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Il Meo Patacca 08-2

Post n°1285 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Dove a un gran foco è più adattato il posto,
Dove le strade non so' gnente strette;
Nè il vicinato a' danni è sottoposto,
S'uno spazio assai granne s'intramette,
Tre botti, e ritte e pare, stanno accosto,
E un'altra, ritta pur, su ce se mette;
Acciò la fiamma sbarlanzà se pozzi,
Ne i larghi se ne fan più montarozzi.

In te le piazze, in pubrico ridotto,
In piccolo una cosa somigliante,
I regazzi, giocanno in sette o in otto,
Fan coll'ossi di persiche all'istante:
Tre di questi li mettono de sotto,
E un'altro sopra, e 'l popolo birbante,
Pe' conformarzi coll'antichi detti,
Lo ciama el gioco delli castelletti.

Una botte a più botti sopraposta.
Non è sforgio da tutti, e a parlà ciaro,
Chalche cosetta 'sta faccenna costa,
Nè ponno molti spenne 'sto denaro.
Però chi giù le spiana, e chi l'imposta,
Chi tre, chi quattro, chi ne mette un paro;
Brusciano l'artiggiani poverelli
Barili, barilozzi, e caratelli.

La festa principal, che dà la mossa
All'altre feste focareccie è quella,
Ch'ordinò la Città, che ha già commossa
Furia di gente, per annà a vedella.
Spunta piccolo foco, e poi s'ingrossa,
E fa na spampanata, che è assai bella;
È cosa vecchia in Roma, et ha gran fama
Per tutto, e la Girandola si ciama.

Ma perchè fatte han da vederzi prima
L'altre comparze, non conviè che ancora
Parli di questa, che fratanto in cima
Lasso del loco, in dove si lavora.
Pronta mò mò ritornerà la rima
A dir se come è fatta; ma per hora
Seguita a racconta co' i su' strambotti,
Il negozio dei lumi e delle botti.

Già s'è appicciato tutto l'appicciabbile,
E cominza una festa assai plausibbile,
L'illuminà, par cosa impraticabbile,
La Città tutta, e pur quest'è visibbile.
Ecco una luccicata memorabbile,
Che più d'un ciaro dì fatta è godibbile,
L'istesso sol ce se potrìa confonnere,
E però con raggion, s'annò a rasconnere.

È gustoso il vedè per aria alzarsi
El foco delle botti, allor che sbocca
Dalla parte di sopra, e assai slargarzi,
Nell'uscir dal recinto della bocca.
Si spanne, e folto poi va ad aguzzarzi
Quanto più sù, di svolicchià gli tocca,
Di fiamme il gruppo un monticel somiglia,
Che largo è abbasso, e in cima s'ossottiglia.

Mentre le botti son mezz'abbrusciate,
E da una parte cascareccie stanno,
Con un diluvio di saioccolate,
Vanno i regazzi a tozzolarle vanno.
Accompagnano a rocci le fischiate,
E danno gusto alla brigata danno,
E di saioccolarle mai non lasciano,
Sin che giù non traccollano, e si sfasciano.

O allora sì, che strillazzà si sente,
Sguazzanno in tel baccano la plebbaglia;
Chi gira intorno, e chi assai più valente
Verzo il foco con impeto si scaglia;
Zompa da parte a parte, e francamente,
Poi ritorna, e rizompa, e mai non sbaglia,
Perchè 'ste prove molto ben sa falle,
De salta su le fiamme, e non toccalle.

Ma poi c'è chalched'uno un po' marmotto,
Che pretenne mostrà la su' bravura;
Benchè habbia 'na vitaccia da fagotto,
Pur s'arrisica a fa' 'sta zompatura.
Si vede a mal partito poi ridotto,
Perchè slarganno el passo, la misura
Giusta non piglia, e libero non scampa
Dal foco, e ci urta almen con una zampa.

Di questo alla fangosa, ecco s'attacca
Il tritume del foco, e in fuggir via,
Colui, col piede stesso assai n'acciacca,
E più apparisce la su' goffarìa.
Resce alla fine, i piedi sbatte, e stacca
I carboncelli accesi, e partirìa
Pe' vergogna; ma resta, perchè vede,
Che l'istesso a molt'altri ancor succede.

