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Rime del Berni 12-15

Post n°1219 pubblicato il 19 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Francesco Berni

12

Capitolo della gelatina

E' non è mai né sera né mattina,
né mezzo dì né notte ch'io non pensi
a dir le laudi della gelatina,
e mettervi entro tutti quanti e sensi
e' nervi e le budella e 'l naturale
per iscoprir li suoi misteri immensi.
Ma veggo che l'ingegno non mi vale,
ché la natura sua miracolosa
è più profonda assai che l'orinale.
Pur, perché nulla fa quel che nulla osa,
s'io dovessi crepare, io son disposto
di dirne ad ogni modo qualche cosa;
e s'io non potrò gir così accosto,
né entrar ne' suoi onor affatto drento,
farò il me' che potrò così discosto.
La gelatina è un quinto elemento
e guai a noi se la non fusse l'anno
di verno quando piove e tira il vento,
ché la val più d'una veste di panno
e presso ch'io non dissi anche del foco,
che tal volta ci fa più tosto danno.
Io non la so già far, che non son cuoco,
e non mi curo di saper; ma basta
ch'ancor io me ne intendo qualche poco.
E s'io volessi metter mano in pasta,
farei forse vedere alla brigata
che ci è chi acconcia l'arte e chi la guasta.
La gelatina scusa l'insalata
e serve per finocchio e per formaggio
da poi che la vivanda è sparecchiata.
Et io che ci ho trovato un avantaggio,
quando m'è messa gelatina inanzi,
vo pur di lungo e mio danno s'i' caggio;
e non pensi nessun che me ne avanzi,
ché s'io ne dessi un boccone a persona,
ti so dir ch'io farei di belli avanzi.
Chi vuole aver la gelatina buona
ingegnisi di darli buon colore;
quest'è quel che ne porta la corona:
dice un certo filosofo dottore
che se la gelatina è colorita,
è forza ch'ella n'abbia il buon sapore.
Consiste in essa una virtude unita
della forza del pepe e dell'aceto,
che fa che l'uom se ne lecca le dita.
Io vi voglio insegnare un mio secreto,
che non mi curo ch'ei mi reste a dosso:
io per me la vorrei sempre dirieto.
Un altro ne vo' dire a chi è grosso:
la gelatina vuol esser ben spessa
e la sua carne vuol esser senza osso,
ché qualche volta, per la troppa pressa
che l'uomo ha di ficcarvi dentro i denti,
un sen trae, poi dà la colpa ad essa.
O gelatina, cibo delle genti
che sono amiche della discrezione,
sien benedetti tutti i tuoi parenti,
come dir gelatina di cappone,
di starna, di fagiano e di buon pesce
e di mille altre cose che son buone!
Io non ti potrei dir come m'incresce
ch'io non posso dipingerti a pennello
né dir quel che per te di sotto m'esce.
Pur vo fantasticando col cervello
che diavol voglia dir quel poco alloro,
che ti si mette in cima del piattello;
e trovo finalmente che costoro
vanno alterando le sentenzie sue,
tal che non è da creder punto loro.
Ond'io, ch'intendo ben le cose tue,
come colui che l'ho pur troppo a core,
al fin concludo l'una delle due,
che tu sei o poeta o imperatore.



