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Rime di Celio Magno (331-346)

Post n°1120 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

331

[A Fabio Patrizi]

Di via più ricchi marmi adorna or sorge
la tomba mia da le tue dotte carte
e fabricar con via più nobil arte
per l'amiche tue man, Fabio, si scorge.

Onde d'ogni sua lode ella a te porge,
architetto gentil, la maggior parte;
che 'l dolce suon per cui le pietre sparte
s'uniro a fondar Tebe, in te risorge.

E 'l mio, col nome tuo sculto, di Lete
non varcherà giamai l'orrida sponda,
ma vital per me fia l'ora funesta.

Cortese amor, che, giunto ad alte mete
di chiaro ingegno, il crine altrui circonda
del proprio lauro, e 'l volo al tempo arresta.

332

[A Ercole Udine]

Amor, ch'un vetro agli occhi altrui prepone
del color tinto ond'è la mente impressa,
falsa ammira di fuor sembianza espressa
e per verace entro 'l pensier la pone.

Questo è de l'error tuo dolce cagione,
Ercole, per la lode a me concessa;
questo la cetra mia, roca e dimessa,
tra le pari a la tua, cieco, ripone.

Dunque a te grazie; a me più tosto segua
rossor che vanto: e 'l tuo, nol mio, valore,
magno e cortese oltr'ogni stil si nome.

Così mia forza egual fosse a l'onore:
ch' Ercole anch'io talor ti darei tregua
dal sostener le tue celesti some.

333

[A Lucrezia Marinella]

Qual ghirlanda giamai di più bei fiori
cinse per man di ninfa a Delia il corno,
che quella ond'al tuo canto il crin m'adorno,
angela scesa dai celesti cori?

Son di natura e d'arte alti tesori
quei ch'in te m'apre aventuroso giorno,
ma fan le lodi a te giusto ritorno,
ch'in me soverchie, in te sembran minori.

Non più fastosa sia, non più rammenti
sue donne a par di te l'antica istoria:
sorga il tuo sol, la lor luce tramonte.

E scriva Febo a le future genti
l'affetto del mio cor con la tua gloria,
ne' più bei lauri in sul castalio fonte.

334

[Ad Angelo Ingegneri. 1]

Già dubbio, ed or per voi certo, m'aveggio
di Pindo non errar dal camin vero,
ch'al testimon del vostro cor sincero
giunto a sì gran valor, pochi pareggio.

Ma non mi scorgo tal s'io mi riveggio
qual mi pingete; e tanto indarno spero
ben de l'alloro il natio bello intero
onde 'l crin s'orna Febo, in voi vagheggio.

Splende il Giustinian d'onor sì raro,
splende il Veniero; io l'orme lor pregiate
tento, ma girne assai lontan conosco.

Né deve a' raggi vostri esser discaro
ch'oscuro piè vi segua, alme ben nate,
ché 'l sol più luce a par d'un nuvol fosco.

335

[2]

Troppo a dietro restar me vinto io veggio,
e voi tant'oltre gir per bel sentiero:
ché di lodarmi a pien vano è 'l pensiero,
ingiuria il dirne poco, e 'l tacer peggio.

Né però 'l vanto mio ricusar deggio,
ch'onor d'ogni alma è dolce lusinghiero,
ed ha benigno il ciel merto leggiero
s'altri il ripon di basso in alto seggio.

Quinci oscuro per me nel vostro chiaro
lume io parrò: se non qual mi mostrate
non indegno cultor del lauro tosco.

E con favor sì prezioso e caro
sottratto a morte, a la futura etate
passerò noto anch'io per fama vosco.

336

[Ad Andrea Gussoni]

Chi me, d'ingegno umil, povera tomba
cantando illustra e d'arricchir procura?
Chi rende eterno quel che poco dura
e volge un muto sasso in chiara tromba?

Certo d'angelo voce or qui rimbomba,
ch'ov'io nulla sperai fama futura,
dal diluvio mortal mi fa secura,
sì come altr'arca già sacra colomba.

Dunque a me d'onor ceda ogni sepulcro,
che 'l feretro si cangia in lieta cuna
e nel mio cieco albergo il sol si scorge.

Rispondo: Amor cortese in stil sì pulcro,
con altri, in te sue proprie doti aduna:
ché dal suo fonte ogni miracol sorge.

337

[A Ginevra Maggi Abbiosa]

Pianta a cui neve d'aspro verno e duro
la chioma imbianchi e la virtù reprima,
sembra il mio ingegno; e quanti frutti io prima
ne colsi, nati a basso pregio furo.

Onde in alzando lor non ben figuro
se te più 'l canto o cortesia sublima:
ch'ambo egualmente van di gloria in cima
dando a mia tomba eterno onor futuro.

Quinci de le tue mani opra io divegno
e la mia nobil sete in te si sbrama
sì ch'a par del ginebro il lauro sdegno.

Così potess'io ordir la ricca trama
de le tue lodi, e gir del merto al segno:
ma il ciel tentar senz'ale invan si brama.

338

[A Marco Venier]

Frutto che da sé nacque aspro, immaturo,
con gusto infermo, amor soave stima,
mentre il tuo divin canto il mio sublima,
a cui le Muse ognor sì scarse furo.

Ben col tuo nome il mio giunto assicuro
di quell'onor ch'invan sperai da prima,
posto or da man benigna in tanta stima
e rinovato al bel viver futuro.

O mia rara ventura, o ricco pegno
d'alma cortese, ove ogni nobil brama
s'alza con l'opre a glorioso segno!

