sempre stava con l'arco teso per veder se potesse fare un bel tratto, e sempre andava in gorgiera. Costui, essendo già antico d'anni, sentendo che un giovane il volea far pigliare per una carta antica già pagata al suo padre, e 'l giovane non lo sapea, e 'l detto Sandro avea la fine; onde Sandro ciò sapendo, non posoe mai che s'accozzoe col messo che avea questa trama, e la commissione in mano, il quale ebbe nome Totto Fei, e disse:
- Fratel mio, io so che 'l tale vuole che tu mi pigli a sua petizione, e vuolti dare fiorini dodici, o piú. La carta, per che mi vuol fare pigliare, è pagata, e io ho la fine in casa; di che io ti voglio dire cosí: "Tu se' bisognoso, e anco io non sono il piú ricco uomo del mondo, io voglio che tu segua questa faccenda, e tu fa' patto con lui d'avere piú denari che tu puoi, e poi mi piglia, ché io sono contento, con questo: che e' denari, i quali averai da lui, sieno mezzi tuoi e mezzi miei; e preso che tu mi averai e aúto il pagamento, e io mostrerrò la fine a quell'ora che fia di bisogno".
Questo messo, udendo il detto Sandro, s'accordò piú tosto di pigliarlo con questo inganno che senza esso: però che la sua condizione era cattiva, per tal segnale che elli avea mozza la mano; e la cagione fu che, avendo detta una testimonianza falsa in servigio d'un suo amico, fu condennato in lire otto, o nella mano: di che colui, in cui servigio l'avea detta, gli mandò alla prigione lire otto, e disse che la ricomperasse, però che innanzi volea quel danno che a sua cagione li fosse mozza. Costui, veggendosi questi denari su un desco, che erano tutti grossi d'ariento, e guardandoli fiso, dall'altra parte mettendo sul desco la mano che dovea perdere, cominciò a dire in sé medesimo: "Qual è meglio che io parta da me, o la mano, o' danari? e' mi rimane una mano, essendomi tagliata l'altra, e con l'una mi notricherò ben troppo, e vie meglio, avendo le lire otto che con le due, non avendole, e stando povero e mendico come sono"; e poi pensava averne veduti assai sanza alcuna mano, ed esser vissuti; di che al tutto s'attenne a' danari, e lasciossi tagliar la mano.
Ho voluto dir questo, per dimostrare la condizione di questo messo. Accordatosi costui col detto Sandro, e molto volentieri, però che egli era assai gran cittadino, e massimamente che tutti, o la maggior parte degli officii di Firenze avea aúti, sí che pochi messi, non essendo di suo volere tra per gli officii, e perché era di diversa condizione, serebbono stati contenti di porli le mani addosso. Avendo adunque il detto Sandro ogni cosa composta e ordinata con questo cosí fatto messo, da ivi a pochi dí fu preso dal detto Totto Fei, e per la detta cagione è menato in palagio del podestà, e messo nella Bolognana.
Colui che l'avea fatto pigliare, avendoli il messo fatto sentire la presura subito venne al detto palagio a raccomandarlo, e fare scrivere la cattura, come è d'usanza.
Sandro era a una finestra ferrata della prigione che risponde su la corte, e crollava il capo contro al detto messo come con lui avea ordinato; e 'l messo s'accostava e domandava fiorini sedici al giovane, li quali gli avea promessi di dare. E Sandro dalla finestra avea gli occhi e gli orecchi a ogni cosa; e 'l giovane dava parole al messo:
- Ben te gli darò.
Il messo comincia a dire:
- Oimei! o è questa mercanzia da dire "io te gli darò", ché essendo in prigione, mi minaccia, che ne sarò ancora forse morto a ghiado?
E andava poi in qua e 'n là, accostandosi spesso appiè della finestra, dove era il detto Sandro preso, e come il messo s'accostava, e Sandro dicea, sí che l'udía il giovene e ogni altro:
- Per lo corpo di Dio, che io te ne pagherò -; e poi dicea piano al messo: - hatt'egli pagato?
