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Osservazioni sulla tortura 10-12

Post n°1039 pubblicato il 12 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 (Prima edizione 1804)
di Pietro Verri

X
Se le leggi e la pratica criminale risguardino la tortura come un mezzo per avere la verità

Ho stabilito di provare in secondo luogo che le leggi e la pratica istessa de' criminalisti non considerano la tortura come un mezzo per distinguere la verità. Ciò si conosce facilmente osservando, che non trovasi prescritto alcun metodo o regolamento nel Codice Teodosiano, e nessuno parimenti nel Codice Giustinianeo per applicare ai tormenti i sospetti rei. In que' sterminati ammassi di leggi e prescrizioni, ove si sminuzzano le minime differenze de' casi e civili e criminali, niente si prescrive per la tortura. Se la legge adunque avesse risguardati questi tormenti come un mezzo per iscoprire la verità, non se ne sarebbe fatta una omissione in ambo i Codici del modo, de' casi, e delle riserve, colle quali si dovesse adoperare. Concludo adunque dal silenzio stesso del corpo delle leggi, che la legge non considera la tortura come un mezzo per rintracciare la verità. Se poi il solo argomento negativo non sembrasse bastante a dimostrar questa verità, veggasi la legge I § 25 ff. de quaestionibus, ove ben lontano lo spirito delle leggi romane dal riguardare la tortura come un mezzo da rinvenire la verità, anzi vi si legge: «La tortura è un mezzo assai incerto e pericoloso per ricercare la verità, poiché molti colla robustezza e la pazienza superano il torrnento e in nessun modo parlano; altri insofferenti mentiscono mille volte, anzi che resistere al dolore». Quaestio res est fragilis et periculosa, et quae ventatem fallat. Nam plerique patientia, sive duritia tormentorum illa tormenta contemnunt, ut exprimi eis veritas nullo modo possit; alii tanta sunt impatientia, ut quodvis mentiri, quam pati tormento velint. Così si esprime positivamente il Digesto, e tale era l'opinione de' Romani nostri legislatori e maestri, i quali conoscevano l'uso della tortura sopra gli schiavi, siccome vedremo poi. Dunque la legge non risguarda la tortura come un mezzo per la scoperta della verità.
Io però ho asserito di più che non solamente la legge, ma nemmeno la pratica criminale considera la tortura per un mezzo d'avere la verità. Pare questo un paradosso, eppure io credo di poterlo evidentemente dimostrare.
Primieramente, se i dottori risguardassero la tortura con un mezzo per iscoprire la verità nei delitti, non escluderebbe se medesimi dall'essere torturati, poiché è tale l'interesse dell'umana società che i delitti si scoprano, che nessuno può essere sottratto dai mezzi di scoprirli; in quella guisa che nessuno sottratto de' dottori dalla pena di morte, esiglio ecc., ogni qualvolta co' suoi delitti l'abbia meritata. Io perdonerò se ciascun cerchi di rialzare il proprio mestiero, e non mi farà maraviglia che il Wesembeccio dica che i dottori sono per dignità eguali ai nobili e decurioni, e per meriti eguali ai militari: Doctores nobilibus et decurionibus dignitate, militibus autem meritis aequiparantur; ma non sarebbe perdonabile alcuno, che osasse dare alla propria facoltà una impunità nei delitti. Se adunque i nobili e i dottori sono privilegiati per la tortura, segno è che non viene essa dai criminalisti considerata come un mezzo per avere 1a verità.
Secondariamente, se i dottori considerassero la tortura come un mezzo per avere la verità, prescriverebbero di attenervisi e considerare per certo quello che un tormentato dice fra i tormenti. La pratica però ordina che ciò non sia attendibile, se l'uomo qualche tempo dopo e in luogo lontano da ogni apparecchio di tortura non ratifica l'accusa fatta a se medesimo, acciocché non rimanga sospetto che la violenza dello spasimo abbia indotto il torturato ad accusarsi indebitamente. Dunque la pratica stessa criminale non risguarda lo strazio della tortura come un mezzo per avere la verità. Questa pratica si è veduta eseguita anche sugli infelicissimi Piazza e Mora, ed è poi una contraddizione veramente barbara quella di rinnovare la tortura all'uomo che revochi l'accusa fattasi nei tormenti. Alcuni dottori trovano giusta una tale alternativa indefinitivamente, per quante volte il torturato disdice l'accusa datasi; cosicchè o deve alla fine morire di spasimo ripetuto, ovvero perseverare anche fuori del tormento ad accusare se stesso. Altri dottori limitano questa altemativa a tre torture, come il Claro. Se dunque la stessa pratica criminale insegna di non credere a quanto un torturato dice in propria accusa fra i tormenti della tortura, ma esige che l'accusa la ratifichi con tranquillità e libero dallo spasimo, forza è concludere ad evidenza, che la stessa pratica criminale non considera la tortura come un mezzo da conoscere la verità.

