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Rime di Celio Magno (232-240)

Post n°1085 pubblicato il 18 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

232

A nome di donna

Ben mi fu, Chiara, il ciel largo e cortese
e di sue grazie ogni alto sogno vinse,
allor che, 'l cor legando, a voi mi strinse,
tal ch'a più nobil laccio unqua non prese.

Rare bellezze, e più non viste o intese
in voi natura con virtù ristrinse;
così Febo di lauro il crin vi cinse
e d'ogni bel desio l'alma v'accese.

Sol ebbi stella in ciò scarsa ed avara:
ch'or da me lunge in altra parte io miro
risplender vostra vita amata e cara.

Il cui lume goder spero e sospiro
un dì con sorte a pien felice e rara,
e 'n sì dolce pensier lieta respiro.

233

Poiché fortuna al mio amor nemica
da voi lontano in questo mar mi tiene,
lasso, sempre son visso in doglia e 'n pene
né saldar si può ancor la piaga antica.

Spesso m'ancide il duol; poi spesso amica
più tiemmi in vita del tornar la speme,
come vivo per pioggia si mantiene
fior dal sol quasi estinto in piaggia aprica.

Ben sallo Amor, che con la mente volto
sempre mi vide ov'ogni ben lasciai,
e di lagrime sempre umido il volto.

Né spero tregua a le mie pene mai
finch'io non sia tra quelle braccia accolto,
lasso, che troppo intensamente amai.

234
O del mio reo destin, ch'or mi constringe
lontano errar dal caro idolo mio,
e del pianto e del duol soave oblio,
pensier, quanto il tuo merto a te mi stringe!

Per te spesso felice il cor si finge,
mentre il bel viso e 'l dolce sguardo pio
e 'l riso e 'l gioco e quanto invan desio,
sì vivo agli occhi miei da te si pinge.

Ahi macchia indegna del mio puro ardore!
poich'in tanta miseria, ov'or mi veggio,
può dar alcun piacer tregua al dolore.

Parti dunque, pensier, trova altro seggio;
perch'io senza 'l mio ben, senza 'l mio core,
né conforto curar, né viver deggio.

235

Pur volgo i passi, e n'è ben tempo omai,
al mio bel nido, al mio dolce soggiorno;
e 'l cor insieme a ricovrar ritorno,
ch'ivi piangendo in sul partir lasciai.

Tre volte cinta d'argentati rai,
la figlia di Latona ha mostro il corno,
ch'indi lontan non ho veduto un giorno
senza affanno provar, senza trar guai.

Or, qual nocchier tra dubbi casi scorto
per alto mar da ciel nemico irato,
pien di letizia al fin m'indrizzo al porto:

dove risplende il mio bel sole amato,
dov'è con quei, ch'ognor negli occhi porto,
ogni cagion del mio tranquillo stato.

236

Non sdegna amarmi, e n'ho sicuro pegno,
colei ch'adoro; e di mia età matura
con occhi di pietà guarda e misura
quanto men piace, e 'l fa di grazia degno.

Scorge in me di valor forse alcun segno
ch'adorna la mia fede ardente e pura.
Ma che pareggiar può tanta ventura?
Qual virtù rara? O qual sublime ingegno?

Anzi, se di me nasce alcun bel frutto
non è mio, no; ma da quel chiaro sole
co' suoi raggi fecondi in me produtto.

Dunque a ragion da me s'onora e cole
dea sì cortese: a lei sacrando in tutto
l'alma, l'opre, i pensieri e le parole.

237

O d'ogni suo pensiero unico oggetto,
che giorno e notte ne la mente io porto;
o d'ogni pena mia dolce conforto
qualor mi rendi il tuo bramato aspetto:

deh perché del vederti il gran diletto
mi vien si tardo, ed è si breve e corto?
perché 'l sol mi s'asconde a pena scorto,
e dopo tanto ben tenebre aspetto?

Ma fortunata chiamo ogni mia doglia,
poiché per giusto premio al mio desio
risponde ancor la tua amorosa voglia.

Benedetto sia dunque il martir ch'io
sento se di tua vista il ciel mi spoglia
e viva eterno amor nel petto mio.

238

Mentre la bella e gentil donna mia,
qual in Cinto talor Delia si vede,
al dolce suono accompagnando, il piede
movea con onestate e leggiadria.

Febo, che tal beltà qua giù scopria,
dicea: — Qual luce a farmi oltraggio riede? —
E Amor, ch'altero in que' begli occhi siede,
visibilmente i cori altrui feria.

Quando, volgendo il guardo suo cortese,
degnò mirarmi: e presto al mio tormento
l'ascoso arcier gli strali e l'arco prese.

Deh, perché 'l tenne in me sì poco intento?
ch'al suo bel lume, a le soavi offese
del mio signor potea morir contento.

239

Spenta è l'indegna fiamma onde cotanto
per te, donna, arsi, e quel vil nodo sciolto
ch'Amor m'avea d'intorno al cor avolto:
più non mi stan pensier dogliosi a canto.

Ma qual di Circe e di Sirene al canto
Ulisse già, tal a tu' insidie tolto
ver la mia cara libertà son volto
che lungamente ho sospirato e pianto.

Non era lunge a rimaner disperso
se non mi socorrea divin consiglio,
già quasi in fera irrazional converso.

Dunque campato da sì gran periglio,
rendo al ciel grazie in alta gioia immerso,
poiché m'aperse al maggior uopo il ciglio.

240

De l'aspro tuo rigor giusto in me sdegno
spente avea le mie fiamme a poco a poco
mentre, o stile inuman, prendesti in gioco
la doglia e 'l pianto del mio strazio indegno.

Or ch'in te pur d'amor scorgo alcun segno,
torna e s'avviva in me l'estinto foco,
e del cor ti ripongo al primo loco
qual signor che ricovri il proprio regno.

Tu gradisci mia pura ardente fede,
ch'in nobil alma troppo si disdice
render a ben servir pena in mercede.

E faccia Amor sì ferma in te radice
a quella egual che nel mio petto siede:
che l'un per l'altro viva ognor felice.

 
 
 
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