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Il Galateo (21-24)

Post n°1242 pubblicato il 21 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

21.
Un'altra maniera si truova di sollazzevoli modi pure posta nel favellare: cioè quando la piacevolezza non consiste in motti, che per lo più sono brievi, ma nel favellar disteso e continuato, il quale vuole essere ordinato e bene espresso e rappresentante i modi, le usanze, gli atti et i costumi di coloro de' quali si parla, sì che all'uditore sia aviso non di udir raccontare, ma di veder con gli occhi fare quelle cose che tu narri: il che ottimamente seppono fare gli uomini e le donne del Boccaccio, come che pure talvolta (se io non erro) si contrafacessero più che a donna o a gentiluomo non si sarebbe convenuto, a guisa di coloro che recitan le comedie. Et a voler ciò fare, bisogna aver quello accidente, o novella o istoria, che tu pigli a dire bene raccolta nella mente, e le parole pronte et apparecchiate, sì che non ti convenga tratto tratto dire: - Quella cosa... - e - Quel cotale... - o - Quel... come si chiama? - o - Quel lavorio - né - Aiutatemelo a dire - e - Ricordatemi come egli ha nome -; perciò che questo è appunto il trotto del cavalier di madonna Orretta! E se tu reciterai uno avenimento nel quale intervenghino molti, non dèi dire - Colui disse... - e - Colui rispose... -, perciò che tutti siamo «colui», sì che chi ode facilmente erra: conviene adunque che chi racconta ponga i nomi e poi non gli scambi. Et oltre a ciò, si dèe l'uomo guardare di non dir quelle cose, le quali taciute, la novella sarebbe non meno piacevole o per aventura ancora più piacevole: - Il tale, che fu figliuol del tale, che stava a casa nella via del Cocomero... no 'l conosceste voi? Che ebbe per moglie quella de' Gianfigliazzi: una cotal magretta, che andava alla messa in San Lorenzo... come, no? Anzi, non conosceste altri! Un bel vecchio diritto, che portava la zazzera... non ve ne ricordate voi? -; perciò che, se fosse tutto uno che il caso fosse avenuto ad un altro come a costui, tutta questa lunga quistione sarebbe stata di poco frutto, anzi di molto tedio, a coloro che ascoltano e sono vogliosi e frettolosi di sentire quello avenimento, e tu gli aresti fatto indugiare; sì come per aventura fece il nostro Dante:
E li parenti miei furon Lombardi
E Mantovan per patria ambidui;

perciò che niente rilevava se la madre di lui fosse stata da Gazuolo o anco da Cremona. Anzi, apparai io già da un gran retorico forestiero uno assai utile ammaestramento d'intorno a questo, cioè che le novelle si deono comporre et ordinare prima co' sopranomi e poi raccontare co' nomi; perciò che quelli sono posti secondo le qualità delle persone e questi secondo l'appetito de' padri o di coloro a chi tocca. Per la qual cosa colui che, in pensando, fu m[esser] Avaritia, in proferendo sarà messer Erminio Grimaldi, se tale sarà la generale openione che la tua contrada arà di lui, quale a Guglielmo Borsieri fu detto esser di messer Erminio in Genova. E se nella terra ove tu dimori non avesse persona molto conosciuta che si confacesse al tuo bisogno, sì dèi tu figurare il caso in altro paese et il nome imporre come più ti piace. Vera cosa è che con maggior piacere si suole ascoltare e, più, aver dinanzi agli occhi quello che si dice essere avenuto alle persone che noi conosciamo (se l'avenimento è tale che si confaccia a' loro costumi) che quello che è intervenuto agli strani e non conosciuti da noi; e la ragione è questa: che, sapendo noi che quel tale suol far così, crediamo che egli così abbia fatto, e riconosciamolo come presente, dove degli strani non avien così.

