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Rime di Celio Magno (151-165)

Post n°1056 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

151

Manda all'illustrissimo signor Ascanio Pignatello il proprio ritratto

Ecco l'effigie d'un che sovra quante
alme fur mai di tua virtute accese,
T'onora e pregia, e dal tu' amor cortese
gradito anch'ei se n' va felice amante.
Ché se 'l camino a le bramose piante
d'inchinarti presente il ciel contese,
ben deggio quel ch'è tuo farti palese
con questo almen di me pinto sembiante.
Quinci averrà che 'l tuo pensier più spesso,
desto dal guardo, a mio favor si giri,
e teco io viva ognor lungi e da presso.
Pasci ancor tu, benigno, i miei desiri
de la tua imago; onde a quest'occhi espresso,
come al cor, t'abbia, e 'l ver nel finto ammiri.

152

Al signor Berardino Rota

Rota, se del tuo ricco e bel lavoro
che tessi in rime a le future genti
vo contemplando i vari alti ornamenti,
vinto, il guardo e 'l desio riman tra loro.
Tal quando il ciel ne scopre il bel tesoro
de le notturne sue gemme lucenti,
vien ch'altri indarno annoverarle tenti,
come l'arene ancor del lito moro.
Oh di che saldi e gloriosi marmi
sepolcro innalzi al tuo bel foco antico!
Di che chiari trofei morte disarmi!
Come ovunque t'invita Apollo amico
sforzando alletti al suon de' dolci carmi
ogni cor fero e di virtù nemico.

153

All'illustrissimo signor Marco Veniero.

Come in tela talora angusta e breve
de la terra i gran spazi e del mar gli ampi
seni e del ciel gl'immensi, adorni campi
vaga pittura in sé mostra e riceve;
così nel picciol don, benché non leve
s'al pregio io guardo, al mio pensier tu stampi
di tue chiare virtù ben mille lampi,
ch'ognun per guide al ciel prender si deve.
Tu d'alto e nobil cor, tu saggio e pio,
tu de la patria tua sovrano lume
e famoso di Febo eletto figlio.
Ma 'l sol de' merti tuoi m'abbaglia il ciglio,
e s'io tento appressar, m'arde le piume,
vinti gli occhi, il poter, l'opra e 'l desio.

154

All'illustrissimo signor Bernardo Navagero

Saggio signor: per quell'antico e degno
laccio onde tua virtute il cor mi strinse;
per quel famoso allor che 'l crin ti cinse
come a nobil di Febo amato pegno;
Per quell'ardor ch'a glorioso segno
sempre l'opre e pensier tua mente spinse,
e che sì vivo essempio in te dipinse
d'alta bontà congiunta ad alto ingegno;
per l'alma patria tua, ch'in onorarti
de' maggior premi suoi se stessa onora,
sendo del merto men quanto può darti:
deh fa che 'l frutto i' colga anzi ch'io mora
de' tanti miei per lei sudori sparti,
ch'in tua benigna e giusta man dimora.

155

Al clarissimo signor Domenico Veniero [1]

Qual di Meandro a le fiorite sponde
canoro cigno in sì soavi accenti
l'aria intorno innamora e queta i venti
e ritien di dolcezza il corso a l'onde?
Qual rosignuol tra le riposte fronde
così dolce raddoppia i suoi lamenti
che là non perda ove ne' cori intenti
alto diletto il cantar vostro infonde?
Chi del più rio martir ch'Amor n'apporte
cerca riposo e medicina nova
note v'oda formar sì dolci e scorte,
e chi Cerbero mosso e Pluto al canto
d'Orfeo non crede, a farne intera prova
fermi del vostro al suon l'orecchie alquanto.

156

[2]

Qual da nobil radice arida e priva
di succo in vista, uscir per vetro fuore
suol a forza di foco almo licore
ch'infermo sana e 'l vigor morto avviva,
tal, mentre il caso rio per voi s'udiva
di chi tanto v'offese, a voi dal core
stillò per gli occhi un lagrimoso umore
tratto fuor da pietate ardente e viva.
O d'eroica virtute essempio espresso
di sue vendette a Dio far largo dono
e con lagrime pie sanar se stesso!
Ben vinte in voi tutt'altre glorie sono:
ch'a sovr'uman valor solo è concesso
dar per odio pietà non che perdono.

157

Al clarissimo signor Piero Gradenico

Nel novo seggio in cui Giustizia posto
a guardia v'ha de le sue leggi sante,
vi mostrate ver lei sì caldo amante
che null'altro è per fede a voi preposto.
Stassi il rigor con la pietà composto,
piange mesta la fraude a voi davante,
né soave parlar torvi è bastante
con sua fint'arte dal camin proposto.
Tal suole accorto augel, bench'altri il chiami
ed alletti col suon de' falsi accenti,
non torcer punto agl'invescati rami;
né per qualunque via prender vi tenti
affetto lusinghier con suoi dolci ami,
son meno al dritto i pensier vostri intenti.

