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Il Dittamondo (6-06)

Post n°1188 pubblicato il 03 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO SESTO

CAPITOLO VI

Come uom, che legge ne l’Apocalipsa
e ’ntender vuole e non ha lo ’ntelletto,
si svaria piú quanto piú pensa in ipsa, 

cosí svariava io, per mio difetto, 
volendo imaginar che a dir venia 5 
quello che la mia guida m’avea detto. 
Ma poi ch’io vidi che giá se ne gia 
a la cittá, che per Tito fu strutta, 
lassai il pensiero e seguio la sua via. 
Quanto noiose al tempo de le frutta 10 
e impronte son le mosche, erano a noi 
la gente de la terra acerba e brutta. 
Pur la mia scorta a me: "Qui non ti nòi; 
lassali fare e dir; passa oltra e mira 
e nota sí, che ’l sappi ridir poi. 15 
Non si vuol qui mostrar dispetto e ira, 
ma temperanza, ché l’uom senza possa, 
e c’ha orgoglio, sovente sospira". 
D’intorno da le mura e da le fossa 
la cittá tutta e per lo mezzo vidi 20 
cosí come s’avalla e si rindossa. 
E però voglio, lettor, che ti fidi 
che tal la troverai, qual la disegno, 
se mai avièn che tu di lá ti guidi. 
In monte è posta, in sito forte e degno; 25 
le mura ha belle ed èvi ancor la torre, 
che fece far David, tenendo il regno. 
Citerne v’èn, ché fiume non vi corre; 
monte Moria ha nel mezzo, dove l’Arca 
federa giá si soleva riporre, 30 
dico nel tempio lavorato in arca 
di care pietre, d’ariento e d’oro, 
divoto quanto alcun di quella marca. 
D’opra musaica era ogni suo lavoro: 
questo si disse il tempio Salamone: 35 
David comprò quel monte assai tesoro. 
Luce Moria s’interpreta e si spone; 
Iacob qui vide scendere e montare 
gli angioli per la scala, in visione. 
Qui su venia David per adorare; 40 
qui su giá fece Abraam sacrifizio, 
quando dovea Isaac immolare. 
Noi fummo dove io ebbi vero indizio 
che la madre di Cristo visse e nacque: 
d’Anna una chiesa v’ha presso l’ospizio. 45 
Probatica piscina lá mi piacque, 
dove l’angel di Dio a la sua foce 
sanava il primo infermo con quell’acque. 
Ancor dentro al gorgone è fama e voce 
che giá per Salamon poner fu visto 50 
quel legno, onde si fe’ la santa croce. 
Qui, come dice il Vangelio, giá Cristo 
fe’ sano il paralitico, che pianto 
avea piú di trent’anni infermo e tristo. 
Veduta la cittá ben d’ogni canto, 55 
disse Solin: "Buono è partirsi omai; 
veggiam di fuori". E mossesi a tanto. 
Per porta Iosafat, che v’era assai 
presso, mi trasse in verso aquilon, 
pur lungo il muro, ove un poggio trovai. 60 
"Ecco, diss’ello a me, monte Sion, 
ch’è non men forte né men alto e bello 
che tu vedrai, giunto a Troia, Ilion". 
"Dunque, diss’io, è questo monte quello 
che in mezzo al mondo appunto si divisa?" 65 
Rispuose: "Sí, ché d’altro non favello. 
Quanto fu degno anticamente avisa, 
ché la Scrittura Ierusalem chiama 
Filia Sion in diverse guisa. 
Dolci piante e odorifere rama 70 
eran per tutto e monte di scienza 
si nominava e de’ profeti brama". 
Di Siloe mi fece conoscenza; 
poi disse: "Vienne"; ed io il seguio 
come de’ far chi vive a obbedienza. 75 
E cosí ragionando ello ed io, 
prese il cammino vèr monte Oliveto, 
per contentar, m’accorsi, il voler mio. 
Per che prima mi mena quel discreto 
in vèr Getsemani, lá dove Cristo 80 
coi suoi orava e stava secreto. 
E poi ch’io ebbi il santo loco visto, 
per gran compassion biastemai Giuda, 
traditor disperato, avaro, tristo. 
Quel caro padre mio, ch’ognor mi studa, 85 
su per lo monte mi trasse a la cima, 
ch’a levante Ierosolima scuda. 
D’ulivi è pien, dove piú si sublima; 
dattari, cedri, vigne, fichi e gelsa 
ed ogni frutto v’è buon che si stima. 90 
Vidi l’ombra di quella lubra eccelsa, 
che per amor fe’ fare, odiando Iddio, 
colui il quale fu figliuol di Belsa. 
Ben dico ancor che di quel monte udio 
da piú e piú, che son degni di fede, 95 
che ’l nostro Salvatore in ciel salio. 
Similemente s’afferma e si crede 
che qui discenderá al dí giudizio 
a sentenziare i rei e farne scede, 
chiamando i buoni al suo beato ospizio, 100 
dicendo: "E voi venite, benedetti, 
ch’amaste me e dispregiaste il vizio". 
Noi discendemmo, poi, di quei tragetti, 
per una via, ch’era stretta e arta, 
a la cittá che fu, secondo i detti, 105
di Lazaro, di Maria e di Marta.
 
 
 
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