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Il Meo Patacca

Post n°1176 pubblicato il 01 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

"Il Meo Patacca, ovvero Roma in feste ne i trionfi di Vienna" di Giuseppe Berneri

Titolo completo e frontespizio: Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste ne i Trionfi di Vienna. Poema Giocoso nel Linguaggio Romanesco di Giuseppe Berneri Romano Accademico Infecondo.
Dedicato all'Illustriss. et Eccellentiss. Sig. il Sig. D. Clemente Domenico Rospigliosi. In Roma, per Marc'Antonio & Orazio Campana MDCXCV. Con licenza de' Superiori.

Ill.mo et Eccell.mo Signore
Signore e Padrone Colendissimo

Al merito sublime dell'Ecc. V. non per motivo di libera elezione, ma solo per dovuti riguardi afferisco il picciol dono del presente giocoso Poema. Le mie molte obbligazioni così richiedono, il mio pronto volere così esseguisce, e l'innata benignità di V. Eccell. ne promette un generoso Gradimento. Provengono i miei doveri dall'ossequiosa Servitù da me professata ai suoi gloriosissimi Antenati, fino dai tempo, in cui regnava il gran Pontefice Clemente Nono, di cui basta solo rammentare il nome, per autenticare le sue glorie, al Mondo tutto già note, allora quando si compiacquero, i di lui Eccellentissimi Nipoti e Figli del Sig. Bali D. Camillo Rospigliosi, Germano Fratello di Sua Santità, che unir seppe in tal guisa alle secolari Grandezze una Pietà religiosa, che sinchè visse fu la vera Idea delle Virtù Cristiane, e dopo morte un vivo Essempio di quell'Eroiche Azioni, che qualificar possono un Principe Regnante, allora dico che si compiacquero, d'esser eletti successivamente Principi dell'antica e celebre Accademia degli Infecondi di Roma, di cui, sotto il Loro autorevole Patrocinio, fui, fino da quel tempo, conforme sono anche presentemente, Segretario, benchè affatto immeritevole d'una tal carica. Ne compartì i primi Onori l'Eccellentissimo Signor D. Tommaso, che da immatura Morte a Noi fu rapito, per renderne privi d'un soggetto odorno di quell'alte Prerogative, che render possono riguardevole ogni Anima grande.
Più compensata la perdita d'un tanto Principe coll'acquisito dell'Eccellentissimo Sig. D. Felice, Suo Germano fratello, cui dopo breve Tempo convenne lasciarci, sendo stato assunto alla Sacra Porpora, perchè n'havesse condegno Premio la sua Virtù, che obbligò anche l'Invidia a commendarne una tal essaltazione. Non lasciò Egli per tanto ne i Residui della sua Vita, che via più breve, via più meritevole si rese perpetua memoria, d'assisterci con la sua benignissima Protezione, conforme antecedentemente fatto haveva l'Eminentissimo Signor Cardinal Giacomo, cui mancò solo il Tempo, non il merito di sormontare all'Altezze Maggiori.
Fu dopo acclamato Principe di detta nostra Accademia l'Eccellentissimo Sig. Duca di Zagarolo Degnissimo Genitore dell'E. V., che anche di presente ci continua le sue Grazie con dimostrazioni di sì benigno Affetto, che ha con dolce violenza forzati gli Animi degli Accademici tutti, a tributar ad esso gli atti della Loro riverentissima Divozione, et ad implorargli dal Cielo con incessanti Voti lunga serie d'anni di Vita, a dispetto di quell'empio Malore, che tentò, non è guari, con Pietre radicateli nel seno lapidar la Sua salute. Chi potrà dunque negarmi che per sì fatti motivi, sia da me dovuta all'Eccell. V. l'umil offerta di questo Poetico mio Componimento? Qual gloria maggiore conseguirne io poteva, che di vederlo decorato del pregiatissimo Nome di V. Eccell. che non degenera punto dall'Eroico Genio de' Suoi Maggiori? Un indole sì retta, una maturità di senno ne gli anni, anche teneri, l'Acquisto già fatto delle Scienze più virili, la Singolarità de g'innocenti Costumi, la Grandezza dell'Animo, la Suavità delle maniere, quale aumento di merito non promettono ne gli anni più adulti? Quale speranza non porgono, anzi certezza, che ben saprà l'Eccell. V. render più pregiabili le ricche Doti dell'Animo e de i molti Beni della fortuna? Et oh quanto mi resterebbe a dire, se inoltrarmi volessi nelle lodi dovute all'Eccellentissima Signora D. Maria Pallavicini Rospigliosi degnissima Genitrice di V. Eccellenza, che non ha punto che invidiare a gli antichi Pregi delle Romane Eroine, sotto la cui essemplarissima direzione, quasi candide Colombe, si vanno educando le Tre dilettissime sue Figlie, germane Sorelle di V. Eccell. si ben incaminate nell'età più florida, per lo Sentiero di virtuose applicazioni, all'acquisto di una fama perenne.
Se aggiunger poi volessi gli Encomii, di cui si è reso meritevole l'Eccellentissimo Signor D. Nicolò Suo minor Fratello, Che sì gloriosamente sa imitare gli Eccelsi meriti di Vostra Eccellenza, recar potrei, con dir Puoco, pregiudizio a quel Molto che dirne dovrei, e perciò solo con un riverente Silenzio, mi protesto, che stimerò sempre mia Gloria, l'essere di Vostra Eccellenza, e di tutta la Sua Eccellentissima Casa con ogni maggior Venerazione.
Di Casa lì 8 luglio 1695
Di V. Eccell.
Umiliss. Devotiss. Servitor Obligatiss.
Giuseppe Berneri.



