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Rime del Berni 27-34

Post n°1227 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

27

Prefazione al commento del capitolo della primiera

Vo' avete a saper, buone persone,
che costui c'ha composto questa cosa
non è persona punto ambiziosa
et ha dirieto la riputazione:
l'aveva fatta a sua satisfazione,
non come questi autor di versi e prosa,
che, per far la memoria lor famosa,
voglion andar in stampa a procissione.
Ma perché ogniun gli rompeva la testa,
ogniun la domandava e la voleva
et a lui non piaceva questa festa,
veniva questo e quello e gli diceva:
"O tu mi da' quel libro, o tu me 'l presta",
e se gliel dava, mai non lo rendeva,
ond'ei che s'avedeva
ch'al fin n'arebbe fatti pochi avanzi,
deliberò levarsi ogniun dinanzi;
e venutogli innanzi
un che di stampar opere lavora,
disse: "Stampatemi questo in mal'ora".
Così l'ha dato fuora,
e voi che n'avevate tanta frega
andatevi per esso alla bottega.



28

Contro l'essergli dati a forza versi e carmi

Eran già i versi a i poeti rubati
come or si ruban le cose tra noi,
onde Vergilio, per salvar i suoi,
compose quei dua distichi abbozzati.
A me quei d'altri son per forza dati,
e dicon: "Tu gli arai, vuoi o non vuoi";
sì che, poeti, io son da più che voi,
dappoi che io son vestito e voi spogliati.
Ma voi di versi restavate ignudi,
poi quegli Augusti e Mecenati e Vari
vi facevan le tonache di scudi.
A me son date frasche, a voi danari;
voi studiate, et io pago li studii
e fo che un altro alle mie spese impari.
Non son di questi avari
di nome né di gloria di poeta:
vorrei più presto aver oro o moneta;
e la gente faceta
mi vuol pur impiastrar di versi e carmi,
come se io fusse di razza di marmi.
Non posso ripararmi:
come si vede fuor qualche sonetto,
il Berni l'ha composto a suo dispetto;
e fanvi su un sguazzetto
di chiose e sensi, che rineghi il cielo
se Luter fa più stracci del vangelo.
Io non ebbi mai pelo
che pur pensasse a ciò, non che 'l facessi;
e pur lo feci, ancor che non volessi.
In Ovidio non lessi
mai che gli uomini avessen tanto ardire
di mutarsi in cornette, in pive, in lire,
e fussin fatti dire
ad uso di trombetta veniziano,
che ha dietro un che gli legge il bando piano.
Aspetto a mano a mano
che, perch'io dica a suo modo, il comune
mi pigli e leghi e dìame della fune.



29

Sonetto di Papa Chimente

Può far il ciel però, papa Chimenti,
ciò è papa castron, papa balordo,
che tu sie diventato cieco e sordo
et abbi persi tutti i sentimenti?

Non vedi tu, non odi o non senti
che costor voglion teco far l'accordo
per ischiacciarte il capo come al tordo
co i lor prefati antichi trattamenti?

Egli è universale oppenione
che sotto queste carezze et amori
ei ti daran la pace di Marcone.

Ma so ben io, gli Iacopi e' Vettori,
Filippo, Baccio, Zanobi e Simone,
e' compagni di corte e cimatori,

vogliono e lor lavori
poter mandare alle fiere e a' mercati
e non fanno per lor questi soldati.

Voi, domini imbarcati,
Renzo, Andrea d'Oria e Conte di Gaiazzo,
vi menarete tutti quanti il cazzo;

il papa andrà a solazzo
il sabbato alla vigna o a Belvedere
e sguazzarà che sarà un piacere.

Voi starete a vedere:
che è e che non è, una mattina
ci sarà fatto a tutti una schiavina.



30

Al sonetto del Bembo [...] contraffà la parodia

Né navi né cavalli o schiere armate,
che si son mosse così giustamente,
posson ancor la misera e dolente
Italia e Roma porre in libertate.

S'è speso tanto ch'è una pietate,
e spenderassi e spendesi sovente:
mi par ch'abbiamo un desiderio ardente
di parer pazzi alla futura etate.

Onde al vulgo ancor io m'ascondo e celo;
non leggo e scrivo sempre e 'n mal soggiorno
perdendo l'ore, spendo e non guadagno.

Cosa grata non ho dentro o d'intorno,
testimon m'è colui che regge il cielo;
di me sol, non d'altrui mi dolgo e lagno.