Il messo accennava di no; e Sandro usciva dicendo forte:
- Non poss'io mai aver cosa che buona mi sia, se io non te ne pago e se questa presura non ti costa amara.
Totto col suono di Sandro andava volteggiando verso il giovane, e diceva:
- Deh, pagami, ché io vorrei piú volentieri della mia povertà averne dati altrettanti a te, e non averlo preso; ché egli mi minaccia, come tu odi, per forma che mi leverà di terra, sí che non mi stentare, e priegotene.
E quelli rispondea:
- Aspettami un poco; e' pare che io me ne sia per andare per debito.
E 'l messo, come cruccioso e adirato, tirando in su le spalle, andava verso la finestra; il quale quando Sandro sel vedea presso, lo domandava pianamente se gli avea aúti; e dicendo di no, vie piú aspramente minacciava il messo, facendo tanto cosí che 'l messo ebbe fiorini sedici. Come Sandro seppe da Totto che 'l pagamento era fatto, fece vista di mandare uno a casa sua; e come tornò, cominciò a dire:
- E' ci ha una brigata di buon fanciulli che fanno pigliare di carte pagate: per lo corpo e per lo sangue! che si vorrebbono impiccare per la gola -; e in presenza di tutti quelli della corte che v'erano, e di chi l'avea fatto pigliare, appresentò la carta della fine, la quale veggendo il giovane, rimase tutto scornato e addomandò perdonanza a Sandro, però che di ciò non sapea alcuna cosa.
Sandro disse:
- Se tu nol sapei, e tu l'appara: chi mi rende l'onore mio della vergogna che tu m'ha' fatta?
E brievemente e' misse su e parenti e amici per essere in pace con Sandro, e a gran pena gli venne fatto: e rimasesi fuori di fiorini trecento, che credea dovere avere come Ughetto dell'Asino, e de' fiorini sedici che diede a Totto Fei.
Una sottile e cattiva malizia fu questa, che questo Sandro volesse usare tant'arte, e avere tanta vergogna per pochi denari; ma piú nuova cosa fu che, quando uno è preso per debito, colui che l'ha fatto pigliare aspetta che paghi, e a lui par mill'anni d'aver pagato per uscir di prigione: questo era tutto il contrario; ché colui che era preso aspettava che il creditore, che l'avea fatto pigliare, pagasse sí che elli uscisse di prigione.
E perciò non si vorrebbe mai risparmiare la penna. Il padre lasciò al giovane la carta accesa, e niuno ricordo lasciò che n'avesse fatto fine, o che fosse pagato, e perciò questo gl'intervenne. E anco se Sandro avesse aúto un figliuolo, o parente folle, gli potea intervenire peggio.


NOVELLA LIII

Berto Folchi, essendo in una vigna congiunto con una forese, alcuno viandante passando di sopra un muro, non accorgendosi, gli salta addosso, il quale credendo sia una botta, fuggendo grida accorr'uomo, e mette tutto il paese a romore.

Ben venne ad avere il suo intendimento d'uno amorazzo Berto Folchi, e ancora il priore Oca con sottile inganno a godere una vigna, cosí bene come ad effetto del suo volere venisse Sandro Tornabelli. Questo Berto Folchi fu uno piacevole cittadino della nostra città, e leggiadro e innamorato ne' suoi dí. Costui, avendo piú tempo dato d'occhio con una forese nel populo di Santo Felice ad Ema, nella per fine un dí, essendo la detta forese in una vigna, il detto Berto non abbandonando questo suo amore, ne venne alla sua, e appiè d'un muro a secco che cingea la vigna, dietro al quale passava una via, si puosono. Era nel sollione per un gran caldo, che passando due contadini che veníano da Santa Maria Impruneta, disse l'uno all'altro:
- Io ho una gran sete; vuo' tu andare in quella vigna per un grappolo d'uve, o vuogli che vi vadia io?
