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Mariotto Davanzati 26-30

Post n°1166 pubblicato il 31 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XXVI

Non tien Minos in Dite alma sì ria
condannata in alcun de' nove giri,
sì carca e 'mportunata di martiri
per giugner morte al suo buon penter pria,

ch'i' non la invidi, e parmi ch'ella sia
fra rose, gigli, carbonchi e zaffiri
verso di me, che, dove io pensi o miri,
veggo colei, ch'a lagrimar ne 'nvia.

Ella sol per mio strazio al mondo nacque,
gelida, cruda, disdegnosa e fera,
che volto non cangiò giammai, né voglia.

Certo più non disira i pomi e l'acque
el misero compagno di Megera,
che io fo morte, per uscir di doglia.


XXVII

Del ciel discese un falcon pellegrino
sol per far del mio core al mondo prede,
e, quel ghermito nel suo destro piede,
sen volò presto in sun un alto pino.

Sembra la piuma sua argento fino;
ivi si sta, e per chiamar non riede,
né pianger valmi o dimandar merzede;
né difender si può da tal destino,

Onde gli spirti miei, che del lor duce
si veggon privi e soli in carcer tetro,
priegan pur l'alma che 'l lor duol raccorte.

Ella già per tornarsi all'alta luce
più volte è mossa, e poi ritorna indietro:
tant'è iniqua e disforme la mia sorte!


XXVIII

Qual mirabile fato il terzo cielo
mosse a mostrar di sé sì alte prove,
care fra noi, maravigliose e nove?
Né comprender si può pel greve velo,

se non solo io, ché, come un sottil telo
aguta vista passa e scorge altrove.
Amor, che gli occhi sua sì dolce muove,
mi mostra quel che ridir non saprêlo;

e veggo quanto al mondo è d'onestate
con divine bellezze aggiunte insieme,
col parlare amoroso e 'l vago sguardo.

Poi veggo l'arco e le saette orate
locar sì nelle parti mia supreme,
ch'i temo, bramo, spero, aghiaccio e ardo.


XXIX

Lo stato mio è sì dubbioso e fosco,
e di scuri pensier l'alma è sì 'ngombra,
ch'i' fermo e passi spesso, e 'l core adombra,
perché né me né altri ancor conosco.

Né mai per fame uscì lupo di bosco,
come è carco di sdegno el petto; sgombra
levasi a volo, e io rimango un'ombra:
e' si pasce di speme, e io di tosco.

L'alma, per ritornare onde ella venne,
dal corpo stanca già prende comiato;
egli, smarrito, sì né no risponde.

Taccia Medea e l'africane penne,
ché nessun siccom'io malmeritato
né fu, né è, né fia in terra o 'n onde.


XXX

O per me lieto e fortunoso giorno,
al qual simil giammai il cielo aperse!
La divina stagione e le diverse
feste ti fêr di doppio sole addorno.

Nel sacro tempio, libero soggiorno
fe', mentre che 'n pan Giove si converse;
ma, poi che 'l fin di quel per me si scerse,
men gi', e 'l sangue al cor s'acolse intorno.

Come del suo futuro accorto e saggio
s'armò, né valse contro alle faville,
che sopra al varco accese Amor con tempre,

sull'ora sesta el dì terzo di maggio,
nel quatrocento trentasei e mille,
ch'i' arsi e ardo, e bramo d'arder sempre.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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