22.
Le parole, sì nel favellare disteso come negli altri ragionamenti, vogliono esser chiare, sì che ciascuno della brigata le possa agevolmente intendere, et oltre a ciò belle in quanto al suono et in quanto al significato, perciò che se tu arai da dire l'una di queste due, dirai più tosto il ventre che l'epa, e, dove il tuo linguaggio lo sostenga, dirai più tosto la pancia che il ventre o il corpo, perciò che così sarai inteso e non franteso, sì come noi Fiorentini diciamo, e di niuna bruttura farai sovenire all'uditore. La qual cosa volendo l'ottimo poeta nostro schifare, sì come io credo, in questa parola stessa, procacciò di trovare altro vocabolo, non guardando perché alquanto gli convenisse scostarsi per prenderlo in altro luogo, e disse:
Ricorditi che fece il peccar nostro
Prender Dio, per scamparne,
Umana carne al tuo virginal chiostro!

E come che Dante, sommo poeta, altresì poco a così fatti ammaestramenti ponesse mente, io non sento per ciò che di lui si dica per questa cagione bene alcuno. E certo io non ti consiglierei che tu lo volessi fare tuo maestro in questa arte dello esser gratioso, con ciò sia cosa che egli stesso non fu, anzi in alcuna Cronica trovo così scritto di lui: «Questo Dante per suo sapere fu alquanto presuntoso e schifo e sdegnoso, e quasi, a guisa di filosofo, mal gratioso, non ben sapeva conversare co' laici». Ma, tornando alla nostra materia, dico che le parole vogliono essere chiare; il che averrà, se tu saprai scegliere quelle che sono originali di tua terra, che non siano per ciò antiche tanto che elle siano divenute rance e viete, e, come logori vestimenti, diposte o tralasciate, sì come spaldoet epa et uopo e sezzaio e primaio; et oltre a ciò, se le parole che tu arai per le mani saranno non di doppio intendimento, ma semplici, perciò che di quelle accozzate insieme si compone quel favellare che ha nome «enigma» et in più chiaro volgare si chiama «gergo»:
Io vidi un che da sette passatoi
fu da un canto all'altro trapassato.

Ancora vogliono esser le parole il più che si può appropriate a quello che altri vuol dimostrare, e meno che si può comuni ad altre cose, perciò che così pare che le cose istesse si rechino in mezzo e che elle si mostrino non con le parole, ma con esso il dito: e perciò più acconciamente diremo «riconosciuto alle fattezze» che «alla figura» o «alla imagine»; e meglio rappresentò Dante la cosa detta, quando e' disse:
che li pesi
fan così cigolar le sue bilancie,

che se egli avesse detto o gridare o stridere o far romore. E più singolare è il dire «il ribrezzo della quartana» che se noi dicessimo «il freddo»; e «la carne soverchio grassa stucca» che se noi dicessimo satia; e « sciorinare i panni» e non ispandere; et i moncherini e non le braccia mozze; et all'orlo dell'acqua d'un fosso
Stan li ranocchi pur col muso fuori

e non con la bocca: i quali tutti sono vocaboli di singolare significatione, e similmente « il vivagno della tela» più tosto che l'estremità. E so io bene che, se alcun forestiero per mia sciagura s'abbattesse a questo trattato, egli si farebbe beffe di me e direbbe che io t'insegnassi di favellare in gergo overo in cifera, con ciò sia che questi vocaboli siano per lo più così nostrani che alcuna altra natione non gli usa, et usati da altri non gl'intende. E chi è colui che sappia ciò che Dante si volesse dire in quel verso:
Già veggia per mezzul perdere o lulla?

