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Della Casa 03: sonetti

Post n°1128 pubblicato il 25 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

XI

Sagge, soavi, angeliche parole;
dolce rigor, cortese orgoglio e pio;
chiara fronte e begli occhi ardenti, ond'io
ne le tenebre mie specchio ebbi e sole;

e tu, crespo oro fin, là dove sòle
spesso al laccio cader còlto il cor mio;
e voi, candide man, che 'l colpo rio
mi deste, cui sanar l'alma non vòle;

voi d'Amor gloria sète unica, e 'nseme
cibo e sostegno mio, col qual ho corso
securo assai tutta l'età più fresca.

Né fia giamai, quando 'l cor lasso freme
nel suo digiun, ch'i' mi procuri altr'esca,
né stanco altro che voi cerchi soccorso.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 11 (pag. 6)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 259

Note:
Sembra scritto a riscontro di quello del Bembo, Crin d'oro-crespo e d'ambra tersa e pura; e l'avanza. Come poi se ne cavi materia a sessanta lunghe facciate di chiosa può impararsi dal Severino, aggiunto per lo più al Quattromani. Che quando Platone consigliava l'ostracismo de' poeti intendesse parlare de4i loro commentatori?
(Carrer, cit., pag. 302)



XII

Il tuo candido fil tosto le amare
per me, Soranzo mio, Parche troncaro,
e troncandolo, in lutto mi lassaro,
che noia quant'io miro e duol m'appare.

Ben sai ch'al viver mio, cui brevi e rare
prescrisse ore serene il ciel avaro,
non ebbi altro che te lume o riparo:
or non è chi 'l sostenga, o chi 'l rischiare.

Bella fera e gentil mi punse il seno,
e poi fuggìo da me ratta lontano,
vago lassando il cor del suo veneno;

e mentre ella per me s'attende invano,
lasso, ti parti tu, non ancor pieno
i primi spazî pur del corso umano.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 12 (pag. 7)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 260

Note:
Piangeva tuttavia la mortedi Claudia Orsina, e ne portava il corruccio, quando gli morì l'amico M. Antonio Soranzo, gentiluomo veneziano de' più ragguardevoli per gentilezza d'animo e coltura d'ingegno. Ad esso aveva il Casa diretto il "Forno", inciampo, secondo alcuni, al cardinalato. Affettuoso ricordo di due sventure avvenutegli a fargli solitaria e sconsolata vita. "Bella fera e gentil", vuolsi allusione al nome del casato di madonna Claudia; ma "fere" si chiamavano da' poeti cinquecenteschi le loro belle, anche non nate di casa Orsina.
(Carrer, cit., pag. 302)



XIII

Fuor di man di Tiranno a giusto regno,
Soranzo mio, fuggito, in pace or sei:
deh come volentier teco verrei
fuggendo anch'io signor crudele e 'ndegno!

Duro mi fia, fin qui col tuo sostegno
usato di portar gli affanni miei,
or viver orbo i gravi giorni e rei,
ché sol m'avanza omai pianto e disdegno.

Tolsemi antico bene invidia nova:
e s'io ne piansi e morte ebbi da presso
tu 'l sai, cui lo mio cor chiuso non fue;

e or m'hai tu di doppio affanno oppresso
partendo, che l'un duol l'altro rinova;
né basto i' solo a soffrirli ambidue.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 13 (pag. 7)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 261

Note:
Ritocca la mesta corda del precedente. Nella prima terzina ritorna coll'animo afflitto a madonna Claudia.
(Carrer, cit., pag. 303)



XIV

Cangiai con gran mio duol contrada e parte,
com'egro suol, che 'n sua magion non sana:
ma già perch'io mi parta, erma e lontana
riva cercando, Amor da me non parte.

Ma come sia del mio corpo ombra o parte,
da me né mica un varco s'allontana;
né perch'io fugga e mi dilunghi, è sana
la doglia mia, né pur men grave in parte.

Signor fuggito più turbato aggiunge:
e chi dal giogo suo servo securo
prima partìo, di ferro ebbe 'l cor cinto

veracemente; e quegli anco fu duro
che visse un dì da la sua donna lunge,
e di sì grave duol non cadde vinto.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 14 (pag. 8)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 262

Note:
L'uso del sanare intransitivo ricorda il petrarchesco: Piaga per allentar d'arco non sana. A malattie disperate sogliono i medici consigliare il mutar aria; e quando si manda il malato fuori di casa significa che lo si accomiata pel cimitero, da cui solo la mano di Dio può camparlo. Lo scherzo della parola parte, ripetuta quattro volte con vario significato, ha modelli ed imitatori ( colla stessa parola parte vedi Petrarca p. I, s. 74 e s. 167 con la parola "sole"); ma è deplorabile in sonetto tanto nobile e passionato. Peggio assai il Tasso in un sonetto in morte del duca Alessandro Farnese, che incomincia, Dopo una lunga e sanguinosa guerra; nel quale pace e guerra sono rime costanti a tutti i quattordici versi. Si potrebbe parodiare con: Ser Cecco non può star senza la corte. Tornando al sonetto del Casa, si noti l'entrare della prima terzina nella seconda, ciò che il poeta usò molte volte, e a me basterà di notare una volta per sempre. Conferisce decoro e rapidità alla poesia; e può anche aggiugnere espressione all'affetto, come, tra'moderni, in un eccellente sonetto d'Ippolito Pindemonte:
Nè per seguirla altro mi resta, o mia
Fida sorella, che una vecchia spoglia
Deporre, ec.
Tibullo anche qui era nell'animo del Poeta, e gli prestava opportune frasi ed immagini per le terzine.
(Carrer, cit., pag. 303)



XV

Quella, che del mio mal cura non prende,
come colpa non sia de' suoi begli occhi
quant'io languisco, o come altronde scocchi
l'acuto stral che la mia vita offende,

non gradisce 'l mio cor, e no 'l mi rende,
perch'ei sempre di lacrime trabocchi;
né vòl ch'i' pèra, e perché già mi tocchi
Morte col braccio, ancor non mi difende.

E io son preso, ed è 'l carcer aperto;
e giungo a mia salute, e fuggo indietro;
e gioia 'n forse bramo, e duol ho certo.

Da spada di diamante un fragil vetro
schermo mi face: e di mio stato incerto
né morte Amor da te, né vita impetro.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 15 (pag. 8)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 263

 
 
 
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