31

Sonetto alla sua donna

Chiome d'argento fino, irte e attorte
senz'arte intorno ad un bel viso d'oro;
fronte crespa, u' mirando io mi scoloro,
dove spunta i suoi strali Amor e Morte;

occhi di perle vaghi, luci torte
da ogni obietto diseguale a loro;
ciglie di neve e quelle, ond'io m'accoro,
dita e man dolcemente grosse e corte;

labra di latte, bocca ampia celeste;
denti d'ebeno rari e pellegrini;
inaudita ineffabile armonia;

costumi alteri e gravi: a voi, divini
servi d'Amor, palese fo che queste
son le bellezze della donna mia.



32

Contra Pietro Aretino

Tu ne dirai e farai tante e tante,
lingua fracida, marcia, senza sale,
che al fin si troverà pur un pugnale
meglior di quel d'Achille e più calzante.

Il papa è papa e tu sei un furfante,
nodrito del pan d'altri e del dir male;
hai un pie' in bordello e l'altro in ospitale,
storpiataccio, ignorante e arrogante.

Giovan Mateo e gli altri che gli ha appresso,
che per grazia de Dio son vivi e sani,
ti metteran ancor un dì in un cesso.

Boia, scorgi i costumi tuoi ruffiani
e se pur vòi cianciar, di' di te stesso:
guàrdati il petto, la testa e le mani.

Ma tu fai come i cani,
che, dà pur lor mazzate se tu sai,
come l'han scosse, son più bei che mai.

Vergognati oramai,
prosontuoso, porco, mostro infame,
idol del vituperio e della fame,

ché un monte di letame
t'aspetta, manegoldo, sprimacciato,
perché tu moia a tue sorelle allato;

quelle due, sciagurato,
c'hai nel bordel d'Arezzo a grand'onore,
a gambettar: "Che fa lo mio amore?"

Di quelle, traditore,
dovevi far le frottole e novelle
e non del Sanga che non ha sorelle.

Queste saranno quelle
che mal vivendo ti faran le spese,
e 'l lor, non quel di Mantova, marchese;

ch'ormai ogni paese
hai amorbato, ogni omo, ogni animale:
il ciel, Iddio, il diavol ti vol male.

Quelle veste ducale,
o ducali, acattate e furfantate,
che ti piangon in dosso sventurate,

a suon di bastonate
ti seran tolte, avanti che tu moia,
dal reverendo padre messer boia;

che l'anima di noia
mediante un bel capestro caveratti
e per maggior favor poi squarteratti;

e quei tuoi leccapiatti
bardassonacci, paggi da taverna,
ti canteran il requiem eterna.

Or vivi e ti governa;
ben che un pugnale, un cesso, o ver un nodo
ti faranno star queto in ogni modo.



33

Sonetto al Signor D'Armini

Empio signor, che della robba altrui
lieto ti vai godendo e del sudore,
venir ti possa un cancaro nel cuore,
che ti porti di peso a i regni bui.

E venir possa un cancaro a colui
che di quella città ti fé signore;
e se gli è altri che ti dia favore,
possa venir un cancaro anche a lui.

Ch'io ho voglia de dir, se fusse Cristo
che consentisse a tanta villania,
non potrebb'esser che non fusse un tristo.

Or tiènla, col malan che Dio te dia,
quella e ciò che tu hai di mal acquisto,
che un dì mi renderai la robba mia.



34

Sonetto in descrizion d'una badia

Signor, io ho trovato una badia,
che par la dea della destruzione:
templum pacis o quel di Salomone
a petto a lei par una signoria.

Per mezzo della chiesa e' v'è una via,
dove ne van le bestie e le persone;
le navi urtano in scoglio e il galeone
si consuma per far lor compagnia.

Dove non va la strada son certi orti
d'ortica e d'una malva singulare
che son buon a tener lubrichi e morti.

Chi volesse de calici parlare
o de croci, averebbe mille torti:
non che tovaglie, non vi è pur altare.

Il campanil mi pare
un pezzo di fragmento d'acquedotto,
sdruscito, fesso, scassinato e rotto.

Le campane son sotto
un tettuccio, apiccate per la gola,
che mai non s'odon dir una parola.

La casa è una scuola
da scrima perfettissima e da ballo,
che mai non vi si mette piede in fallo;

netta come un cristallo,
leggiadra, scarca, snella e pellegrina,
che par che l'abbi preso medicina.

Ogni stanza è cantina,
camera, sala, tinello e spedale;
ma sopra tutto stalla naturale.

E` donna universale
et ha la robba sua pro indivisa,
allegra, che la crepa delle risa:

in somma è fatta in guisa
che tanto è star di dentro quanto fuori.
Ahi, preti scelerati e traditori!

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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