Certo io credo che nessuno altro che noi Fiorentini; ma, non di meno, secondo che a me è stato detto, se alcun fallo ha pure in quel testo di Dante, egli non l'ha nelle parole, ma (se egli errò) più tosto errò in ciò, che egli - sì come uomo alquanto ritroso - imprese a dire cosa malagevole ad isprimere con parole e per aventura poco piacevole ad udire, che perché egli la isprimesse male. Niun puote, adunque, ben favellare con chi non intende il linguaggio nel quale egli favella, né, perché il Tedesco non sappia latino, debbiam noi per questo guastar la nostra loquela in favellando con esso lui, né contrafarci a guisa di mastro Brufaldo, sì come soglion fare alcuni che per la loro sciocchezza si sforzano di favellar del linguaggio di colui con cui favellano, quale egli si sia, e dicono ogni cosa a rovescio; e spesso aviene che lo Spagniuolo parlerà italiano con lo Italiano, e lo Italiano favellerà per pompa e per leggiadria con esso lui spagniuolo: e non di meno assai più agevol cosa è il conoscere che amendue favellano forestiero che il tener le risa delle nuove sciocchezze che loro escono di bocca. Favelleremo adunque noi nell'altrui linguaggio qualora ci farà mestiero di essere intesi per alcuna nostra necessità, ma nella comune usanza favelleremo pure nel nostro, etiandio men buono, più tosto che nell'altrui migliore, perciò che più acconciamente favellerà un Lombardo nella sua lingua, quale s'è la più difforme, che egli non parlerà toscano o d'altro linguaggio, pure perciò che egli non arà mai per le mani, per molto che egli si affatichi, sì bene i proprii e particolari vocaboli come abbiamo noi Toscani. E se pure alcuno vorrà aver risguardo a coloro co' quali favellerà e perciò astenersi da' vocaboli singolari, de' quali io ti ragionava, et in luogo di quelli usare i generali e comuni, i costui ragionamenti saranno perciò di molto minor piacevolezza. Dèe oltre a ciò ciascun gentiluomo fuggir di dire le parole meno che oneste: e la onestà de' vocaboli consiste o nel suono e nella voce loro o nel loro significato, con ciò sia cosa che alcuni nomi venghino a dire cosa onesta e non di meno si sente risonare nella voce istessa alcuna disonestà, sì come rinculare (la qual parola, ciò non ostante, si usa tuttodì da ciascuno); ma se alcuno, o uomo o femina, dicesse per simil modo et a quel medesimo ragguaglio il farsi innanzi che si dice il farsi indrieto, allora apparirebbe la disonestà di cotal parola, ma il nostro gusto per la usanza sente quasi il vino di questa voce e non la muffa.

Le mani alzò con amendue le fiche,

disse il nostro Dante, ma non ardiscono di così dire le nostre donne, anzi, per ischifare quella parola sospetta, dicon più tosto le castagne, come che pure alcune, poco accorte, nominino assai spesso disavedutamente quello che se altri nominasse loro in pruova elle arrossirebbono, facendo mentione per via di bestemmia di quello onde elle sono femine. E perciò quelle che sono, o vogliono essere, ben costumate, procurino di guardarsi non solo dalle disoneste cose, ma ancora dalle parole, e non tanto da quelle che sono, ma etiandio da quelle che possono essere, o ancora parere, o disoneste o sconcie e lorde, come alcuni affermano essere queste pur di Dante:
Se non ch' al viso e di sotto mi venta;

o pur quelle:
Però ne dite ond' è presso pertugio;
Et un di quelli spirti disse: Vieni
Dirieto a noi, che troverai la buca.

E dèi sapere che, come che due o più parole venghino talvolta a dire una medesima cosa, non di meno l'una sarà più onesta e l'altra meno, sì come è a dire Con lui giacque e Della sua persona gli sodisfece, perciò che questa stessa sentenza, detta con altri vocaboli, sarebbe disonesta cosa ad udire. E più acconciamente dirai «il vago della luna» che tu non diresti il drudo, avegna che amendue questi vocaboli importino «lo amante», e più convenevol parlare pare a dire la fanciulla e l'amica che «la concubina di Titone»; e più dicevole è a donna, et anco ad uomo costumato, nominare le meretrici femine di mondo (come la Belcolore disse, più nel favellare vergognosa che nello adoperare) che a dire il comune loro nome: «Taide è la puttana», e come il Boccaccio disse, «la potenza delle meretrici e de' ragazzi»; ché, se così avesse nominato dall'arte loro i maschi come nominò le femine, sarebbe stato sconcio e vergognoso il suo favellare. Anzi, non solo si dèe altri guardare dalle parole disoneste e dalle lorde, ma etiandio dalle vili, e spetialmente colà dove di cose alte e nobili si favelli; e per questa cagione forse meritò alcun biasimo la nostra Beatrice, quando disse:
L'alto fato di Dio sarebbe rotto
Se Lethé si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata sanza alcuno scotto
Di pentimento...,