158

Al clarissimo signor Orsatto Giustiniano

Quando riporterà benigno il sole
l'anima, Orsatto, a me col tuo ritorno?
la qual, bench'abbia in te dolce soggiorno,
ch'anch'io teco non sia si lagna e dole;
né men la tua, che meco albergar suole,
langue al tardar di sì bramato giorno:
e tu, d'amor con doppia ingiuria e scorno,
sua pace ad ambe col tuo indugio invole.
Tu non vivi, io non vivo; ambo siam lungi
da noi medesmi in questo amaro stato;
ahi, che tropp'alto ben da noi disgiungi!
Dunque rendendo a me l'aspetto amato
l'alme dolenti ai corpi lor congiungi:
e l'un de l'altro fa lieto e beato.

159

Al clarissimo signor Vettor Marino

Fra i tanti lumi del tuo raro ingegno,
quasi in adorno ciel più chiare stelle,
due splendon arti in te, sì vive e belle
che vincon di natura ogn'alto segno.
D'ambe la forza è di virtù sostegno,
e i nomi altrui di mano al tempo svelle;
l'una d'Omero onor, l'altra d'Apelle,
ambe primo di Febo amato pegno.
Questa pingendo parla, e morta spira,
quella parlando pinge, e i morti avviva;
stupido l'una e l'altra il mondo ammira.
Così doppio al tuo crin lauro s'aggira,
e poiché 'l pregio lor da te deriva,
te formi ogni pennel, suoni ogni lira.

160

A messer Domenico Tentoretto

Mentre ne' tuoi color sì propria miro,
Domenico, di me l'imagin pinta,
dubbio me n' vo se la natura è vinta
da l'arte, o pur s'in doppia vita io spiro.
Anzi, se d'ambe al pregio il pensier giro,
la vera effigie mia cede a la finta:
ché l'una in me sarà da morte estinta,
ov'io per l'altra a vincer morte aspiro.
Specchio dunque chiamar del tuo valore
ben mi poss'io fra l'opre tue più belle,
onde acquisti al pennello il primo onore;
e con tal grido già t'alzi a le stelle,
che nulla invidio, o mio nobil pittore,
ad Alessandro il suo famoso Apelle.

161

[A Francesco Bembo]

Da te pari al gran merto ornarsi miro,
signor, non già da me, l'effigie pinta;
Ond'io per te, per lei la morte vinta,
in tua carta e 'n sua tela eterno spiro.
Che s'al tuo lauro e agli altri il guardo giro,
vera è la fronde tua, l'altrui par finta;
e t'innalza virtù, l'invidia estinta,
là dov'io col pensiero a pena aspiro.
Ceda adunque il mio Apelle al tuo valore,
benché vincan le sue l'opre più belle;
e ceda anco Alessandro a me d'onore:
ché scarse al suo desio negar le stelle
nobil poeta, e dier nobil pittore;
a me dan novo Omero e novo Apelle.

162

Alla signora donna Giovanna Colonna d'Aragona Nel Tempio del Ruscelli

Quel lume che del vostro alto valore
splende, donna reale, in ogni parte,
E con le chiare sue faville sparte
accende il mondo a farvi a prova onore,
di sì caldo desio m'infiamma il core
che, s'a lui pari avessi ingegno ed arte,
o quale in queste a uoi sacrate carte
segno darei del mio vivace ardore!
Pur l'ardita mia voglia avrò per duce
a ritrar appo l'altre al tempio appese
questa oscura di voi frale memoria;
voi, come sol magnanimo e cortese,
sostenete, che prenda e vita e luce
dai raggi eterni de la vostra gloria.

163

[In morte di Irene di Spilimbergo. 1]

Vaghe stelle, del cielo occhi lucenti,
onde quasi il dì spento or si ravviva,
deh, se colei che di splendor vi priva
parta dal suo Titon con passi lenti,
mentre fra mille cor, che lei dolenti
seguian, partendo Irene al ciel saliva,
dite quanto al passar la casta diva
pregio le diè d'oneste voglie ardenti.
Quali poi vi sembrar Pallade e quella
che nel mar nacque, a le lor grazie conte,
ambedue poste a paragon con ella;
come al bel coro del Castalio fonte
Giove l'aggiunse poi nova sorella,
come Febo d'allor le ornò la fronte.

164

[2]

La bella man, che mille cor gentili
sì dolcemente in nobil laccio avinse,
e di sì bei lavor tela distrinse
ch'a suoi fur già d'Aracne i pregi umìli;
l'industre man, chi volti al ver simìli
con stupor di natura e d'arte pinse;
ch'al suon poi volta, ogni aspro cor constrinse
tener tutt'altre gioie indegne e vili;
la dotta man, con cui la bella Irene
tessea ghirlanda a sé di verde alloro:
morta or si sta con ogni nostra spene.
Ma quant'altro negli occhi e ne' crin d'oro
e 'n quel bel corpo il mondo a perder viene
di virtute e d'amor ricco tesoro?

165

[3]

Di nobil pianta che da verde riva
domina e rende il Tagliamento adorno,
sì bella verga uscia che d'ogn'intorno
l'acqua, la terra e 'l ciel di lei gioiva.
Tra le sue vaghi frondi Amor copriva
i più bei lacci; e mentre ardeva il giorno,
facendo a l'ombra sua dolce soggiorno,
con le Muse cantar Cinzia s'udiva.
Troncolla in sul fiorir con falce avara
morte pur troppo, ohimè, cruda e rubella:
ond'ogni cor ne pianse in doglia amara.
Ben ne fe' poi ghirlanda amata e cara
Febo; e mesto la pose ov'or con quella
de l'antica Ariadna il ciel rischiara.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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