Ch'è la tua vita di virtute e fama
perpetuo fonte; onde, o d'invidia è pregno,
o senza cor chi non t'onora ed ama.

339

[A Cristoforo Ferrari]

Dunque a palustre e roco augel s'inchina
di Pindo il più gentil cigno canoro
qual tu, Ferrari? E 'l mio rozo lavoro
al favor del tuo canto il ciel destina?

Ben gir caro a sì degna e pellegrina
alma e di mie fatiche ampio ristoro:
ma dal bel di tue lodi alto tesoro
il mio basso valor troppo declina.

E del tuo dolce inganno è la radice
ch'io, per me nudo, a te splendo coperto
del mio compagno entro la luce altera.

Basti a me del cor d'ambo esser felice
e nell'amarvi anch'io, s'altro non merto,
d'ambo voi riportar palma primiera.

340

[A Orsatto Giustinian]

Se mirabil d'amor legge presume
ch'in noi regga duo corpi un spirto solo,
dovunque spieghi o l'un o l'altro il volo
il medesmo vigor desta le piume.

Ciò vien da te come da fonte fiume,
ch'io non basto a seguir per me lo stuolo
d'Apollo, ma tra quegli il vanto ho solo
ch'adoran d'amicizia il sacro nume.

Così tu, novo Orfeo, morto disarmi
per me cantando, e in me te stesso onori,
cieco a conoscer la tua forza e l'armi.

Ritratto è proprio tuo quel che colori;
e gloria mia ch'ove co' degni carmi
tu m'alzi, io col mio ardor t'arda e innamori.

341

Al signor Cristoforo Ferrari. Primo

Deh, perché avien che noi crudel consume
il tempo, s'è, qual noi, del ciel figliuolo?
Né spuntar possa umana forza o dolo
degli occulti suoi strali il duro acume?

Lasso, ho già sparso il crin di bianche brume
col dolce amico, e seco al fin me n' volo;
e 'l gioir nostro ognor si turba al duolo
che di smembrarsi l'un da l'altro assume.

Ma se certo è 'l morir, dee consolarmi
che i nomi giunti almen, com'ora i cori,
vivran nel canto onde a lui piacque ornarmi;

e ch'io pinto non men ne' tuoi colori
securo vo, di seco eterno starmi
a l'ombra ancor de' tuoi famosi allori.

342

Secondo

Chi di sacro Parnaso al bel cacume
odo e veggio cantando alzarsi a volo
ch'a prova il cigno vince e 'l rossignuolo
e qual canto ammirar più si costume?

Porgagli lauri il colle e palme Idume,
e l'or de le su' arene Ermo e Pattolo,
e mentr'io l'alma in ascoltar consolo,
per me Febo ne tessa ampio volume.

Tu Ferrari, tu sei: ch'or a bearmi
vieni con l'armonia dagli alti cori,
ed a' tue lodi ed al tu' amor degnarmi.

Io sì legato il cor da' tuoi favori,
se non basto a scolpirti in ricchi marmi,
sacro a te questi almen poveri fiori.

343

[A Offredo Offredi]

Col gran Bembo, di Febo amato figlio,
ripor me dal mio basso gli alti scanni,
di poveri cangiato in ricchi panni,
signor, è sol d'amore opra e consiglio.

Questo in mio troppo onor v'inganna il ciglio,
e mentre da fuggir del tempo i danni
sì cortese a me presta i propri vanni,
d'Icaro ogni timor pongo in essiglio;

che come al Tebro in questo salso stagno
date di Dio ministro alto splendore,
così le Muse in voi se stesse ornaro.

Quinci il crin v'ornerà col lauro a paro
l'ostro; e ben voi già sete in ogni core
Bembo non pur, ma Pietro, e sacro, e magno.

344

[Ad Aurelio Prandino]

Portar luce al sol osa
quel ch'io d'Ascanio canto,
e 'l cieco di me vanto
dal dolce fonte del tu' amor deriva.
Cantane tu, ch'al morto hai canto eguale,
giunte a le sue de la tua fama l'ale;
sol lode a me s'ascriva
di cor pien d'alta brama
che lui morto e te vivo onora ed ama.

345

[A Tiberio de' Conti]

Qual pianta steril suol, ch'inserto porte
fecondo germe e in lui si rinovelle;
o roza tela, a cui famoso Apelle
con dotta man ricco ornamento apporte;

tal per tue lodi al mio stil roco porte,
canoro ei sembra e si trasforma in elle;
e le due del mio cor dolci facelle
con maggior vampa in me sento risorte.

Ma s'elle ardean non meno i tuoi desiri,
o che bei frutti di felice ingegno
potea 'l mondo raccor fra tuoi sospiri.

Potessi or io l'onor, che da te vegno
a trar, dar frutto a que' duo vaghi giri:
poich'io ne son, fuor che per grazia, indegno.

346

[A Marino Garzoni]

Oh foss'io degno del tesoro in parte
ond'ora il nome mio s'ingemma e inostra
come del vostro cor, ch'indi si mostra,
Marin, mi glorio aver sì ricca parte.

Ma cieco affetto a me l'onor comparte
che troppo val con debil merto in giostra;
e mentre vien da lui mia lode mostra,
pinge incauto voi stesso a parte a parte.

Voi degli anni sul fior correte dietro
con piè franco a virtù per camin erto,
pien d'opre degne e d'umil cure scarco;

io su i vostri pietosi omeri carco
novo Anchise in amor, vo lieto e certo
di fuggir de l'oblio l'incendio tetro.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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