ché, per aviso mio, non istette bene il basso vocabolo delle taverne in così nobile ragionamento. Né dèe dire alcuno «la lucerna del mondo» in luogo del sole, perciò che cotal vocabolo rappresenta altrui il puzzo dell'olio e della cucina; né alcuno considerato uomo direbbe che San Domenico fu «il drudo della teologia» e non racconterebbe che i Santi gloriosi avessero dette così vili parole come è a dire:
E lascia pur grattar dove è la rogna,

che sono imbrattate della feccia del volgar popolo, sì come ciascuno può agevolmente conoscere. Adunque, ne' distesi ragionamenti si vogliono avere le sopra dette considerationi et alcune altre, le quali tu potrai più ad agio apprendere da' tuoi maestri e da quella arte che essi sogliono chiamare retorica. E negli altri bisogna che tu ti avezzi ad usare le parole gentili e modeste e dolci, sì che niuno amaro sapore abbiano; et innanzi dirai: - Io non seppi dire - che - Voi non m'intendete - e - Pensiamo un poco se così è come noi diciamo - più tosto che dire - Voi errate! - o - E' non è vero! - o - Voi non la sapete ! -; però che cortese et amabile usanza è lo scolpare altrui, etiandio in quello che tu intendi d'incolparlo, anzi si dèe far comune l'error proprio dello amico, e prenderne prima una parte per sé, e poi biasimarlo o riprenderlo. - Noi errammo la via - e - Noi non ci ricordammo ieri di così fare -; come che lo smemorato sia pur colui solo e non tu. E quello che Restagnone disse a' suoi compagni non istette bene («Voi, se le vostre parole non mentono»), perché non si dèe recare in dubbio la fede altrui, anzi, se alcuno ti promise alcuna cosa e non te la attenne, non istà bene che tu dichi: - Voi mi mancaste della vostra fede! -, salvo se tu non fossi constretto da alcuna necessità, per salvezza del tuo onore, a così dire; ma, se egli ti arà ingannato, dirai: - Voi non vi ricordaste di così fare -; e se egli non se ne ricordò, dirai più tosto: - Voi non poteste - o - Non vi tornò a mente - che - Voi vi dimenticaste - o - Voi non vi curaste di attenermi la promessa -, perciò che queste sì fatte parole hanno alcuna puntura ed alcun veneno di doglienza e di villania; sì che coloro che costumano di spesse volte dire cotali motti sono riputati persone aspere e ruvide, e così è fuggito il loro consortio come si fugge di rimescolarsi tra' pruni e tra' triboli.

23.
E perché io ho conosciute di quelle persone che hanno una cattiva usanza e spiacevole, cioè che così sono vogliosi e golosi di dire che non prendono il sentimento, ma lo trapassano e corrongli dinanzi a guisa di veltro che non assanni, per ciò non mi guarderò io di dirti quello che potrebbe parer soverchio a ricordare, come cosa troppo manifesta: e cioè che tu non dèi già mai favellare che non abbi prima formato nell'animo quello che tu dèi dire, ché così saranno i tuoi ragionamenti parto e non isconciatura (ché bene mi comporteranno i forestieri questa parola, se mai alcuno di loro si curerà di legger queste ciancie). E se tu non ti farai beffe del mio ammaestramento, non ti avverrà mai di dire - Ben venga, messere Agostino - a tale che arà nome Agnolo o Bernardo; e non arai a dire - Ricordatemi il nome vostro - e non ti arai a ridire, né a dire - Io non dissi bene - né - Domin, ch' io lo dica! -; né a scilinguare o balbotire lungo spatio per rinvenire una parola: - maestro Arrigo... No, maestro Arabico... O, ve' che lo dissi: maestro Agabito! -: che sono a chi t'ascolta tratti di corda. La voce non vuole esser né roca né aspera, e non si dèe stridere, né per riso o per altro accidente cigolare come le carrucole fanno, né, mentre che l'uomo sbadiglia, pur favellare. Ben sai che noi non ci possiamo fornire né di spedita lingua né di buona voce a nostro senno; chi è o scilinguato o roco non voglia sempre essere quegli che cinguetti, ma correggere il difetto della lingua col silentio e con le orecchie: et anco si può con istudio scemare il vitio della natura. Non istà bene alzar la voce a guisa di banditore, né anco si dèe favellare sì piano che chi ascolta non oda; e se tu non sarai stato udito la prima volta, non dèi dire la seconda ancora più piano, né anco dèi gridare, acciò che tu non dimostri d'imbizzarrire perciò che ti sia convenuto replicare quello che tu avevi detto. Le parole vogliono essere ordinate secondo che richiede l'uso del favellar comune e non aviluppate et intralciate in qua et in là, come molti hanno usanza di fare per leggiadria, il favellar de' quali si rassomiglia più a notaio che legga in volgare lo instrumento che egli dettò latino che ad uom che ragioni in suo linguaggio; come è a dire:
Imagini di ben seguendo false