Avvertimento dell'Autore a chi legge.

Non ti sia discaro, Gentilisismo lettore, che Io t'avvertisca in primo luogo, che il Linguaggio Romanesco, non è (come suppongono Alcuni) notabilmente diverso da quello che s'usa dalla Gente volgare di Roma, eccettuatene alcune parole ed Idiotismi, che inventarono i Romaneschi a loro Capriccio, e bene spesso con Etimologie non affatto improprie, quali riescono assai piacevoli. Ma in realtà consiste principalmente il detto Linguaggio in alcune repliche d'un'istessa Parola in un periodo, che danno forza al Discorso, come per cagion d'essempio: "La vuoi finì, la vuoi?" "Ne sai fà più, ne sai?" e simili. Consiste ancora in alcune parole tronche, cioè Verbi nell'Infinito, dicendosi sedè, camminà, parlà invece di sedere, camminare, parlare; et alle volte in qualche Articolo, E. G. (exempli gratia) invece di dire nel viaggio, dicono in tel viaggio; spesso anche nelle parole accorciate, dicendo 'sta tu' bravura in cambio di questa tua bravura. Procuri per tanto Chi Legge, quando da Altri è inteso, d'imitar, più che può la Pronunzia di detti Romaneschi, e particolarmente in quei Periodi, ne i quali (come si è accennato) si dice l'istessa parola due volte. Che però ne i precitati essempi, "La vuoi finì, la vuoi?", "Ne sai fa più, ne sai?" è necessario il pronunziare ciascuno di essi, (come si suol dire) tutto ad un fiato, e presto, poichè se si facesse pausa con dire: "La vuoi finì... la vuoi?" "Ne sai far più... ne sai?" si toglierebbe il Garbo all'Energia Romanesca, che però detti e simili Periodi si devono pronunziare nel modo accennato; e per facilitare una tal Pronunzia si è posto ne i casi delle sudette Repliche il presente Asterisco *, nel qual segno s'ha da fermare la voce, e non prima di giungere ad esso. Se ne pone l'essempio nel seguente Verso.
"Se po' sape' se po' * se con chi l'hai?"
Il che servirà di regola in altri simili casi. Avvertiscasi ancora di calcar la Voce nell'ultima Sillaba delle Parole tronche, su le quali si troverà l'accento, Exempli Gratia nelle Parole dette sopra: sedè, camminà, parlà, poichè in tal guisa riuscirà la Pronunzia più dialettale e propria.
Perchè il significato di qualche parola inventata da' Romaneschi, non sarebbe forse da Tutti inteso, se n'è posta nel Margine la dichiarazione, per maggior facilità di Chi legge, e per rendere il Componimento intellegibile anche ai Forastieri, che non hanno pratica d'un tal modo di parlare. Se poi nel leggere troverai Barbarismi e Sconcordanze, non attribuir ciò all'inavvertenza dell'Autore, ma solo alla proprietà d'un tal Linguaggio, che richiede alle volte tali scorrezioni; così anche trovando Virgole poste dove non andrebbero, sappi che ciò s'è fatto per aggiustar la Pronuncia nelle Pause della Voce e renderla Romanesca, più che sia possibile. Piacciati in oltre ch'io t'avvertisca, che l'istesse parole Romanesche hanno talvolta diversi significati, e però diversamente si spiegano nelle annotazioni fatte nel Margine. Perchè poi alcune di dette Parole in qualche caso potrebbero cagionar Equivoco, e render confuso il senso del Periodo, coll'Articolo Romanesco, si sono espresse senza detto Articolo. Et è anche da sapersi, circa l'Elocuzione, che questa non ha Regola precisa, perchè i Romaneschi, quando sono adirati, si servono di parole turgide, e di frequenti Repliche, e quando discorrono piacevolmente, di Parole meno ampollose. E in tutto si è procurato di imitare, quanto più s'è possuto, il Costume di Essi, e si è havuto riguardo, quando si introduce a parlare persona, che non è Romanesca, d'adattarle il proprio Linguaggio, il che non credo sia per riuscire dispiacevole.
Venendo hora al Soggetto del Poema, debbo dirti, che il fine primario d'un tal Componimento è stato di voler descrivere le curiose Feste che si ferono in Roma dalla Plebe, per contrassegno d'una interna e straordinaria Allegrezza, quando si udì la tanto desiderata Nuova della Liberazione dell'Augusta Città di Vienna, allora che dall'Armi Ottomane fu sì strettamente assediata, e molte di dette Feste, che si descrivono, sono l'istesse che si ferono allora.
E altre sono inventate, conforme richiede la Poesia. Gli Intrecci antecedenti, servono d'introduzione al racconto delle medesime, così anche l'altre Feste più Nobili della Città.
Soggiungo per fine ch'io m'indussi al Componimento del presente Poema, per compiacere a gli Amici, che me ne ferono istanza, e per soddisfar al proprio Genio, non già per riportarne alcuna lode. Fu breve il Tempo da me impiegato nella struttura di esso, et a puoca fatica non è dovuto alcun Premio. Compiacendoti lodarmi, sarai discreto e cortese, volendomi biasmare, ti mostrerai mal saggio, perchè un'opera, che s'espone al Publico e vale a dire al Giudizio de' Letterati, o da questi s'approva et allora il Critico incorre nella Taccia d'Invidioso e Maligno, o vien disapprovata da gl'istessi, et allora l'affaticarsi, per voler con le Crittiche porla in Discredito è superfluo, et è perciò espediente migliore d'ogni Altro l'astenersi dalla Maldicenza. Se poi t'aggrada contro me essercitarla, per secondar il tuo Genio, piacciati almeno sospenderne l'essecuzione, fino che legger mi fai qualche tuo giocoso Poema, à fin che possa io da Tè apprendere il vero modo di comporre in questo Genere, che resterò assai tenuto alla tua Gentilezza, e vivi felice.