Quanto più ponno li regazzi fischiano
Allora quanno 'sti gaglioffi ammascano,
Che zompà gnente sanno, e pur s'arrischiano
Et a farzi sbeffà gonzi ce cascano.
Fanno come i merlotti, che s'invischiano;
I bravi et i poltroni allor s'infrascano,
Prauso a quelli si fa, che ci riescono,
Contro chi sbaglia, le fischiate crescono.

Poi si da 'l sacco ai già cascati avanzi,
Et ecco nova buglia in campo scappa;
Chi verzo el foco va, chi curre innanzi,
Chi rubba i cerchi, e chi le doghe aggrappa.
Currono in furia e fan ch'ogn'un si scanzi,
Perchè, s'a urtarli chalched'uno incappa,
Nel moto, il foco piglia vento e intanto
Può sul grugno schizzà di chi gl'è accanto.

Parte al fine 'sta gente rompicolla,
E cert'altra ne viè, ma adascia adascia,
S'accosta allora, che non c'è più folla,
Cercanno l'util suo, che non è pascia.
Quella de zompi solo si satolla,
Ma questa poi se porta via la brascia
E n'impe un scallaletto o una padella,
La smorza in casa, e ne fa carbonella.

L'abbruscio delle botti, ecco è fornito,
Et ecco tutto il popolo rivolto
A uno spasso maggior, ch'è già ammannito:
Ch'è più sfavante assai, che piace molto.
Si fa nell'Alto, e assai famoso è 'l sito,
Fu quì Adriano Imperator sepolto,
E da lui prese il nome, e poi bel bello
Lo perze, oggi ciamannose Castello.

Di Fortezza real, giusto ha la foggia,
Sta in mezzo il Maschio, ch'è massiccio e tonno,
C'è in cima, in faccia al popolo una loggia,
In dove più perzone star ci ponno;
La soldatesca nei terrazzi alloggia,
Giù abbasso, e assai casuppole ce sonno,
E c'è loco scuperto, e cuperchiato
Più d'un cortile, e c'è insinenta un prato.

'Sto spazio così granne, viè rinchiuso
Da ben terrapienati muraglioni.
Le case matte pur ci son, per uso
Di chi sta in sentinella nei cantoni.
Aggiustati a i lor posti, e sotto e suso,
Stanno le colombrine et i cannoni,
Sventolicchiano in alto li stennardi",
C'è il ponte levatoro, e i baloardi.

Di lanternoni in giro, il Maschio è pieno,
Ha la loggia di torcie il su' filaro,
E con questo gran lume in ciel sereno
Par che voglian le stelle, annar del paro.
Piantati i mortaletti in sul terreno,
Ch'è drento, già cominzano lo sparo;
Fan botte, a darne giusto il paragone,
Più d'un moschetto, e meno d'un cannone.

Fatto di bronzo o ferro è il mortaletto,
Grosso, corto, assai greve, e materiale,
E voto in mezzo, e come un boccaletto,
Ma senza panza, è da per tutto uguale;
Verzo il fonno da fianco c'è un buscietto,
E de fora, el su' manico badiale;
Questo puro è massiccio e grossolano,
E largo è quanto ce può entra una mano.

Così facil si renne a maneggiallo,
Ritto si posa in terra, e ci vuò doppo
Un che pratico sia pe' caricallo,
Che faccenna non è da falla un pioppo;
Di polvere si rimpe, e bigna fallo,
Perchè più strepitoso sia Io schioppo;
A forza di mazzate, e con gran stento,
Di legno un tappo se gli caccia drento.

Di questi già, fatta se n'è una spasa
Nel prato, e accanto al buscio piccinino,
Dove asciucca è la terra, e d'erba è rasa,
Di polvere si mette un montoncino;
Quanno è 'l tempo, e la gente esce de casa,
Pe' fa' verzo Castello el suo camino,
Col miccio in su una canna, come è l'uso,
Dà foco il bombardiero, e volta il muso.

