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Rime di Celio Magno (351-352)

Post n°1126 pubblicato il 25 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

351

Già fu che, stolto, io non credea possente
volto di bel fanciullo ardermi il core,
mentre amor feminil chiusa la mente,
da pria mi tenne in troppo cieco errore;
or che, mercé del ciel, l'anima sente
le forze al fin di sì soave ardore,
l'altro dispregia, e stupor anzi prende
come per donne Amor suo foco accende.
Tal chi prima gustò, di Bacco amico,
spremendo l'uve il nettar dolce e grato,
de l'acqua diventò schivo e nemico
ch'era a mensa bramar pur dianzi usato;
così trovando in cavo tronco antico
famelic'orso il mel non più gustato,
le ghiande lascia e 'n tutto a sdegno l'have,
accorto fatto del licor soave.
Donna, voi, ch'io già tenni angel celeste
sceso a farmi qua giù beato a pieno,
cedete il vanto pur ch'allor n'aveste
al volto del mio Tirsi almo e sereno;
perché quanto or di ben dar mi potreste
lo stimerei d'un sol suo guardo meno:
e nel suo amor più tosto aver tormento
che nel vostro, torrei, viver contento.
Quanto m'è dolce più che 'l cor mi leghi
a la sua chioma inanellata e bionda;
e che sue forze in me tutte dispieghi
da quella fronte Amor chiara e gioconda;
e ch'indi spesso i miei cocenti prieghi
cortese ascolti, e lor grato risponda.
Quanto m'è più soave, in lui da presso
mirando, tutto in lui perder me stesso.
Vince il mio Tirsi al bel purpureo viso,
agli occhi vaghi ed al gentil sembiante,
Ales, Adon, Giacinto, Ila e Narciso
con qualunque altro di beltà si vante.
ancor direi che Giove in paradiso
di men degno fanciul si gode amante:
ma temo a lui non scenda in novo augello
per farne sé più lieto e 'l ciel più bello.
Dolce mio caro aventuroso foco,
luce degli occhi miei sola e gradita,
che 'l mio cor sollevando in nobil loco
mi rinovasti a più felice vita,
e in cambio d'un piacer fallace e poco,
gioia mi fai provar vera infinita:
scorgi tu dentro in me quel ch'or desio
dirti, e spiegar non puote il canto mio.

352

N.
Perché 'l don già concesso or mi ritogli,
Amor? E 'l cangi in duolo?
A.
Perché 'l diletto solo
non ti dia morte, e del tuo ben ti spogli.
N.
Qualche conforto almen, se vuoi ch'io viva,
tempri il mio amaro lutto.
A.
Non è misto il mio frutto,
ma sol d'aspro o di dolce al colmo arriva.
N.
Come dunque vivrò, se già 'l tormento
dal cor l'alma divide?
A.
Il dolor non ancide,
ma ben per allegrezza altri fu spento.
N.
Ahi, ch'anzi torna, più che morte amara,
ogni tua breve noia.
A.
Ogni mia leve gioia
ancor via più che vita è dolce e cara.
N.
Troppo è mia fé di tanto strazio indegna.
A.
Soffrir tacendo dèi,
se fedel servo sei;
basti che quinci a te salute vegna.
N.
Pietosa crudeltà, pietà crudele:
voler, perch'io non mora,
che provi morte ognora,
e che del mio morir non mi querele.

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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