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La Secchia Rapita 02-2

Post n°1267 pubblicato il 23 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

La Secchia Rapita
di Alessandro Tassoni

        34
Ma la Dea de le biade e 'l Dio del vino
venner congiunti e ragionando insieme;
Nettun si fe' portar da quel delfino
che fra l'onde del ciel notar non teme:
nudo, algoso e fangoso era il meschino,
di che la madre ne sospira e geme,
ed accusa il fratel di poco amore
che lo tratti cosí da pescatore.

        35
Non comparve la vergine Diana
che levata per tempo era ita al bosco
a lavare il bucato a una fontana
ne le maremme del paese Tosco;
e non tornò, che già la tramontana
girava il carro suo per l'aer fosco;
venne sua madre a far la scusa in fretta,
lavorando su i ferri una calzetta.

        36
Non intervenne men Giunon Lucina,
che 'l capo allora si volea lavare;
Menippo, sovrastante a la cucina
di Giove, andò le Parche ad iscusare
che facevano il pan quella mattina,
indi avean molta stoppa da filare;
Sileno cantinier restò di fuori
per inacquare il vin de' servidori.

        37
De la reggia del ciel s'apron le porte,
stridon le spranghe e i chiavistelli d'oro;
passan gli Dei da la superba corte
ne la sala real del Concistoro:
quivi sottratte a i fulmini di morte
splendon le ricche mura e i fregi loro;
vi perde il vanto suo qual piú lucente
e piú pregiata gemma ha l'Oriente.

        38
Posti a seder ne' bei stellati palchi
i sommi eroi de' fortunati regni,
ecco i tamburi a un tempo e gli oricalchi
de l'apparir del Re diedero segni.
Cento fra paggi e camerieri e scalchi
veníeno, e poscia i proceri piú degni;
e dopo questi Alcide con la mazza,
capitan de la guardia de la piazza.

        39
E come quel ch'ancor de la pazzia
non era ben guarito intieramente,
per allargare innanzi al Re la via
menava quella mazza fra la gente;
ch'un imbriaco svizzero paría,
di quei che con villan modo insolente
sogliono innanzi 'l Papa il dí di festa
romper a chi le braccia, a chi la testa.

        40
Col cappello di Giove e con gli occhiali
seguiva indi Mercurio, e in man tenea
una borsaccia, dove de' mortali
le suppliche e l'inchieste ei raccogliea;
dispensavale poscia a due pitali
che ne' suoi gabinetti il Padre avea,
dove con molta attenzion e cura
tenea due volte il giorno segnatura.

        41
Venne al fin Giove in abito reale
con quelle stelle c'han trovate in testa,
e su le spalle un manto imperiale
che soleva portar quand'era festa;
lo scettro in forma avea di pastorale
e sotto il manto una pomposa vesta
donatagli dal popol Sericano,
e Ganimede avea la coda in mano.

        42
A l'apparir del Re surse repente
da i seggi eterni l'immortal Senato,
e chinò il capo umíle e riverente
fin che nel trono eccelso ei fu locato.
Gli sedea la Fortuna in eminente
loco a sinistra, ed a la destra il Fato;
la Morte e 'l Tempo gli facean predella,
e mostravan d'aver la cacarella.

        43
Girò lo sguardo intorno, onde sereno
si fe' l'aer e 'l ciel, tacquero i venti,
e la terra si scosse e l'ampio seno
de l'oceano a' suoi divini accenti.
Ei cominciò dal dí che fu ripieno
di topi il mondo e di ranocchi spenti,
e narrò le battaglie ad una ad una
che ne' campi seguîr poi de la luna.