Disse l'altro:
- Vavi pur tu.
Di che l'uno, saltato con una lancia sul muro, e gittatosi di là co' piedi su l'anche di Berto che era addosso alla detta forese, fu tutt'uno: del quale colpo ebbe maggiore paura e danno Berto che la forese, però che ella si sentí meglio calcata. Il contadino che avea saltato, sentendosi giugnere co' piedi su una cosa molliccia, sanza volgersi addietro comincia a fuggire per la detta vigna, fracassando e pali e viti, gridando: "Accorr'uomo, accorr'uomo" con le maggiori voci che aveva in testa.
Berto nientedimeno si studiava di fare li fatti suoi, come che gli paresse essere nel travaglio. Al romore del contadino chi correa qua e chi là:
- Che è? che è?
E quelli dicea:
- Oimè! che io ho trovata la maggior botta che mai si trovasse.
Il romore crescea; ed elli li diceano:
- Se' tu impazzato, che tu metti il paese a romore per una botta?
E quelli pur gridava:
- Oimè! fratelli miei, ch'ella è maggiore che un vassoio. Io vi saltai suso, e parvemi saltare come su uno grandissimo polmone, o fegato di bestia; oimè! che io non tornerò mai in me.
D'altra parte il suo compagno, o parente che fosse, che aspettava l'uve, temendo forse per briga che aveano, udendo il romore, che colui non fosse assalito e morto, comincia a gridare anco elli: "Accorr'uomo" e fugge indietro quanto puote. Le campane di Santo Felice cominciano a sonare a martello, e quelle da Pozzolatico, e di tutto quel paese. Chi trae dall'un lato e chi dall'altro, e ciascun corre:
- Che è? che romore è questo, e in quest'ora?
La donna s'era spiccata da Berto, fugge verso la casa del marito, gridando:
- Oimè trista! che romore è questo?
E abbattesi al marito, il quale come gli altri verso la piazza di Santo Felice correa, dicendo:
- Oimè! marito mio, che vuol dir questo? ché sallo Dio con quanto diletto facea erba nella vigna per lo bue nostro, ed elli si levò questo busso, che son quasi mezza morta.
Berto giugne da un altro lato della piazza, e dice:
- Che novella è questa? che buona ventura è?
Disse il lavoratore che gli avea saltato addosso:
- Come, che è? o non l'avete voi sentito? non credo che niuno vedesse o trovasse mai sí gran botta come io trovai nella tal vigna; e peggio fu che io gli saltai addosso; che è maraviglia ch'ella non mi schizzò il veleno; e pur cosí non so se io me ne morroe.
Disse Berto:
- In buona fé che tu se' un piacevol uomo; o se tu avessi trovato un diavolo, che avresti tu fatto?
Disse colui:
- Vorrei innanzi trovare un diavolo che una botta a quel modo.
In questo, l'altro compagno giunse alla piazza trambasciato, gridando; e veggendo il compagno corre ad abbracciarlo, dicendo:
- Oimè! compagno mio, che hai tu aúto? chi t'ha assalito? io credetti che tu fosse stato morto.
E quelli, mezzo smemorato, dicea di questa botta. E Berto Folchi verso costoro si volge ancora, e dice:
- Che cortesi uomeni siete voi? avete con questo vostro romore scioperato quanti uomeni ha in questo paese, e io era sopra a fare una mia faccenda, e sono stato sí bestia che io ci son corso anch'io.
E rispondendo e dicendo, chi di qua e chi di là, e Berto dice:
- Egli è buon pezzo che io usai in questo paese, e già fa buon tempo udi' dire che uno trovò una gran botta in quella vigna; forse è questa dessa.
Tutti a una voce affermarono che cosí dovea essere, però che v'erano li muri a secco, e certe muricce di sassi rovinati; egli è possibile che ella vi sia ancora molto cresciuta.
