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Rime di Celio Magno (188-200)

Post n°1075 pubblicato il 18 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

188

A messer Girolamo Molino

Quella donna gentil, ch'a nova luce
v'alletta il guardo; ad al suo dolce canto
l'avide orecchie, e 'n voi con doppio vanto
meraviglia e piacer tanto produce.

Dal parlar vostro, onde riflessa luce,
quasi da chiaro specchio in ogni canto,
tal in me splende, e m'addolcisce tanto
ch'alta brama di sé nel cor m'adduce.

Però me voi, signor, prego, scorgete
de' raggi suoi, di sua voce al diletto
per disfogarne, un dì, mia ardente sete.

Così lei prenda amor del vostro affetto,
e 'l lume e 'l canto, onde sì vago sete,
v'empiano ognor di lor dolcezza il petto.

189

Per la illustrissima signora donna Ieronima Colonna

Amore, a cui quel foco ardente meno
rende invida Giunon, quel che nell'onde
Del gran padre Oceàn s'accese, donde
Venere apparve pria nel suo bel seno;

per ristorar sue fiamme entro al sereno
raggio divino, e di virtù feconde
l'alme inalzar là, v'ogni ben s'asconde
da questo basso e vil carcer terreno;

sopra questa gentil Colonna or prende
suo seggio; e quinci ogni alma incende e falle
d'alto sentir le sue faville sante.

Di che noi bea splendor, ch'ella n'apprende;
e qual novo Israel, per miglior calle,
ne scorge a contemplar l'eterna amante.

190

Un Febo in cielo, un Febo in terra io scerno,
una Cinzia là su, l'altra fra noi:
van questi emuli a' quei co' raggi suoi,
stretti in nodo non men dolce fraterno.

Ministri questi e quei del re superno,
mondo, fan che felice or dirti puoi,
e i più lucenti specchi agli occhi tuoi
son questi, e quei del sommo sole eterno.

Così di tempo a' quei conformi ancora
durasser questi; e 'l tuo divoto zelo
del suo lume gioir potesse ognora.

Ma splenderan, deposto il terren velo,
lassuso anch'essi: e pari in tutto allora
avrà duo Febi e due Diane il cielo.

191

[In lode di Cinzia Braccioduro Garzadori]

Venere è certo e non donna mortale
questa, e dal vero il creder mio non erra:
ché sì rara beltà non nasce in terra
né può splender tal luce in corpo frale;

benché se 'l nome tien di Cinzia e tale
ardor di castità nel petto serra
che sol col guardo ogni vil voglia atterra,
ch'anzi Diana sia, dubbio m'assale.

Ma come è lei? Poiché le stelle a pena
quella avanza di lume, e questa nostra
fa l'aria più che 'l sol chiara e serena.

Sia qual si vuol, dea certo esser dimostra;
e se pur non è dea, donna terrena
vince, o dive del ciel, la gloria vostra.

192

Al signor Alessandro Magno suo fratello

Se pur d'alto saper lingua non mente
un predir quel che 'l ciel di me destina,
e in così verde età, lasso, vicina
morte spirar più qui non mi consente;

pria che siate, o mie luci, oscure e spente,
piangete innanzi a la pietà divina
ch'ognor sì pronta a prego uman s'inchina,
le colpe onde aggravar l'alma si sente.

E tu, ch'or da me lunge altrove spiri,
frate, da me più che quest'occhi amato,
rimanti, e 'l ciel più largo a te si giri:

sol che talor con petto amico e grato
in me 'l tuo danno e 'l mio destin sospiri,
e sia 'l mio nome del tuo pianto ornato.

193

Alla signora Giulia Recanati sua sorella

O per sangue e miserie a me congiunta,
e del medesmo ventre al mondo uscita,
quante fiate a lagrimar m'invita
quel rio destin che t'ha pur lassa aggiunta.

Tu rimanesti, a pena in luce giunta,
orba di quei che ti produsse in vita;
ed or da me, tua compagnia gradita,
tua sola speme, il ciel ti tien disgiunta.

Qual più strazio a provar ti resta omai?
Quai po 'l cielo a me far più ingiurie e scorni,
s'ogni mal m'è del tuo men grave assai?

Ma, s'è ver che sereno il ciel ritorni
dopo gran pioggia, e tu fin lieto avrai
de' tuoi più tristi e nubilosi giorni.