        44
- Or, disse, una maggior se n'apparecchia
tra quei del Sipa e la città del Potta:
sapete ch'è tra lor ruggine vecchia
e che piú volte s'han la testa rotta;
ma nuova gara or sopra d'una Secchia
han messa in campo; e se non è interrotta,
l'Italia e 'l mondo sottosopra veggio:
intorno a ciò vostro consiglio chieggio. -

        45
Qui tacque Giove, e 'l guardo a un tempo affisse
nel padre suo, che gli sedea secondo.
Sorrise il vecchio, e tirò un peto, e disse:
- Potta, i' credea che ruinasse il mondo.
Che importa a noi se guerra, liti e risse
turban là giú quel miserabil fondo?
E se gli uomini son lieti o turbati?
Io gli vorrei veder tutti impiccati. -

        46
Marte a quella risposta alzando il ciglio
- O buon vecchio, gridò, son teco anch'io;
che importa a questo eterno alto consiglio
se stato è colà giú turbato o rio?
Chi è nato a perigliar, viva in periglio:
viva e goda nel ciel chi è nato Dio.
Io, se la Diva mia nol mi disdice,
l'una e l'altra città farò infelice.

        47
Sazierà doppia strage il mio furore,
di corpi morti inalzerò montagne;
farò laghi di sangue e di sudore,
e tutte inonderò quelle campagne. -
- Cavalier, disse Palla, il tuo valore
san cantar fin le trippe e le lasagne,
sí che indarno ti studi e t'argomenti
di farlo or noto a le celesti menti.

        48
Ma s'hai desio di qualche degna impresa,
facciam cosí: va' tu co i Gemignani,
ch'io sarò de' Petroni a la difesa,
e ti verrò a incontrar là su que' piani.
Bologna sempre fu a' miei studi intesa;
onde tenermi a cintola le mani
or non debbo per lei. Tu meco scendi
se palma di valor, se gloria attendi. -

        49
A quel parlar si levò Febo e disse:
- Vergine bella, i' verrò teco anch'io
in favor di Bologna, ove ognor visse
l'antico studio de le Muse e mio. -
Bacco, che in Citerea le luci fisse
sempre tenute avea con gran desio
- Cosí dunque, rispose in volto irato,
fia il popol mio da tutti abbandonato?

        50
La città ch'ognor vive in feste e canti
fra maschere e tornei per onorarmi,
ch'ha si dolce liquor, vedrà fra tanti
travagli suoi qui neghittoso starmi?
Bella madre d'Amor, che co' sembianti
puoi far vinta cader la forza e l'armi,
tu meco scendi: ch'io farò a costoro
di stoppa rimaner la barba d'oro. -

        51
Sfavillò Citerea con un sorriso
che dicea: - Bacia, bacia, anima accesa -
e gli diede col ciglio a un tempo aviso.
che sarebbe ita seco a quell'impresa.
Marte, che 'n lei tenea lo sguardo fiso
avido di litigio e di contesa,
vedendo ch'ella avea d'andar desio,
disse: - A la fè, che vo' venir anch'io.

        52
Gite voi altri pur dove v'aggrada,
ch'io vo' seguir de la mia Diva i passi;
dove ella volge il piè, convien ch'io vada,
e quei di voi ch'ella abbandona, lassi.
Per lei combatte questa invitta spada
e questa destra; ed or per lei vedrassi
il Panaro gonfiarsi, e in atto strano
portar soccorso al Po di sangue umano. -

        53
Sorrise Palla, ma con occhio bieco
rimirollo Vulcan ch'era in disparte;
e disse: - Empio sicario, adunque meco
comune il letto avrai per ricrearte?
E Giove stesso accorderassi teco
nel vituperio di sua figlia a parte?
Per Stige, ch'io non so chi mi s'arresta
ch'io non ti do di questo in su la testa. -

        54
E strignendo un martel ch'al fianco avea,
sollevò il braccio, e di menar fece atto.
La manopola allor ch'in man tenea
lanciògli Marte, e balzò in piedi ratto
sgangherato gridando: - Anima rea,
t'insegnerò ben io di starti quatto. -
Giove che vide accesa una battaglia,
stese lo scettro e disse: - Olà, canaglia!

        55
Dove credete star? giuro a Macone
ch'io vi gastigherò di tanto ardire;
venga il fulmine tosto. - E l'Aquilone
il fulmine arrecògli in questo dire.
Vulcan tratto a' suoi piedi in ginocchione
chiedea mercede e intiepidiva l'ire
lagrimando i suoi casi e l'empia sorte,
ma piú l'infedeltà de la consorte.