e
Del fiorir queste inanzi tempo tempie;

i quali modi alle volte convengono a chi fa versi, ma a chi favella si disdicono sempre. E bisogna che l'uomo non solo si discosti in ragionando dal versificare, ma etiandio dalla pompa dello arringare: altrimenti sarà spiacevole e tedioso ad udire, come che per aventura maggior maestria dimostri il sermonare che il favellare; ma in ciò si dèe riservare a suo luogo, ché chi va per via non dèe ballare, ma caminare, con tutto che ogniuno non sappia danzare et andar sappia ogniuno (ma conviensi alle nozze e non per le strade!). Tu ti guarderai adunque di favellar pomposo: «Credesi per molti filosofanti...», e tale è tutto il Filocolo e gli altri trattati del nostro m[esser] Giovan Boccaccio, fuori che la maggior opera, et ancora più di quella, forse, il Corbaccio. Non voglio perciò che tu ti avezzi a favellare sì bassamente come la feccia del popolo minuto e come la lavandaia e la trecca, ma come i gentiluomini; la qual cosa come si possa fare ti ho in parte mostrato di sopra, cioè se tu non favellerai di materia né vile, né frivola, né sozza, né abominevole. E se tu saprai scegliere fra le parole del tuo linguaggio le più pure e le più proprie e quelle che miglior suono e miglior significatione aranno, sanza alcuna rammemoratione di cosa brutta, né laida, né bassa, e quelle accozza[r]e, non ammassandole a caso, né con troppo scoperto studio mettendole in filza, et, oltre a ciò, se tu procaccerai di compartire discretamente le cose che tu a dire arai, e guardera'ti di congiugnere le cose difformi tra sé, come:
Tullio e Lino e Seneca morale,

o pure:
L'uno era Padovano e l'altro laico,

e se tu non parlerai sì lento, come svogliato, né sì ingordamente, come affamato, ma come temperato uomo dèe fare, e se tu proferirai le lettere e le sillabe con una convenevole dolcezza, non a guisa di maestro che insegni leggere e compitare a' fanciulli, né anco le masticherai né inghiottiraile appiccate et impiastricciate insieme l'una con l'altra; se tu arai adunque a memoria questi et altri sì fatti ammaestramenti, il tuo favellare sarà volentieri e con piacere ascoltato dalle persone, e manterrai il grado e la degnità che si conviene a gentiluomo bene allevato e costumato.

