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Della Casa 01: sonetti

Post n°1113 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Le Rime secondo la stampa del 1558

I

Poi ch'ogni esperta, ogni spedita mano,
qualunque mosse mai più pronto stile,
pigra in seguir voi fôra, alma gentile,
pregio del mondo e mio sommo e sovrano;

né poria lingua, od intelletto umano
formar sua loda a voi par, né simile,
troppo ampio spazio il mio dir tardo umile
dietro al vostro valor verrà lontano:

e più mi fôra onor volgerlo altrove;
se non che 'l desir mio tutto sfavilla,
angel novo del ciel qua giù mirando:

o se cura di voi, figlie di Giove,
pur suol destarmi al primo suon di squilla,
date al mio stil costei seguir volando.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 1 (pag. 1)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 249



II

Sì cocente penser nel cor mi siede,
o de' dolci miei falli amara pena,
ch'io temo non gli spirti in ogni vena
mi sugga, e la mia vita arda e deprede.

Come per dubbio calle uom move il piede
con falso duce, e quegli a morte il mena,
tal io l'ora ch'Amor libera e piena
sovra i miei spirti signoria vi diede,

il mio di voi penser fido e soave
sperando, cieco, ov'ei mi scorse andai:
or mi ritrovo da riposo lunge.

Ch'a me per voi disleal fatto e grave
l'anima traviata opprime e punge,
sì ch'io ne pèro, e no 'l sostengo omai.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 2 (pag. 2)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 250

Note:
Tal io, ec. Il senso e la costruzione di questo e de' versi seguenti fino a tutto il decimo, sono un poco intralciati. Costruisci: Nel tempo che Amore vi fece mia donna, andai cieco dietro la scorta del pensiero che mi parlava di voi, e ch'io credeva fido e soave.
(Carrer, cit., pag. 301)


III

Affligger chi per voi la vita piagne
che vien mancando e 'l fine ha da vicino,
è natural fierezza, o mio destino,
che sì da voi pietà parta e scompagne?

Certo, perch'io mi strugga, e di duol bagne
gli occhi dogliosi e 'l viso tristo e chino,
e quasi infermo e stanco peregrino
manchi per dura via d'aspre montagne,

nulla da voi fin qui mi vène aita;
né pur per entro il vostro acerbo orgoglio
men faticoso calle ha 'l penser mio.

Aspro costume in bella donna e rio
di sdegno armarsi, e romper l'altrui vita
a mezzo il corso, come duro scoglio.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 3 (pag. 2)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 251


IV

Amor, per lo tuo calle a morte vassi,
e 'n breve tempo uccide il tuo tormento,
sì com'io provo; e non però consento,
né so per altra via mover i passi.

Anzi, perché 'l desio vole e trapassi
più veloce al suo mal che strale o vento,
spesso del suo tardar mi lagno e pento,
sospignendo pur oltre i pensier lassi:

tal che, s'i' non m'inganno, un picciol varco
è lunge il fin de la mia vita amara;
e nel tuo regno il piè posi pur dianzi.

Poco da viver più credo m'avanzi,
né di donarlo a te tutto son parco:
tal costume, signor, teco s'impara.

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 4 (pag. 3)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 252



V

Gli occhi sereni e 'l dolce sguardo onesto,
ov'Amor le sue gioie inseme aduna,
ver' me conversi in vista amara e bruna,
fanno 'l mio stato tenebroso e mesto.

Ché qualor torno al mio conforto, e presto
son, lasso, di nutrir l'alma digiuna,
trovo chi mi contrasta, e 'l varco impruna
con troppo acerbe spine; ond'io m'arresto.

Così deluso il cor più volte, e punto
da l'aspro orgoglio, piagne: e già non have
schermo miglior che lacrime e sospiri.

Sostegno a la mia vita afflitta e grave,
scampo al mio duolo, e segno a i miei desiri,
chi t'ha sì tosto da mercé disgiunto?

Le Rime secondo la stampa del 1558
Lirici italiani del Secolo Decimosesto con annotazioni, di Luigi Carrer, Venezia, 1836, Sonetto 5 (pag. 3)
Parnaso Italiano, Vol. 26, 1787, pag. 253

Note:
E' sonetto finito al sommo, e pieno d'ingenua soavità ed eleganza. Vivacissima l'interrogazione dell'ultimo ternario, dopo il riposato andamento del resto. L'Alfieri imitò questo artifizio in un sonetto al cavallo portatore della sua donna.
(Carrer, cit., pag. 301)

 
 
 
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