        56
Citerea, che si vide a mal partito,
per una porticella di nascosto
da lo sdegno del padre e del marito,
mentre questi piagnea, s'involò tosto:
e dietro a lei senza aspettar invito
corsero il Dio de l'armi e 'l Dio del mosto;
ella in terra con lor prese la via,
e in mezzo a lor dormí su l'osteria.

        57
Gli abbracciamenti, i baci e i colpi lieti
tace la casta Musa e vergognosa;
da la congiunzion di que' pianeti
ritorce il plettro e di cantar non osa:
mormora sol fra sé detti segreti,
ch'al fuggir de la notte umida ombrosa
fatto avean Marte e 'l giovane tebano
trenta volte cornuto il dio Vulcano.

        58
L'oste di Castelfranco un gran pollaio
con uova fresche avea quanto la rena;
ne bebbero i due amanti un centinaio,
che smidollata si sentian la schiena:
ma la Diva ne volle solo un paio,
che d'altro forse avea la pancia piena.
La Diva, per non dar di sé sospetto,
presa la forma avea d'un giovinetto.

        59
Di candido ermesin tutto trinciato
sopra seta vermiglia, era vestita,
con un colletto bianco profumato,
calzetta bianca e cinta colorita:
di bianco il piè leggiadro era calzato;
non si potea veder piú bella vita;
un pugnaletto d'or cingeva al fianco,
e nel cappello un pennacchietto bianco.

        60
Ma l'oste ch'era guercio e Bolognese,
tanto peggio stimò ne' suoi concetti
quando corcarsi in terzo egli comprese
l'amoroso garzon fra tanti letti.
Sgombrarono gli Dei tosto il paese,
che di colui conobbero i sospetti,
temendo che 'l fellon con falso indizio
non gli accusasse quivi al Malefizio.

        61
A Modana passâr quella mattina,
e ritrovâr che vi si fea gran festa:
un palio di teletta cremesina
correasi a fiori d'or tutta contesta.
Vedendo quella gente pellegrina,
ognuno a gara ne facea richiesta;
e molti li tenean per recitanti
venuti a preparar comedie inanti.

        62
Dicean che Marte il Capitan Cardone,
e Bacco esser dovea l'innamorato,
e quel vago leggiadro e bel garzone
esser a far da donna ammaestrato.
Cosí alle volte ancor fuor di ragione
si tocca il punto; e molti han profetato
che si credean di favellare a caso:
la sorte ed il saper stanno in un vaso.

        63
Poscia che passeggiata a parte a parte
ebber gli Dei quella città fetente,
e ben considerato il sito e l'arte
del guerreggiare e 'l cor di quella gente,
a un'osteria si trassero in disparte
ch'avea un trebbian di Dio dolce e rodente,
e con capponi e starne e quel buon vino
cenaron tutti e tre da paladino.

        64
Mentre questi godean, da l'altro canto
Pallade e Febo eran discesi in terra;
e concitando gían Bologna intanto
e le città de la Romagna in guerra.
Quanto è dal Reno al Rubicone, e quanto
tra 'l monte e 'l mar quivi s'estende e serra,
s'unisce con Bologna e s'apparecchia
di gir con l'armi a racquistar la Secchia.

        65
L'intesero gli amanti, e a la difesa
prepararono anch'essi i lor vassalli:
Bacco chiamò i Tedeschi a quell'impresa,
e andò fin in Germania ad invitalli.
Essi quand'ebber la sua voglia intesa,
in un momento armar fanti e cavalli,
benedicendo ottobre e San Martino,
e sperando notar tutti nel vino.

        66
Marte restò in Italia a preparare
la milizia di Parma e di Cremona;
Venere disse che volea tentare
di far venir un Re quivi in persona;
e passando dov'Arno ha foce in mare,
si fe' da le Nereidi a la Gorgona
portar, e quindi a l'isola de' Sardi
ricca di cacio e d'uomini bugiardi.

 
 
 
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