Giuseppe Berneri

[L'avvertimento è stao da me citato in un precedente post].



Nulla osta della autorità ecclesiastica .

Con gran sodisfatione ho letta l'Opera intitolata "Il Meo Patacca, overo Roma in feste ne i trionfi di Vienna, Poema giocoso ecc.".
Niente in essa ho trovato contrario alla Santa Fede, o buoni Costumi, anzi una somma modestia e vivezza, dote propria dell'Autore, per ciò, è per le altre parti assai celebre. Onde giudico possa permettersene la Stampa.
- Nella Casa di S. Maria in Portico in Campitelli, questo dì 6 decembre 1695.

Francesco Maria Campione
della Congregazione della Madre di Dio



Prefazione all'Edizione del 1821.

Per commissione del Rmo P. Maestro del S.P.A. ho riveduto il Poema giocoso "Il Meo Patacca, ossia, Roma in feste ne' trionfi di Vienna", tratto da altra edizione, che ritrovai parimenti riveduta ed espurgata. Codesto Poema ebbe motivo dalla liberazione dell'assedio di Vienna, avvenuta sotto il Pontefice Innocenzo XI, con la direzione del Gen. Sobieski, che spedì in Roma lo stendardo di Maometto, e perciò furono fatte delle feste e coniate delle medaglie, come narra minutamente il P. Bonanni Numismata Rom. Pont. tom. II pag. 776 e seg. Si avvicina questo poema allo stile di Merlin Coccai, del Tasso Napolitano, della Secchia Rapita, e di simil genere di Poemi, che descrivono le abitudini, l'umore e il dialetto della Plebe. È cosa meravigliosa come questo Poema giocoso scritto nel 1683, mantenga lo stesso dialetto della plebe Romana ed Ebraica, gli stessi usi ed abitudini che vediamo a' nostri giorni, prova evidente che non bastano i secoli per rimuovere di un sol punto le abitudini e superstizioni che siansi insinuate nella Plebe. Egli è anche osservabile, che il Meo Patacca protagonista del Poema, rappresenta uno di quegli uomini popolari, o Capo-popoli dello stesso genere plebeo; e perciò unicamente apprezzato dalla plebe: e di questi uomini popolari appunto, e di questi capi-popolo si servono talvolta i saggi Governi, per isgridare ed anco correggere l'insolenza e velleità del basso popolo. Anche il filosofo può trarre da questo poema delle utili lezioni, e giudico perciò che possa essere riprodotta con le stampe la sua pubblicazione.
Roma questo dì 31 agosto 1821.
Avv. Giuseppe Gaetano Martinetti
Accademico di Religione Cattolica

 
 
 
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