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Rime di Celio Magno (300-310)

Post n°1106 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

300

Al clarissimo signor Andrea Gussoni [1]

Non t'ornò il crin de la sua nobil fronda
sì amico Apollo e diè sì dolce canto
perché, Andrea, tu men grato a favor tanto,
i suoi doni e 'l tuo onor scemi e nasconda.

Troppo rigida in te modestia abonda
di crudeltà vestendo incauta il manto,
mentre a' tuoi propri parti il sole e 'l vanto
neghi, lor chiusi in ria prigion profonda.

Grave a Natura, grave a Febo oltraggio,
ch'al mondo gli han, non a te sol produtti,
è che sì gran tesor giaccia sepolto.

Escan dunque a la luce; e tu più saggio
cogli de la tua gloria in vita i frutti:
che dopo morte il qui goderne è tolto.

301

[2]

Ben può tua musa oltr'ogni stil faconda
me trasformar col suo divino incanto
ma sé non già: ch'anzi or palesa quanto
sovrano lume il suo valor diffonda.

Tu, se modesto invan velo il circonda,
squarcialo, e splendi ai più famosi a canto;
ch'io, qual mi sia, preparo il legno intanto,
aura sperando al navigar seconda.

Favorir suol fortuna alto coraggio;
e s'al bel voto fian contrari i flutti,
vanto almen de l'ardire avrò raccolto.

Prendi omai, prendi il proprio a te viaggio;
conosci i don del cielo in te ridutti,
al dritto, al mondo, a la tua gloria volto.

302

[3]

Se in faccia ride il ciel vaga e gioconda
o mesto versa nubiloso pianto;
se 'l crin di neve o fior la terra ha spanto,
o di biade o di frutti appar feconda;

se 'l mar placido giace o i liti inonda;
se 'l sol vibra il suo raggio intiero o franto,
e la luna a pien s'apre o cela alquanto:
il tutto a commun pro mira e ridonda.

Porge in tributo al degno uman lignaggio
Natura alma e benigna i parti tutti,
né da sì giusto essempio alcun va sciolto.

E tu sol negherai dar dolce saggio
di quanto il tuo valor fiorisca e frutti,
il tuo ingegno a te solo arato e colto?

303

[4]

Così di grazia alcuna stilla infonda
benigno Febo a quel ch'io servo e canto,
come ai cigni ond'ha voce e Smirna e Manto
va par la musa tua purgata e monda.

E tal d'eternità radice fonda
che spesso morte il suo gran danno ha pianto
io presso a lei son quasi umile a canto
ch'altera quercia vince e soprabonda.

Ma se di fede alcun merto pur haggio,
cedi a' consigli miei dal vero instrutti,
che negletto da te se n' lagna or molto.

Faccian dal fosco al chiaro omai passaggio
tuoi parti fuor da giusta man condutti,
né stia più 'l sole infra le nubi involto.

304

[5]

Se te pregando invan con debil fionda
l'aria percuoto, e in steril suolo io pianto,
mentre rispondi almen parte ne schianto,
onde a quel che tu celi, altri profonda.

Tal a saper s'un campo il ciel feconda
poche spiche talor ne coglio e spianto;
e per te noto far basta ben tanto,
ch'è palma, se non prima almen seconda.

Del tuo merto divin fedel messaggio
fian questi a mio favor carmi construtti,
mio dolce inganno in pro d'ambo rivolto;

ch'essi con proprio tuo ricco vantaggio
fiorir faranno i miei sterili asciutti,
qual nobil germe inserto in ramo incolto.

305

[6]

Di novi lauri e fior vesta la sponda
il bel Cefiso; e febo e 'l coro santo,
già mesti al tuo tacer, lieti altrettanto
aprano al tuo cantar più dolce l'onda.

Pur frutto è ciò di mia lingua infeconda,
il cui diffetto con tal lode ammanto;
pur quinci appar, se quel ch'ammiro e vanto
sovra ogni altra credenza al ver risponda.

