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La Secchia Rapita 06-2

Post n°1291 pubblicato il 27 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

        38
Da mille lance il Re percosso e cinto
e da mille spuntoni e mille dardi,
tutto è molle di sangue, e mezzo estinto
ha il famoso drappel di que' gagliardi.
Tognon rimproccia i suoi da l'ira vinto,
e grida: - Ah feccia d'uomini codardi,
sí vilmente morir, scannaminestre?
Che vi sia dato il pan con le balestre! -

        39
Sospinse il rampognar di quell'altiero
ognuno incontro al Re, cui sol restato
vivo de' suoi nel gran periglio è il fiero
Leupoldo conte di Nebrona a lato:
morto da cento lance il buon destriero
sotto il Re cadde, ed egli in piè balzato
fulmina e uccide di due colpi orrendi
Petronio ed Andalò de' Carisendi.

        40
Berto Gallucci e 'l Gobbo de la Lira
gli sono sopra, e l'uno e l'altro il fiede;
ma il generoso cor non si ritira,
ben che sieno a cavallo, ed egli a piede.
Il conte che si volge e 'n terra il mira,
balza di sella e 'l suo caval gli cede;
ed ei, perché rimonti il suo signore,
rimansi a piedi, e 'n mezzo a l'armi muore.

        41
Il Re prende la briglia e salir tenta,
ma lo distorna il Gobbo e gliel contende;
egli una punta al fianco gli appresenta,
e con la gobba al pian morto lo stende.
Tognon smonta fra tanto, e al Re s'avventa
dietro a le spalle, e ne le braccia il prende,
e Pasotto Fantucci e Francalosso
e Berto e Zagarin gli sono addosso.

        42
Il Re si scuote, e a un tempo il ferro caccia
nel ventre a Zagarin che gli è a rimpetto,
ma non può svilupparsi da le braccia
di Tognon che gli cinge i fianchi e 'l petto;
ed ecco Periteo giugne e l'abbraccia
subito anch'egli, e 'l tien serrato e stretto;
ei l'uno e l'altro or tira, or alza, or spigne,
ma da' legami lor non si discigne.

        43
Qual fiero toro, a cui di funi ignote
cinto fu il corno e 'l piè da cauta mano,
muggisce, sbuffa, si contorce e scuote,
urta, si lancia e si dibatte in vano;
e quando al fin de' lacci uscir non puote,
cader si lascia afflitto e stanco al piano:
tal l'indomito Re, poiché comprese
d'affaticarsi indarno, al fin si rese.

        44
Fu drizzato il carroccio, e fu rimesso
in sedia il Podestà tutto infangato;
non si trovò il robon, ma gli fu messo
in dosso una corazza da soldato;
le calze rosse a brache avea, col fesso
dietro, e dinanzi un braghetton frappato,
e una squarcina in man larga una spanna,
parea il bargel di Caifàs e d'Anna.

        45
Ei gridava in Bresciano: - Innanz, innanzi;
che l'è rott'ol nemig, valent soldati:
feghe sbità la schitta a tucch sti Lanzi
maledetti da Dé, scommunegati. -
Cosí dicendo, già vedea gli avanzi
del destro corno andar qua e là sbandati,
e raggirarsi per que' campi aprichi
cercando di salvar la pancia ai fichi:

        46
però che 'l buon Perinto avea già rotti
Tedeschi e Sardi e Garfagnini e Corsi
e gli altri ch'al bottin fallace, indotti
da mal cauta speranza, erano corsi.
I Tedeschi, del vino ingordi e ghiotti,
dietro a certi barili eran trascorsi,
che ne credeano far dolce rapina;
e in cambio di verdea trovâr tonnina.

        47
Al primo suon de la nemica pesta
il popolo del mar le spalle diede;
si restrinse il tedesco e fece testa;
in dubbio il Garfagnin sospese il piede:
ma la cavalleria giugne e calpesta
con impeto e furor la gente a piede;
né la picca tedesca o l'alabarda
ferma i cavalli armati o li ritarda.

        48
A Corrado Roncolfo, il capocaccia
del Re che facea a gli altri animo e scudo,
sovragiugne Perinto, e ne la faccia
mette per visiera il ferro crudo.
A Guglielmo Sterlin, nato in Alsaccia,
tronca d'un man rovescio il collo ignudo,
e Ridolfo d'Augusta e Giorgio d'Ascia
feriti di due punte in terra lascia.

        49
Un giovinetto fier nato su 'l Reno,
su 'l Panaro nudrito, Ernesto detto,
che col bel viso e col guardo sereno
potea infiammar qual piú gelato petto,
vedendo i suoi che già le spalle aviéno
volte a fuggir, da generoso affetto
e da nobil desío di gloria mosso
un destriero african gli spinse addosso.