Tutti con questo si tornorono a casa. E appena erano compiuti di partirsi, e Berto tornando verso Firenze, che 'l priore Oca, priore del detto luogo, uomo piacevolissimo, tornando da Firenze, non di lungi una balestrata dalla piazza si scontrò in lui, il quale salutandolo come molto suo domestico, il rimenò addietro, volendo che quella sera si stesse con lui. E accettato Berto e tornando insieme col priore, dice il priore:
- Io ho udito tra via che ci è stato un gran romore; che cosa è stata questa?
Disse Berto:
- Priore mio, se voi mi terrete credenza, io vi dirò la piú bella novella che fosse poi che voi nasceste.
Il priore dice:
- Berto, ponla su (e porgegli la mano) e cosí ti giuro, e anco sai che io sono prete.
Di che Berto gli disse il principio, mezzo, e fine di ciò ch'era stato. Il priore era grasso; egli stette un gran pezzo che non potea ricogliere l'alito, tanto ridea di voglia. E cenato, e albergato con gran festa di ciò insieme, il detto Berto la mattina seguente si tornò a Firenze; e 'l priore, dopo la messa, pensò di far sí che quella novella gli valesse qualche cosa, dicendo a' suoi popolani e del caso intervenuto, e del romore, ammonendoli tutti che non si accostassino a quella vigna, però che cosí fatta botta era di gran pericolo, pur guardando altrui, non che schizzando il veleno. Di che pochi erano che vi fossono arditi di entrare entro, se già non fosse stato Berto e la forese.
E 'l priore, veggendo che non era alcuno che la volesse lavorare, s'accordò con colui di cui ell'era, di torla a fitto, dicendo:
- Io metterò a rischio, e so alcuna orazione, e alcuno incanto che è buono a ciò; e anche quel mio fante è uno mazzamarone che non se ne curerà.
Abbreviando la novella, e' tenne la detta vigna a fitto parecchi anni per una piccola cosa, e traevane l'anno, quando cogna otto e quando cogna diece di vino, e a colui di cui ell'era, pur ch'ella non rimanesse soda, ma fosse lavorata, parea guadagnare la detta vigna. E cosí tirò l'aiuolo il priore Oca, andando spesso Berto a bere di quel vino con lui, facendo sí che alla botta mai non fu piú saltato addosso.
Che diremo adunque de' casi e degli avvenimenti che amore conduce? Tra quanti nuovi ne furono mai, non credo che ne fosse nessuno simile a questo, e con tutta la fortuna a suono di campane a martello, e a romore di popolo, Berto condusse a fine il suo lavorío; e 'l priore Oca, per dare una buona ammonizione a' suoi popolani, ne guadagnò in parecchi anni forse quaranta cogna di vino: e fugli bene investito, però che era goditore e volentieri facea cortesia altrui.


NOVELLA LIV

Ghirello Mancini da Firenze dice alla moglie quello che ha udito di lei, e quella scusandosi, fa a littera quello di che è stato ragionato in una brigata.

La moglie di Ghirello Mancini usò mercatanzia d'un'altra man paniccia, pagando il marito di quella moneta ch'elli andava cercando. Alla piazza di San Pulinari nella città di Firenze sempre usò nuova generazione di gente, e di diverse contrade. Avvenne un dí per caso che, essendo adunato un cerchio d'uomeni nel detto luogo, tra' quali era uno che avea nome ser Naddo, e Ghirello Mancini, e altri; di che una mala lingua di quelli del cerchio, cominciò a dire di nuove cose della moglie, per metterli in giuoco a dire delle loro e dell'altrui. Onde dicendo l'uno e dicendo l'altro e pro e contro delle loro mogli, disse ser Naddo a Ghirello che contro alla moglie di ser Naddo dicea:
- Ghirello, la tua monna Duccina è sí grassa ch'ella non si dee poter forbire la tal cosa, quando è ita al luogo comune.