13

Capitolo dell'ago

Tra tutte le scienze e tutte l'arti,
dico scienze et arti manuali,
ha gran perfezion quella de' sarti;
perché a chi ben la guarda senza occhiali,
ell'è sol quella che ci fa diversi
e differenti da gli altri animali,
come i frati da messa da i conversi.
Per lei noi ci mettiam sopra la pelle
verdi panni, sanguigni, oscuri e persi,
e facciam cappe, mantelli e gonnelle
e più maniere d'abiti e di veste
che non ha rena il mar né il cielo stelle,
e mutiànci a vicenda or quelle or queste,
come anche a noi si mutan le stagioni
e i dì son di lavoro o dì di feste.
Ci mangiarebbon la state i mosconi
e le vespe e i tafan, se non fuss'ella;
di verno aremo sempre i pedignoni.
Essendo adunque l'arte buona e bella,
convien che gl'instrumenti ch'ella adopra
delle sue qualità prendin da quella;
e perché fra lor tutti sotto sopra
quel ch'ella ha sempre in man par che sia l'ago,
di lui ragionarà tutta quest'opra.
Di lui stato son io sempre sì vago
e sì m'è ito per la fantasia,
che sol del ricordarmene m'appago.
Dissi già in una certa opera mia
che le figure che son lunghe e tonde
governan tutta la geometria.
Chi vòl sapere il come, il quando e il donde,
vada a legger l'istoria dell'Anguille,
ché quivi a chi domanda si risponde.
Queste due qualità fra l'altre mille
nell'ago son così perfettamente,
che sarebbe perduto il tempo a dille.
....................................
Questa dell'ago è sua peggior fortuna:
si posson tòr tutte l'altre in motteggio,
a questo mal non è speranza alcuna.
Le donne dicon ben c'hanno per peggio
quando si torce nel mezzo o si piega;
ma io quella con questa non pareggio,
perché quando egli è guasta la bottega,
rotta la toppa e spezzati i serrami,
si può dire al maestro: "Vatti annega".
Sono alcuni aghi c'hanno due forami,
et io n'ho visti in molti luoghi assai,
e servon tutti quanti per farne ami.
Non gli opran né i bastier né i calzolai,
né simili altri, perché e' son sottili
quanto può l'ago assottigliarsi mai;
son cose da man bianche e da gentili,
però le donne se gli hanno usurpati,
né voglion ch'altri mai che lor gl'infili.
E non gli tengon punto scioperati,
anzi la notte e 'l dì sempre mai pieni,
e fan con essi lavori sfoggiati:
sopra quei lor telai fitte co i seni
sopra quei lor cuccin tutt'el dì stanno,
ch'io non so com'ell'han la sera reni.
Quando l'ago si spunta, è grande affanno;
pur perché al male è qualche medicina
si ricompensa in qualche parte il danno:
tanto sopra una pietra si strofina
e tanto si rimena inanzi e 'n dreto,
ch'aconciarne qualch'un pur s'indovina.
Quando si torce ha ben dell'indiscreto;
e se poi ch'egli è torto un lo dirizza,
vorrei che m'insegnasse quel secreto.
Questo alle donne fa venire stizza;
e ciò intervien perch'egli è un ferraccio
vecchio d'una miniera marcia e vizza.
Però quei da Damasco han grande spaccio
in ciascun luoco e quei da San Germano:
il resto si può dir carta di straccio.
Questi tai non si piegano altrui in mano,
temperati alla grotta di Vulcano.
.......................................
Chi la vista non ha sottile e pronta
questo mestier non faccia mai la sera,
ch'a manco delle quattro ella gli monta,
ché spesso avvien che v'entra dentro cera
o terra o simil altra sporcheria,
che inanzi ch'ella n'esca un si dispera.
.......................................
E così l'ago fa le sue vendette:
s'altri lo infilza et egli infilza altrui
e rende ad altri quel ch'altri gli dette.
.......................................
Opra è d'amor tener le cose unite:
questo fa l'ago più perfettamente,
che per unirle ben le tien cucite.
.......................................
Caminando tal volta pel podere,
entra uno stecco al villano nel piede,
che le stelle di dì gli fa vedere;
ond'ei si ferma e ponsi in terra e siede,
e poi che in su 'l ginocchio il pie' s'ha posto,
cerca coll'ago ove la piaga vede;
e tanto guarda or d'appresso or discosto,
ch'al fin lo cava, e s'egli indugia un pezzo,
pare aver fatto a lui pur troppo tosto.
Infilzasi coll'ago qualche vezzo...
......................................
Godete con amor, felici amanti;
state dell'ago voi, sarti, contenti;
ché, per dargli gli estremi ultimi vanti,
è l'instrumento de gli altri instrumenti.