194

Questo ordito pur or soave nodo
ch'i nostri cor sì strettamente cinge,
forse altri a dir con meraviglia spinge
— Come novello amor lega in tal modo? —

Ma chi in voi scorge il ben che tanto io lodo
poiché 'l ciel solo voi n'orna e dipinge
e 'n me 'l desio, ch'ad amar voi mi stringe
tal che solo di lui gioisco e godo,

dirà ben: — Questi col suo ardente affetto
scaldar può ogni alma, e quei di ferro un core
a sua virtute altrui mover dal petto. —

Così, Camillo, in fede ognor maggiore,
crescendo il laccio sì concorde e stretto,
lieti ne guidi insin a l'ultim'ore.

195

O tra gli amici miei fidati e cari
ben più a me fido e più diletto amico,
o per cui sol felice ora mi dico
c'ho più la sorte e 'l mio destin contrari;

se render grazie a la tua fede pari
con questa penna indarno m'affatico,
conosci il buon voler, benché mendico
d'ogni poter, colpa de' cieli avari.

Colui cui son tutti i pensieri aperti,
chiaro scoprendo il mio desire interno,
voglia per me ne' suoi gran premî averti;

ch'io, poich'a ciò seguir via non discerno,
sì raro pegno almen de' tuoi gran merti
conserverò ne la memoria eterno.

196

All'illustrissimo signor Francesco Contarini, cavaliere e procuratore

Poiché de la mia cara e fida scorta
quasi a l'entrar di questa selva oscura
orbo fe' rimanermi aspra ventura,
perch'in me fosse ogni speranza morta;

io con la via ch'ogni alma poco accorta
ne' suoi diletti ritener procura,
fui per cangiar la faticosa e dura,
ch'a dolce fin la nostra vita porta.

Ma voi scorgendo il mio vicin periglio,
mentr'io dubbiava del camin verace,
mi serbaste in lui fermo il piede e 'l ciglio.

E se 'l mio cor turbò morte rapace,
serenollo di voi l'opra e 'l consiglio,
qual chiaro sol ch'oscura nebbia sface.

197

A messer Domenico Veniero

O novo Apollo, o sol, che ben di Dio
sotto velo mortal sembianza mostri;
tu, che rendi felici i giorni nostri
con tanto ben del ciel, ch'in te s'unio;

mentre infinita in atto umile e pio
gente a te vien dai più lontani chiostri,
perché quel c'ha nel cor scopra e dimostri,
di inchinarti e vederti alto desio;

a me, che sovr'ogni altro il tuo bel lume
divotamente adoro, apri la strada
che mi meni a vestir più salde piume.

Mostra, Signor, dove convien ch'io vada
per sottrarmi al volgar basso costume,
e perché, senza te, non pera e cada.

198

A messer Alberto Badoaro

S'udio nel tuo mortal corso periglio
quando più colmo avea di gioia il petto,
cangiando in grave duol l'alto diletto
dir così la tua patria umida il ciglio:

— Ahi, che sul più bel fior m'è tronca, o figlio,
tua vita e 'l mio sperar di te concetto;
e invan sì larghi frutti altronde aspetto
di fé, di lingua, d'opra e di consiglio.

Deh sanal tu, Signor, tu che m'hai porta
dianzi salute a tanta gloria unita,
sendo anch'io sì vicino al mio fin scorta. —

Or ch'a lei ti salvò celeste vita,
raddoppia il gaudio; e par d'afflitta e morta
che torni teco un'altra volta in vita.

199

Benedetto sia 'l dì ch'in nobil laccio
d'amor, Ottavia, a te quest'alma unio;
benedetto l'ardor del petto mio
a par di cui pò dirsi ogni altro un ghiaccio.

L'esca del foco in cui lieta mi sfaccio
è la tua gran bontà, sì cara a Dio,
i tuoi dolci costumi, e 'l grato e pio
cor ch'a me scopri, onde a me stessa io piaccio.

Ma chi spiegar poria l'immenso affetto
ch'in me rinchiudo? E quanta amando io senta
del tuo amor verso me gloria e diletto?

E se tua fiamma or de la mia più lenta
quella agguagliasse ch'arde entro 'l mio petto,
o me più ch'altra a pien ricca e contenta!

200

[A Domenico Venier]

Con presto piè verso 'l mio fin me n' gia
per grave morbo; e fuor d'ogni uso umano
di mirabil virtù nascosta mano
frenò 'l mio corso e 'l volse a miglior via.

Ma nacque il don de la salute mia,
Venier, da l'amor tuo raro e sovrano,
sì ardente del mio ben che render vano
pò l'odio in me d'aspra fortuna e ria.

E 'n favor de la tua più degna vita
cui stringe con la mia nodo sì forte,
a me concesse il ciel benigna aita.

Ma più felice ancor per te mia sorte:
me spento, fia con la tua gloria unita
e di man tolta a la seconda morte.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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