E cosí avendo detto e delle loro e dell'altre ciò che vollono, la notte e l'ora da tornarsi a casa gli partí dal ragionamento. E tornato Ghirello in casa e cominciato a spogliare, che era di giugno e caldo grande, s'accostò alla camera; e andato al letto, standosi cosí a sedere prima che entrasse sotto, e la sua moglie monna Duccina essendo per la camera in camicia, racconciando sue bazzicature, e Ghirello vedutala, ricordandosi di quello che ser Naddo avea la sera detto, disse:
- Duccina, o non sai tu quello che mi fu detto dianzi al canto di San Pulinari?
Disse la Duccina:
- Qualche male: o che?
Disse Ghirello:
- Fu detto che quando tu hai fatto el mestiero del corpo, che tu non ti déi poter forbire la cotal cosa.
La Duccina, udendo questo, comincia a dire:
- Deh davi il malanno a la mala pasqua, ché mai non fate altro che dire male di altrui.
E con un impeto grandissimo d'ira, subito chinandosi cosí in camicia in mezzo dello spazzo, disse:
- Guata, se io mi posso chinare.
E pignendo la mano verso il cocchiume, come se l'avesse a forbire, tirò uno peto sí grande che parve una bombarda.
Ghirello, avendo veduto prima l'atto, e poi sentito il tuono, disse:
- Duccina, a cotesto non ti risponderei io, se non ci fosse ser Naddo.
E la Duccina, volendosi ricoprire, disse:
- Sí che fu ser Naddo; deh dàgli tanti maglianni quanti mai ne vennono a creatura, vecchio rimbambito ch'egli è; ché se io lo truovo, gli dirò tanta villania quanta ad asino.
Disse Ghirello:
- Tu hai fatta la pruova, e adiriti: o se tu non l'avessi fatta, che diresti tu?
Ed ella disse:
- Che pruova nella malora? che siete tutti piú tristi che 'l tre asso.
Disse Ghirello:
- Donna, or va', dormi oggimai, va'. Io ci menerò domani ser Naddo, e vedremo quello che dee essere di questo fatto, e che ne vuole la ragione.
Disse la Duccina:
- Che ragione? ben che voi sete ragione. Alla croce di Dio che se tu cel meni, che io gli getterò un mortaio in capo. Sa' tu com'egli è del fatto, Ghirello? E' vide ben ser Naddo a cui sel dire; ché, se tu fussi quello che tu dovessi, non avrebbe avuto ardire di dire male d'una tua donna, ove tu fussi.
Belli ragionamenti che sono i vostri! lasciate stare li fatti miei e dell'altre donne, e ragionate de' vostri, che tristi siate voi dell'ossa e delle carni! ché ben vorrei che ser Naddo e gli altri cattivi fossono stati qui, come ci se' tu, e avessi fatta la pruova in sul viso loro, come io l'ho fatta innanzi a te, che d'altro non eravate degni.
E cosí se ne andò la Duccina al letto, e non sanza borbottare, tanto che s'addormentoe; e la mattina levatosi Ghirello, e stato un pezzo fuori, si ritrovoe con ser Naddo e con gli altri, e predicorono la pruova che la Duccina avea fatta, e dissono tutti ch'ella avea ragione, e ch'ella tirerebbe un balestro non che un peto, quando bisognasse.
Nuova cosa è quello che usano spesse volte li mariti disonesti, che spesso in cerchio diranno di cose vituperose delle loro donne, e piú ancor dell'altre, e chi venisse bene considerando, elle ne potrebbon far dire forse piú degli uomeni; e hanno tanta discrezione che nol fanno; e gli uomeni, dove dee essere piú virtú e piú savere, sono meno discreti di loro; ché non bastò a Ghirello d'essere a udire e dire forse male della Duccina; ma egli lo ridisse perché ella il sapesse.

 
 
 
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