        50
Perinto il colpo del garzone attende,
e a l'arrivar ch'ei fa cala un fendente.
il destrier, che di scherma non s'intende,
s'arretra come il suon del ferro sente;
a l'estremo del collo il brando scende;
cade in terra il meschin morto repente.
Ernesto, che mancarsi il destrier mira,
balza in piedi di sdegno acceso e d'ira,

        51
e d'una punta ne la coscia il fiede.
Volge Perinto e 'l ferro a un tempo abbassa;
ma ei si ritira, e de l'antico piede
d'un olmo si fa scudo e 'l campo lassa;
quei l'incalza fremendo ed egli cede,
e va girando e fugge e torna e passa.
Cosí corre a la pianta e si difende
il ramarro che 'l bracco a seguir prende.

        52
Jaconía capitan de' Soraggini,
ch'amava Ernesto piú de la sua vita,
poi che gli occhi rivolse a i rai divini
onde l'anima accesa era invaghita,
e 'l vide star su gli ultimi confini,
corse precipitoso a dargli aíta
abbandonando i suoi, che mal condotti
in fuga se ne gían sbandati e rotti.

        53
In arrivando il ritrovò piagato
nel destro fianco e da la doglia vinto;
spinse il destrier d'un salto, 'l brando alzato
su la fronte a due man ferí Perinto;
e se non che quell'elmo era temprato
per man del saggio Argon, l'avrebbe estinto,
ma di sé tolto e di cader in forse
portato dal destrier qua e là trascorse.

        54
Al garzon Jaconía rivolto allora
- Ernesto, gli dicea, la nostra gente
rotta si fugge, e noi facciam dimora,
e perdiamo la vita inutilmente.
Deh non voler che cada insieme a un'ora
mia viva speme e tua beltà innocente. -
- Vattene, rispond'ei, ché 'l destrier mio
vendicar voglio o qui morire anch'io. -

        55
- O fanciul troppo ardito e poco accorto
(soggiunge Jaconía) mira che questa
che ci costrigne a ritirarne in porto,
è piú ch'a te non par fiera tempesta;
ma se l'affanno d'un destrier già morto
e la vendetta sua quivi t'arresta,
prenditi in dono il mio. - Né piú s'estese;
ma gli porse la briglia, e giú discese.

        56
Quegli 'l ricusa, ed egli pur s'affretta
che 'l prenda; e mentre i prieghi orna e rinforza,
ecco torna Perinto a la vendetta,
e fere Jaconía di tutta forza.
Con quel furor che vien dal ciel saetta,
passa il brando crudel la ferrea scorza
del grave scudo e la corazza forte,
e lascia Jaconía ferito a morte.

        57
Cadde il misero in terra, e quasi a un punto
poco lungi da lui cadde Perinto,
cui, passato nel petto e nel cor punto,
restò il cavallo a quell'incontro estinto.
Al suo vantaggio allor non bada punto
Ernesto, e corre da la rabbia vinto
a mezza spada a disperata guerra
poi che l'amico suo vede per terra.

        58
Ernesto di due colpi in su l'elmetto
con tanta forza il cavalier percosse,
che ribattendo su l'arcion col petto
sovra il morto destrier tutto piegosse.
Lo sguardo allor drizzando al giovinetto
su le ginocchia Jaconía levosse,
e disse: - Ah non voler perir tu ancora,
lascia ch'io sol per la tua vita mora. -

        59
E dicea il ver, s'un ostinato core
fosse stato del ver punto capace:
surse Perinto e strinse con furore
la spada contro il giovinetto audace;
Jaconía con quell'ultimo vigore
che gli somministrò l'alma fugace,
per impedire il colpo al ferro crudo,
lanciò contra Perinto il proprio scudo.

        60
Ma quello sforzo aprí la piaga, e sparse
l'alma col sangue, e certo fu peccato;
ch'amico piú fedel non potea darse,
e non bevea giammai vino inacquato.
Lo scudo ch'ei lanciò venne a incontrarse
nel braccio che spingea Perinto irato
e nel volto e nel petto e ne la mano,
e gli fe' rimaner quel colpo vano.

        61
Ma che pro, se 'l garzon non si ritira,
e nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?
Colpi raddoppia a colpi, e a ferir mira
dove s'apre la piastra e si congiugne.
Perinto avvampa di disdegno e d'ira,
e d'una punta a mezzo il ventre il giugne;
la panciera d'Ettòr, ch'era incantata,
non gli avrebbe la vita allor salvata.

        62
Cade Ernesto morendo in su la piaga,
e chiama Jaconía che nulla sente;
esce un rivo di sangue e si dilaga,
s'oscura de' begli occhi il dí lucente:
l'anima sciolta disdegnosa e vaga
dietro a l'amico suo vola repente.
Salta Perinto in su 'l destrier che trova,
e 'l volge a ricercar battaglia nuova.

