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Della Casa (app.1)

Post n°1209 pubblicato il 18 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Aggiunte alle Rime (tratte da me da varie fonti)

1.

O chi m'adduce al dolce natio speco,
ov'io, deposte le mie amare pene,
e volte l'atre mie notti in serene,
possan talor le muse albergar meco!

Sì m'appresserei forse al giogo, u' teco
altro nessun, che 'l maggior Tosco, viene,
col Bembo, al qual nulla è che 'l corso affrene,
sì ch'egli a par a par non poggi seco.

Or che lunge mi tien rea sorte acerba
da quelle Dive e dal mio nido, e 'n ombra,
ch'adugge il seme di mia gioja, posto;

con l'alma, non d'Amor né d'ira sgombra,
te inchino, albergo a Febo alto e riposto,
e segno in umil pian col vulgo l'erba.

Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 328



2.

Né l'Alba mai, poi che 'l suo strazio rio
Progne ritorna, o selve, a pianger vosco,
quando il ciel fosse in sul mattin men fosco,
di braccio al Vago suo sì bionda uscìo;

né 'n riva di corrente e largo rio
chiome spiegò d'april tenero bosco
sì belle; com il sol, ch'io sol conosco,
sparger tra noi le sue talor vid'io.

Ed or le tronca empio destino acerbo,
e 'mpoverisce Amor del suo tesoro,
e a noi sì cara vista invidia e toglie.

Deh chi il mio nodo rompe, e me non scioglie?
Avess'io parte almen di quel dolce oro,
per mitigar il duol che nel cor serbo.

Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 329



3.

Altri, oimè, del mio sol si fa sereno:
del mio sole ond'io vivo altri si gode
la luce e 'l vero; io sol tenebre e frode
n'ho sempre, ed arso il core, e molle il seno:

e di tema e di duol misto veleno
la debil vita mia distringe e rode;
né spero, on'ella si risaldi e snode,
o speranza o pietate o morte almeno.

Iniquo Amor, dunque un leal tuo servo
Ardendo, amando, sia di morir degno,
e i freddi altrui sospir' saran graditi?

Ma se per mio destin empio e protervo
quel ch'è de gli altri misero sostegno,
perch' almen di speranza non m'aiti?

Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 333



4.

Io non posso seguir dietro al tuo volo,
pensier che sì leggiero e sì spedito
battendo l'ali vai verso il gradito
mio chiaro sol, che come te non volo;

ma passo passo, Amor, pregando solo
che mi sostenga, me medesmo aito
con la speranza del veder finito
tosto il mio esilio; e in quello io mi consolo.

Il tuo non può stancar veloce corso
monte fiume né mare; e gli occhj hai sempre
non men presti al veder, ch'al volar l'ale.

Ma tu 'l sai, ch'otto lustri omai son corsi
de la mia vita in dolorose tempre.
Fa troppo ir grave questo incarco frale.

Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 336



5.

Questi palazzi e queste logge or colte
d'ostro di marmo e di figure elette,
fur poche e basse case insieme accolte,
diserti lidi, e povere isolette.

Ma genti ardite d'ogni vizio sciolte
premeano il mar con picciole barchette;
che qui non per domar provincie molte,
ma fuggir servitù s'eran ristrette.

Non era ambizion ne' petti loro;
ma 'l mentire aborrian più che la morte,
né vi regnava ingorda fame d'oro.

Se 'l ciel v'ha dato più beata sorte,
non sien quelle virtù che tanto onoro
da le nove ricchezze oppresse e morte.

Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 337
Scelta di Sonetti con varie Critiche osservazioni, ed una dissertazione intorno al sonetto in generale, Teobaldo Ceva, in Venezia, Presso Domenico Occhi, 1737, pag. 72

Note:
Benché questo sonetto sia attribuito a Monsignor della Casa, io non giurerei che fusse di lui: tanto è differente questo placido stile dal suo, che ordinariamente ha dell'aspro, e del disdegnoso. Di fatto io nol ritruovo tra le sue rima stampate, se non in una sola edizione, ove nulladimeno è posto indisparte fra que' versi, de' quali c'è dubbio, o certezza, che non ne sia padre il Casa. Ma nulla a noi dee importare di sapere chi sia l'Artefice, bastandoci d'intendere, se sia buono il lavoro. E di questo se non è Autore il Casa, certo egli meritava d'esserlo. Al mio giudizio forse non sottoscriveranno cervelli gagliardi, i quali amano solamente di palleggiar sulle nuvole a cavallo di Pegaso, e mireranno probabilmente questo Sonetto con occhio sprezzante, qual cosa smunta, mediocre e per poco da nulla. Ma chiunque ha ottimo discernimento del Bello della Natura, non avrà difficultà di confessare che questo è uno dei più gentili, squisiti, e dilicati Componimenti, che qui si leggano. Ammirerà egli un'aurea semplicità, una nobile ed impareggiabile purrità e chiarezza in tutti questi versi, che non hanno pompa, ma però soavemente rapiscono con secreta forza chi legge. Questa dilicatezza è non tanto nelle parole, e frasi, quanto ne' sensi, i quali con natural vaghezza conducono ad una non aspettata Chiusa. Non è da tutti il sentir la finezza di sì fatte opere. Ma pruovi chi non la sente, o la sprezza, s'egli sa farne altrettanto.
(Ceva, pag. 72,73)

 
 
 
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