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Meo Patacca 01-6

Post n°1196 pubblicato il 05 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Non v'esca dunque no dalla memoria,
Che semo d'una razza assai manesca,
Ch'in altri rifilà sempr'hebbe grolia,
O in fa' chalche sgherrata romanesca:
Annamo dunque tutti, e con baldoria
A sbuscià delli turchi la ventresca;
Quali semo in realtà, tali siam cresi
Sangue trojano, e Romanen Diocèsi.

Dieci voi sete, e tutti de monà
Non si po' dir plus ultras non si po';
Vel dico in faccia, perch'è verità,
E però qua nostrisci vi menò.
Hora sentite quel, che stia da fa',
E dica ogn'un di sì, nisciun di no:
Vi propongo un'impresa, ch'in mia fè'
Non c'è la più magnifica, non c'è.

Un mangoso di sgherri, ma ghinaldi '
Di quei, che stesi n'han più d'uno al sole,
Che non voltano faccia, e stanno saldi
Ritrovi ogn'un di voi prima, che puole;
Menateli da me, ma caldi caldi,
E ci vogliono fatti, e non parole;
Spero ricapezzarne io ducent'altri
De i più forzuti, ammazzatori, e scaltri.

Voglio che siano in tutti cinquecento
Di cacafoco armati, e dorindana,
Di stortino, di fionna, e mi contento
Ch'habbiano al fianco ancora una catana.
Ci stia qui el taffio pe' sostentamento,
E tutti uniti poi, la caravana
Faremo sotto VIENNA e preso el posto,
Là verremo co' i Turchi a un tiritosto.

Dì Serenella, che saioccolate,
Prima dell'addropa' l'arme da foco,
Fischia' faremo in aria, e che scappate
Hanno da fa' quei guitti dal su' loco:
Ci dian de barba allor con le sciablate
Lontano un miglio. Così a poco a poco
Pe' grolia nostra, bigna dillo bigna,
A quanti spezzaremo allor la tigna.

Saremo pochi è ver, ma pezzi d'homini
Armati più di cor, che di corazza,
Nisciuno ci sarà, che ci predomini,
Perchè foiosi assai semo di razza;
Là pe' sgherri famosi ogn'un ce nomini,
Mentre annamo a difenne una gran piazza,
Tutti pe' capitani io già ve stampo,
E voi fate poi me Mastro de Campo.

Di voi, lo sò, che molti mi diranno,
Che famo cose da spropositati,
Perchè i Turchi pentì poi ci faranno,
D'esser in campo a stuzzicarli andati:
Risponno, che ci sono, e ci saranno,
Contro quei cani là bravi soldati,
Per aiutarci, e si vedrà, chi sballa,
Se 'sta gente guerriera a noi fa spalla.

Su via, coraggio, a che si sta più a bada?
Annamo uniti annamo a dà soccorzo
All'augusta Città, prima che cada.
Troppo è ciafèo, chi più ritarda el corzo;
In busca de' compagni ohmai si vada".
Ma intanto gli rompette el su' discorzo
La turba, ch'in star zitta assai pativa:
"Evviva, disse, MEO PATACCA, evviva".

Sino alle stelle di PATACCA el nome
Con impeti di voce ogn'uno sbalza;
Ecco in punta di piedi, e giusto come
Chi vuò esser visto, un di coloro s'alza:
Checco se ciama, ma pe' suprannome,
Perchè li cogni d'oro ha in te la calza,
E in tel vestì sa sverzellà con gala,
È da tutti ciamato Checco Sciala.

Si fa largo costui, s'accosta, e dice:
"O d'eroi romaneschi unico vanto,
Per voi sarà 'sto secolo felice,
Per voi, noi felicissimi altr'e tanto;
A voi m'inchino, e a me, se non disdice
Un mio pensier dirò". Ma MEO frattanto
Sede su la colonna, perch'è stracco,
E si fa da una presa di tabacco.

Seguita Checco a dir: "L'impresa è granne,
E di voi degna, o gran PATACCA, è vero;
Ma in tun viaggio sì longo, e in quelle banne
Dove nisciun manco ci stima un zero,
Ditemi in cortesia chi di vivanne
Vorrà provede uno squadrone intiero?
Nisciuno da sgranà ci darà a uffo,
E pe' crompallo poi ce vuò lo sbruffo.

Non c'è tra noi, pe' dilla in confidenza,
Perchè assai ben ce conoscemo tutti,
Altro ch'un poco di compariscenza,
Del resto in te la berta stamo asciutti;
Ed a marcia senza monete, senza
Provedimento, a mendica ridutti,
Ci stimano sicuro tutti quanti',
Schiuma de furbi, e razza de birbanti".

Più dir volea, ma l'azzittò la voce
Del famoso Chiappin, che co' 'na spinta
Si fece innanzi, e gridò poi feroce:
"Dunque sarà la virtù nostra estinta?
Da qual disgrazia o da qual caso atroce
Di noi la saputaggine fu vinta?
Chi non havrà in tel viaggio arte, e possanza
D'abbuscà tanto, de potè fà panza?

Si dia mano all'industrie. Io col mio ingegno
Hor, passanno un villaggio, hor un paese,
Con le gabbale mie sempre m'impegno
Di far a me con altri due le spese.
Riuscirà pe' certo el mi' disegno,
Che le pastocchie mie saranno crese;
Saprò, acciò pozza el vivere abbuscarmi,
Indovino, et Astrologo spacciarmi".

"Io, - soggiunse Favaccia, - mi diletto
Di maneggià le carte e i bussolotti,
E di fa' travedè, se mi ci metto
L'homini astuti ancor, non che i merlotti;
Fo' in te le piazze circoli, e scommetto.
Che per un ciarlatano de i più dotti
So' preso, e allor al popolo ordinario,
Venno lo strutto per elettuario".

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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