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Rime di Celio Magno (126-136)

Post n°1046 pubblicato il 13 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

126

Alma, che scendi in noi pura, immortale,
primo pregio del mondo e meraviglia;
luce, il cui raggio al sommo sol simiglia
e di quest'altro a la beltà prevale;

tu, c'hai ministri in questo viver frale
angioli ch'a tua guardia apron le ciglia;
alta cura di Dio, sua dolce figlia,
per cui salvar vestio spoglia mortale;

dunque sì tralignar non ti vergogni
da tanta stirpe e tuo splendor natio?
E stai vilmente in tanti error sepolta?

Deh sorgi omai lasciando l'ombre e i sogni,
ché morte hai presso; e mostra al ciel rivolta
che ti formar le proprie man di Dio.

127

Divino sol di rai pietosi adorno,
fa le tenebre mia chiare e lucenti;
né 'l chiamo mai ne' miei divoti accenti,
che risplender nol veggia a me d'intorno.

Spesso m'adduce a mezza notte il giorno,
rendendo a pieno i miei desir contenti;
spesso nel verno de' miei spiriti algenti
fiorir fa primavera al suo ritorno.

Quanto più chiaro agli occhi miei risplende,
tanto meno gli abbarbaglia; e la sua luce
asconde al sonno sol che l'alma prende.

Anzi allor m'ascond'io; ch'ei sempre luce,
sempre mi desta al ciel dove m'attende;
e se nasce in me frutto, egli il produce.

128

Quest'alma, o re del ciel, questa tua pianta
datami a coltivar nel mio terreno,
ahi, che già 'l suo vigor perde e vien meno,
priva del sol de la tua grazia santa.

Fra nubi atre d'error se stessa ammanta,
sì che raro apre gli occhi al tuo sereno;
e ingrata accoglie il tuo nemico in seno,
ch'i rami e i fior d'ogni bell'opra schianta.

Me n' pento or lasso; e prego umil ti prenda
pietà di lei, che pur tuo germe nacque,
de' suoi falli sgombrando il nembo e 'l gelo.

Ch'io notte e dì l'irrigherò con l'acque
del pianto mio, perch'a te frutto renda
e teco viva poi translata in cielo.

129

S'or lieto più che mai, vago augelletto,
con soave armonia d'ogni usa fora
meco ti desti a salutar l'aurora
che sorge anch'ella in sì ridente aspetto,

ben n'hai cagion: ch'in questo giorno eletto
colui ch'al sole i raggi alluma e indora,
nascendo venne a far tra noi dimora,
cangiato il ciel con vil, povero tetto.

Ma qual anch'io darò di gaudio segno
se l'alto mio dever col tuo misuro,
e 'l caldo affetto onde 'l mio core è pregno?

Nacque sol per pietà del mio già duro
stato; e fe' col morir su l'aspro legno
d'eterna vita il mio sperar securo.

130

Tuonaro i poli, aprissi il cielo e fuore
tra luminosi lampi angel n'uscìo,
che prima lieto nunzio il mondo udio
portar la pace da l'eterno amore.

Fendendo l'aria in giù per lungo errore
scese ove nato il pargoletto Dio
tra la Vergine santa e 'l vecchio pio
cinto giacea di novo, alto splendore.

Baciagli umile i piedi, e 'n mortal velo
riconosce il divin verbo verace,
e 'n lui comprende incomprensibil zelo.

Poi, sé stimando in più mirarlo audace,
alto levossi, e intorno per lo cielo
se n' gio gridando: — Pace, pace, pace! —

131

Vil verme io son per me, vil bocca indegna
di baciar il terren, non che 'l tesoro
di questo legno in cui te, Cristo, adoro,
dolce a me di tua morte, amara insegna.

Dolce: ché di sperar fai l'alma degna
eterno seggio infra 'l tuo santo coro;
amara: ché 'l martir lamento e ploro
che per mia colpa in queste piaghe regna.

Ma qual mi sia, Signor, tu mi creasti
a tua sembianza; e 'n corpo uman scendendo
la mia bassezza a la tua gloria alzasti.

Ben infinito il mio fallir comprendo,
ma nulla al sangue che per me versasti,
e figlio fral pietoso padre offrendo.

132

Quel, che di stelle il ciel, di pesci l'acque,
l'aria d'augei, di fior la terra, empio,
Fattor del tutto, uom vero e vero Dio,
sol per noi morto, in questa tomba giacque.

Aver qui fine a l'Infinito piacque
per infinito error, ch'in sé punio;
troppo aspro a sua bontà, troppo a noi pio;
e quinci sol per noi sorto rinacque.

Che non pur fe' lo spirto in noi beato,
ma, seco unita, ancor l'umana salma
alzò da morte ad immortale stato.

Qui, dopo giusta croce, o miser'alma,
te non men chiudi; e, spento il tuo peccato,
risorger spera a gloriosa palma.

133

A questa tua, Signor, sacrata mensa
d'ogni merto io digiun con umil mente
vengo per ristorar mia fame ardente
del pan celeste che 'l tuo amor dispensa.

Dove s'al fallir suo l'anima pensa,
si sfida in tutto e sol morte ha presente;
ma tosto avviva sue speranze spente
rivolta al sol di tua pietate immensa.

Dunque assicura il cor; felice fammi
d'aver te stesso in cibo; entra cortese,
o re del ciel, nel mio povero tetto.

Degna sempre albergarvi, e in grazia dammi
che quel ch'io miro or qui velato aspetto,
dopo 'l mio fine in ciel veggia palese.

134

Ramo infelice er'io che dal nativo
tronco, per cruda man, langue reciso,
mentre m'avean, Signor, da te diviso
mie gravi colpe, e di tua grazia privo.

Or che pentito un lagrimoso rivo
spargo umile a' tuoi piè chinando il viso,
son a te ricongiunto; e in paradiso
volto 'l mio inferno, in te rinasco e vivo.

Amor sovra ogni amor benigno e pio;
poter che tutto può; bontà infinita,
Dio ne l'uom trasformarsi e l'uomo in Dio.

Ma perch'io duri tal, tu stesso aita,
Signor, mi presta; e sia tosto il fin mio:
ch'un'ora toglie spesso eterna vita.

135

Mentr'io m'ergo a seguir con pura fede
l'orme del mio Signor, ch'a sé m'invita,
tu, pia madre di lui, porgimi aita
e rinfranca al camin l'infermo piede.

Fa che sia la mia voce, allor che chiede
grazia al tuo figlio, per tua bocca udita:
che preghiera mortal via più gradita
per te se n' passa ad impetrar mercede.

Per te discese in terra il re del cielo
nostre macchie a lavar col proprio sangue;
e per te dritto è ben ch'altri a lui saglia.

Speri certa salute alma che langue
sotto il favor del tuo pietoso zelo:
ch'altro merto non è ch'in Dio più vaglia.

136

Morte questa non è che 'l corpo frale
rende a natura e di miseria scioglie;
morte è quell'altra sol, ch'a l'alma toglie
goder di vita in ciel vera, immortale.

Ahi, che di questa breve aura vitale
sol di pianto e dolor frutto si coglie,
e dietro a prave e temerarie voglie
lungi dal proprio ben si spiegan l'ale.

Ma qual tien Dio per guida alma gradita,
sicura d'ogni mal che 'l mondo apporte
qui vive, e poi beata in ciel salita.

O cieca dunque e lagrimabil sorte
di chi gioir potendo in doppia vita
elegge anzi perir di doppia morte.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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