        63
Né già ritorna ove fuggir vedea
quei ch'ingannò la fiorentina preda,
ché vittoria stimò vile e plebea
cacciar gente che fugga e 'l campo ceda:
ma, dove in mezzo la battaglia ardea,
contra 'l Potta sen va, come se 'l creda
bere in un sorso, e la città sua tutta
ne' sterquilinî suoi lasciar distrutta.

        64
Guido scontrò, che de la pugna usciva
con mezza spada e una ferita in testa,
e a medicarsi al padiglion se 'n giva
per man del suo barbier mastro Tempesta.
Indi trovò, che 'l suo signor seguiva
messa in terror la ravignana gesta:
le si fe' incontro, e con superbo grido:
- Tornate, disse, indietro, o ch'io v'uccido. -

        65
Ed a l'alfier che 'l rimirava fiso,
senza altro moto far, come chi sdegna,
fulminò d'un man dritto a mezzo 'l viso
- Cosí, dicendo, d'ubbidir s'insegna. -
Riman colui del fiero colpo ucciso,
ed egli di sua man spiega l'insegna.
Alzano i Ravignani allor le grida,
e 'l seguono animosi ove gli guida.

        66
Il Potta, che tornar vede la schiera
che dianzi fuor de la battaglia usciva,
rivolto a Tomasin ch'a lato gli era:
- Per vita, gli dicea, de la tua diva,
ad incontrar va' tu quella bandiera,
che se 'n riede a la pugna onde fuggiva,
e mostra il tuo valor, spiega i tuoi vanti
contra quei malandrin scorticasanti. -

        67
Nulla risponde, e contra i Ravennati
Tomasin a quel dir, strigne gli sproni
con una compagnia di scapigliati,
dediti al gioco e a far volar piccioni,
che triganieri fur cognominati,
nemici natural de' bacchettoni,
gente che 'l ciel avea posto in oblio,
e l'appetito sol tenea per Dio.

        68
Con questi il Gorzanese ardito e franco
ratto si mosse, e al primo incontro uccise
Gaspar Lunardi e Desiderio Bianco,
e a Lamberto Raspon l'elmo divise:
quando Perinto lo ferí per fianco
con l'asta de l'insegna, e in modo arrise
fortuna al suo valor, ch'in terra cade,
e restò prigionier fra mille spade.

        69
Perduto il capitan, l'impeto allenta
la gente sua che 'l disvantaggio vede,
ma non fugge però né si sgomenta,
e torna in ordinanza in dietro il piede.
Perinto, poi ch'a Ostasio da Polenta,
che tra' primi il seguía, l'insegna diede,
Jotatan con la spada in terra mette
e Barbante figliol di Mazzasette.

        70
Ma intanto il Potta, udito il caso fiero
di Tomasino, e quel che piú gli dolse,
del Re de' Sardi rotto e prigioniero,
santa Nafissa a bestemmiar si volse,
e montato su un'erta col destriero,
pur novella speranza anco raccolse:
ché le bandiere de' nemici sparte
vide fuggir de la sinistra parte.

        71
E di vederne il fin già risoluto
scendea da l'alto, e raccendeva l'ire,
quando un gigante orribile e cornuto
gli apparve e l'atterrí con questo dire:
- Che pensi? ogn'ardimento è qui perduto:
pensa di ritirarti o di morire.
ecco ti svelo i lumi, or tu rimira
de la terra e del ciel lo sforzo e l'ira.

        72
Vedi là guerreggiar l'empia Bellona
tinta di sangue incontro a le tue schiere,
vedi il superbo figlio di Latona
quanti coll'arco suo ne fa cadere,
Marte, ch'in tuo favor pugna, abbandona
stanco e sudato omai le tue bandiere.
Tu a raccolta le chiama, e le conserva
da lo sdegno di Febo e di Minerva. -

        73
Qui tacque il fero mostro, e in un momento,
come sparisce il sogno a l'ammalato,
ritirò il pede e si converse in vento,
e 'l Potta di stupor lasciò ingombrato.
Bacco era questi a generar spavento
in quella forma orribile cangiato
che combattuto avea col dio di Cinto,
e si partía de la battaglia vinto;

        74
e giva a ricercar nuovo partito,
perché non fosse il popol suo disfatto.
Rimase il Potta attonito e smarrito,
e si fe' il segno de la croce un tratto,
ch'un demonio il credé, fuor di Cocito
a spaventarlo in quella forma tratto:
stette sospeso un poco, indi fe' quanto
descritto fia da me ne l'altro canto.

Fine Canto sesto

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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