14

Capitolo della primiera

Tutta l'età d'un uomo intera intera,
se la fusse ben quella di Titone,
non basterebbe a dir della primiera;
non ne direbbe affatto Cicerone,
né colui ch'ebbe, come dice Omero,
voce per ben nove millia persone:
un che volesse dirne daddovero,
bisognere' ch'avesse più cervello
che chi trovò gli scacchi e 'l tavoliero.
La primiera è un gioco tanto bello
e tanto travagliato, tanto vario,
che l'età nostra non basta a sapello;
non lo ritroverebbe il calendario
né 'l messal ch'è sì lungo, né la messa,
né tutto quanto insieme il breviario.
Dica le lode sue dunque ella stessa,
però ch'un ignorante nostro pari
oggi fa ben assai se vi s'appressa;
e chi non ne sa altro, almanco impari
che colui ha la via vera e perfetta
che gioca a questo gioco i suoi danari.
Chi dice egli è più bella la bassetta
per esser presto e spacciativo gioco,
fa un gran male a giocar se gli ha fretta.
Questa fa le sue cose a poco a poco;
quell'altra, perché ell'è troppo bestiale,
pone ad un tratto troppo carne a foco,
come fanno color c'han poco sale
e que' che son disperati e falliti
e fanno conto di capitar male.
Nella primiera è mille buon partiti,
mille speranze da tenere a bada,
come dire "carte a monte" e "carte e 'nviti",
"chi l'ha" e "chi non l'ha", "vada" e "non vada",
star a flusso, a primiera e dire: "A voi",
e non venir al primo a mezza spada:
ché, se tu vòi tener l'invito, puoi;
se tu no 'l vuoi tener, lasciarlo andare,
metter forte e pian pian, come tu vuoi;
puoi far con un compagno anche a salvare,
se tu avessi paura del resto,
et a tua posta fuggire e cacciare.
Puossi far a primiera in quinto e 'n sesto,
che non avvien così ne gli altri giochi,
che son tutte novelle a petto a questo;
anzi son proprio cose da dapochi,
uomini da niente, uomini sciocchi,
come dir messi e birri et osti e cuochi.
S'io perdessi a primiera il sangue e gli occhi
non me ne curo; dove a sbaraglino
rinnego Dio s'io perdo tre baiocchi.
Non è uom sì fallito e sì meschino,
che s'egli ha voglia di fare a primiera,
non truovi d'accattar sempre un fiorino.
Ha la primiera sì allegra cera
che la si fa per forza ben volere
per la sua grazia e per la sua maniera.
Et io per me non truovo altro piacere
che, quando non ho il modo da giocare,
star dirieto ad un altro per vedere;
e stare'vi tre dì senza mangiare,
dico bene a disagio, ritto ritto,
come s'io non avessi altro che fare;
e per suo amore andrei fin in Egitto
et anche credo ch'io combatterei,
defendendola a torto et a diritto.
Ma s'io facessi e dicessi per lei
tutto quel ch'io potessi fare e dire,
non arei fatto quel ch'io doverei;
però, s'a questo non si può venire,
io per me non vo' innanzi per sì poco
durar fatica per impoverire:
basta che la primiera è un bel gioco.



15

Sonetto contra la primiera

Può far la Nostra Donna ch'ogni sera
i' abbia a star a mio marcio dispetto
in fin all'undeci ore andarne al letto,
a petizion de chi gioca a primiera?

Dirà forse qualch'un: "Ei si dispera,
et a' maggior di sé non ha rispetto".
Potta di Jesu Cristo (io l'ho pur detto!),
hassi a giocar la notte intera intera?

Viemmene questo per la mia fatica
ch'io ho durato a dir de' fatti tuoi,
che tu mi se', Primiera, sì nemica?

Ben che bisognaria voltarsi a voi,
signor; che se volete pur ch'io 'l dica,
volete poco ben a voi et a noi.

Et inanzi cena e poi
giocate e giorno e notte tuttavia,
senza sapere che restar si sia.

Questa è la pena mia:
ch'io veggio e sento, e non posso far io;
e non volete ch'i' rineghi Dio?

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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