24.
Sono ancora molti che non sanno restar di dire, e, come nave spinta dalla prima fuga per calar vela non s'arresta, così costoro trapportati da un certo impeto scorrono e, mancata la materia del loro ragionamento, non finiscono per ciò, anzi, o ridicono le cose già dette, o favellano a vòto. Et alcuni altri tanta ingordigia hanno di favellare che non lasciano dire altrui; e come noi veggiamo tal volta su per l'aie de' contadini l'un pollo tòrre la spica di becco all'altro, così cavano costoro i ragionamenti di bocca a colui che gli cominciò e dicono essi; e sicuramente che eglino fanno venir voglia altrui di azzuffarsi con esso loro, perciò che, se tu guardi bene, niuna cosa muove l'uomo più tosto ad ira, che quando improviso gli è guasto la sua voglia et il suo piacere, etiandio minimo: sì come quando tu arai aperto la bocca per isbadigliare et alcuno te la tura con mano, o quando tu hai alzato il braccio per trarre la pietra et egli t' è subitamente tenuto da colui che t'è dirieto. Così adunque come questi modi (e molti altri a questi somiglianti) che tendono ad impedir la voglia e l'appetito altrui ancora per via di scherzo e per ciancia sono spiacevoli e debbonsi fuggire, così nel favellare si dèe più tosto agevolare il disiderio altrui che impedirlo. Per la qual cosa, se alcuno sarà tutto in aspetto di raccontare un fatto, non istà bene di guastargliele, né di dire che tu lo sai, o, se egli anderà per entro la sua istoria spargendo alcuna bugiuzza, non si vuole rimproverargliele né con le parole né con gli atti, crollando il capo o torcendo gli occhi, sì come molti soglion fare, affermando sé non potere in modo alcuno sostener l'amaritudine della bugia; ma egli non è questa la cagione di ciò, anzi è l'agrume e lo aloe della loro rustica natura et aspera, che sì gli rende venenosi et amari nel consortio degli uomini che ciascuno gli rifiuta. Similmente il rompere altrui le parole in bocca è noioso costume e spiace, non altrimenti che quando l'uomo è mosso a correre et altri lo ritiene. Né quando altri favella si conviene di fare sì che egli sia lasciato et abbandonato dagli uditori, mostrando loro alcuna novità e rivolgendo la loro attentione altrove: ché non istà bene ad alcuno licentiar coloro che altri, e non egli, invitò. E vuolsi stare attento, quando l'uom favella, acciò che non ti convenga dire tratto tratto: - Eh? - o - Come? -; il qual vezzo sogliono avere molti, e non è ciò minore sconcio a chi favella che lo intoppare ne' sassi a chi va. Tutti questi modi e generalmente ciò che può ritenere e ciò che si può attraversare al corso delle parole di colui che ragiona, si vuol fuggire. E se alcuno sarà pigro nel favellare, non si vuol passargli inanzi né prestargli le parole, come che tu ne abbi dovitia et egli difetto; ché molti lo hanno per male, e spetialmente quelli che si persuadono di essere buoni parlatori, perciò che è loro aviso che tu non gli abbi per quello che essi si tengono e che tu gli vogli sovenire nella loro arte medesima; come i mercatanti si recano ad onta che altri proferisca loro denari, quasi eglino non ne abbiano e siano poveri e bisognosi dell'altrui. E sappi che a ciascuno pare di saper ben dire, come che alcuno per modestia lo nieghi. E non so io indovinare donde ciò proceda, che chi meno sa più ragioni: dalla qual cosa (cioè dal troppo favellare) conviene che gli uomini costumati si guardino, e spetialmente poco sapendo, non solo perché egli è gran fatto che alcuno parli molto sanza errar molto, ma perché ancora pare che colui che favella soprastia in un certo modo a coloro che odono, come maestro a' discepoli; e perciò non istà bene di appropriarsi maggior parte di questa maggioranza, che non ci si conviene: et in tale peccato cadono non pure molti uomini, ma molte nationi favellatrici e seccatrici sì, che guai a quella orecchia che elle assannano. Ma, come il soverchio dire reca fastidio, così reca il soverchio tacere odio, perciò che il tacersi colà, dove gli altri parlano a vicenda, pare un non voler metter sù la sua parte dello scotto, e perché il favellare è uno aprir l'animo tuo a chi t'ode, il tacere per lo contrario pare un volersi dimorare sconosciuto. Per la qual cosa, come que' popoli che hanno usanza di molto bere alle loro feste e d'inebriarsi soglion cacciar via coloro che non beono, così sono questi così fatti mutoli mal volentieri veduti nelle liete et amichevoli brigate. Adunque piacevol costume è il favellare e lo star cheto ciascuno, quando la volta viene a lui.

 
 
 
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