E s'or del tuo valore un picciol raggio
ai più chiari s'agguaglia in prova addutti,
ché non discopri a piena gloria il volto?

Repugna a nobil cor pensier selvaggio,
onde sian gli onor tuoi da te distrutti,
né 'l mio fedele, util consiglio accolto.

306

[A Orsatto Giustinian]

A le lagrime pie ch'io vo spargendo
con bassi carmi ad alta impresa accinto
ceda in prova d'amor Virgilio, vinto,
a cui per altro, umìl, la palma rendo.

Io l'aspra sorte tua mia propria intendo,
d'alta e verace doglia il petto cinto;
quei con bell'arte espresse un pianger finto,
del cesareo favor l'aura seguendo.

E quanto a smorta stella il sol prevale,
tanto il mio don del suo più nobil dico,
s'altrui d'onor via più che d'oro cale:

ch'oltra il tuo affetto, ond'io l'alma nutrico,
mi dai col tuo valor vita immortale
e trofeo del crudel tempo nemico.

307

[A Giovan Battista Sancio]

Proprio soverchio amor, ch'in noi rinforza
gli sproni del desio ch'al mal trasporta,
apre a stolta superbia ancor la porta
ch'ogni fior di virtù recide e scorza.

E qual senza nocchier che regga l'orza
nave a perir se n' va da Borea scorta,
tal privo di ragion morte riporta
chi dà le vele a questo vento in forza.

Io per rifugio espongo agli occhi miei
confitto in croce il re del cielo, e quali
fonti versar le mani e i santi piei;

e mentre a me poi dico: — Or tu che vali,
misero? Tu che polve ed ombra sei? —
Veggio il mostro fuggir, vinto e senz'ali.

308

Ad Ascanio Pignatello

Ben deggio Icaro dirmi, or che m'aggiunge
quell'ali Amor che le tue man formaro;
e perch'io m'erga ov'uom poggia di raro,
tolto a me stesso, a te mi ricongiunge.

Ma varia norma al mio volar s'ingiunge:
ch'io di gir teco al sol vicino imparo,
e de' tuoi pregi il fermo alto riparo
me d'ogni tema del cader disgiunge.

Che quanto esser pò in me d'oscuro e vile
tu 'l rischiari al tuo lume e 'l fai perfetto
portando il nome mio da Battro a Tile.

Or, qual altra è maggior gloria e diletto
ch'eterno andar col tuo sublime stile
e nido aver dentro al tuo nobil petto.

309

[A Bernardo Maschio. 1]

Qual pastor ch'al chiamar d'angelo eletto
a mirar nato il re del ciel se n' gio,
tal oggi a inchinar lui desto è 'l cor mio
dal suon che santo ardor vi trae del petto.

Veggio ch'in virginal ventre concetto,
vergin lasciollo ancor quando n'uscìo;
e che Dio, presa carne, a l'uom s'unio
per farlo d'ogni ben colmo e perfetto.

Quinci com'esser può che 'l ghiaccio duro
del mio voler non si dilegui e stempre
deposto il peso omai di tanti errori?

Dunque oggi ognun di noi del ciel sicuro
con sacrificio umil de' propri cori,
cantando in gloria sua la lira tempre.

310

[2]

Più tosto il fil del mio viver recida
pietosa Parca in questo essilio indegno,
ch'io dal mio caro e prezioso pegno
pur momento il pensier giamai divida.

Ché nobil rende ogni alma in cui s'annida
Amor, e l'ali sue presta a l'ingegno
e la face al valor, sì ch'oltra 'l segno
che da sé spera, al ciel gli è scorta e guida.

Ma s'io per la sua via piango e m'adiro,
dal ciel, non già da lui, la colpa nasce
che dal mio paradiso or mi disgiunge.

E benché tu per maggior pace il lasce,
sappi che quando me più 'l dolor punge,
vince mille tue gioie un mio sospiro.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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