Et ecco 'sta sparata fa la spia,
Ch'hora mai poco è 'l tempo, che ce resta,
E che ogni cosa in ordine già stia,
Pe' fa' della Girannola la festa;
Ecco si spara allor l'artigliarìa,
Ecco de prescia el selcio si calpesta
Dal popolo, ch'il loco a piglià viene,
Dove 'ste cose pò vedè più bene.

Strade, piazze, finestre, e loggie, e tetti
Son già rempite d'affollate genti;
Dove c'è più bel posto, e folti e stretti
Molti da molti son urtati e spenti:
Perchè poi senza tedio ogn'uno aspetti,
Si fa 'na sorte di trattenimenti,
Che se pò mette tra le cose belle,
Et è lo sparo delle pignattelle.

Di queste, ogn'una ha forma d'una palla,
Di canavaccio assai calcata, e dura,
Drento si mette prima d'inserralla,
Di polvere e di solfo una mistura.
C'è uno stuppino poi, per appiccialla,
Che quanno bruscia un bel pezzetto dura;
Ma foco ancor non se glie dà, che prima
Metterla bigna, a un certo coso in cima.

Sparata in man, farìa de' brutti scrizzi,
E però allor propio nisciun la tocca,
Ma perchè da sè stessa il volo addrizzi,
Sta d'un canal di bronzo in su la bocca.
Acciò in aria con impeto poi schizzi,
De sotto ha un mortaletto che la scocca,
In quel canale c'è una porticella
Giù abbasso, e il mortaletto entra per quella.

Ha quest'ordegno nome di Mortaro,
Bench'à un mezzo cannon sia somigliante;
Sta in su voltato, acciò in tel fa' lo sparo
Dritta la palla sbigni via frullante.
Se ne smaltisce un mezzo centinaro,
Una in tempo dall'altra un pò distante;
Allo stuppin de sopra, in primo loco,
Poi sotto, al mortaletto, si dà foco.

Sbalza questo la palla, e giusto quanno
Schizza lei dal mortaro, fa una botta
Forzi più d'un moschetto, e in su volanno,
Striscia di foco fa, gnente interrotta;
Va in alto assai, poi giù precipitanno
Torna, e appunto com'un quanno borbotta,
Fa uno strepito fa sommesso e roco,
Che cresce più, quanto più cala il foco.

Se nel cascà a drittura, a caso piomba
Su chalche tettarello, lo sfragassa,
S'è debbole, perchè pesa che spiomba,
E talvolta il soffitto ancor trapassa;
Pe' le stanze lo strepito ribomba,
E quel male che pò, di far non lassa;
Chi ci abbita, assai granne ha la paura,
E se c'è danno rimedià procura.

Mentre che su le loggie si racconta,
Qual casa habbia patita la burrasca,
Un'altra pignattella ecco s'affronta,
Che sopra il ciel d'una carrozza casca.
Chi c'è drento, in un attimo giù smonta,
Ch'a restà fermo lì, non gli ricasca;
Il caso è vero che si manna in zurla,
Ma in realtà non è cosa da burla.

E puro strilli, e schiamazzate a josa
Si sentono, e fischiate a 'ste perzone,
Ma si fa buglia più ridicolosa,
Se casca tra le femmine pedone:
Allor sì, che si spazza la calcosa,
Chi strepita, chi fugge, in un portone
Chi si salva, chi drento a 'na bottega,
Chi per entracce il bottegaro prega.

È cosa a fè da strabilià, che spesso
Al popolo, che quanno fa del chiasso,
Gli pare giusto di sguazzà, l'istesso
Suo pericolo ancor serve di spasso;
Accosì propio gli succede adesso,
Che non sa dove assicuràne il passo
Pe' scampa da 'sto foco in aria mosso,
Pur vuò sciala col precipizio addosso.

Nova striscia fra tanto in alto s'alza
D'un'altra pignattella, che de botto
Casca in tel fiume, e sopra l'acque sbalza,
E poi pel peso ch'ha, va un pezzo sotto;
Per la forza del foco si rialza,
E allor sul ponte in quantità ridotto
El popolo a vedè sta con diletto,
Su l'acque, arder il foco un bel pezzetto.

 
 
 
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