XI
Se la tortura sia un mezzo lecito per iscoprire la verità

Mi rimane finalmente da provare, che quand'anche la tortura fosse un mezzo per iscoprire la verità dei delitti, sarebbe un mezzo intrinsecamente ingiusto. Credo assai facile il dimostrarlo. Comincierò col dire che le parole di «sospetti, indizj, semi-prove, semi-plene, quasi-prove ecc.», e simili barbare distinzioni e sottigliezze, non possono giammai mutare la natura delle cose. Possono elleno bensì spargere delle tenebre ed offuscare le menti incaute; ma debbesi sempre ridurne la questione a questo punto, il delitto è certo, ovvero solamente probabile. Se è certo il delitto, i tormenti sono inutili, e la tortura è superfluamente data, quando anche fosse un mezzo per rintracciare la verità, giacché presso di noi un reo si condanna, benché negativo. La tortura dunque in questo caso sarebbe ingiusta, perché non è giusta cosa il fare un male, e un male gravissimo ad un uomo superfluamente. Se il delitto poi è solamente probabile, qualunque sia il vocabolo col quale i dottori distinguano il grado di probabilità difficile assai a misuararsi, egli è evidente che sarà possibile che il probabilmente reo in fatti sia innocente; allora è somma ingiustizia l'esporre un sicuro scempio e ad un crudelissimo tormento un uomo, che forse è innocente; e il porre un uomo innocente fra que' strazj e miserie tanto è più ingiusto quanto che fassi colla forza pubblica istessa confidata ai giudici per difendere l'innocente dagli oltraggi. La forza di quest'antichissimo ragionamento hanno cercato i partigiani della tortura di eluderla con varie cavillose distinzioni le quali tutte si riducono a un sofisma, poiché fra l'essere e il non essere non vi è punto di mezzo, e laddove il delitto cessa di essere certo, ivi precisamente comincia la possibilità della innocenza. Adunque l'uso della tortura è intrinsecamente ingiusto, e non potrebbe adoprarsi, quand'anche fosse egli un mezzo per rinvenire Ia verità.
Che si è detto mai delle leggi della Inquisizione, le quali permettevano che il padre potesse servire di accusatore contro il figlio, il marito contro la moglie! L'umanità fremeva a tali oggetti, la natura riclamava i suoi sacri diritti; persone tanto vicine per i più augusti vincoli, distruggersi vicendevolmente! La legge civile abborrisce siffatti accusatori, e gli esclude. Mi sia ora lecito il chiedere se un uomo sia meno strettamente legato con se medesimo, di quello che lo è col padre e colla moglie. Se è cosa ingiusta che un fratello accusi criminalmente l'altro, a più forte ragione sarà cosa ingiusta e contraria alla voce della natura che un uomo diventi accusatore di se stesso, e le due persone dell'accusatore e dell'accusato si confondano. La natura ha inserito nel cuore di ciascuno la legge primitiva della difesa di sé medesimo: e l'offendere se stesso, e l'accusare se stesso criminalmente egli è un eroismo, se è fatto spontanearnente in alcuni casi, ovvero una tirannia ingiustissima se per forza di spasimi si voglia costringervi un uomo.
L'evidenza di queste ragioni anche più si conoscerà riflettendo, che iniquissima e obbrobriosissima sarebbe la legge, che ordinasse agli avvocati criminali di tradire i loro clienti. Nessun tiranno, che io ne sappia, ne pubblicò mai una simile; una tal legge romperebbe con vera infamia tutti i più sacri vincoli di natura. Ciò posto chiederemo noi se l'avvocato sia piú intimamente unito al cliente, di quello che lo è il cliente con se medesimo? Ora la tortura tende co' spasimi a ridurre l'uomo a tradirsi, a rinunziare alla difesa propria, ad offendere, a perdere se stesso. Questo solo basta per far sentire, senza altre riflessioni, che la tortura è intrinsecamente un mezzo ingiusto per cercare la verità, e che non sarebbe lecito usarlo quand'anche per lui si trovasse la verità.
Ma come mai una pratica tanto atroce e crudele, tanto inutile, tanto ingiusta, ha mai potuto prevalere anche fra popoli colti e mantenersi sino al giorno d'oggi? Brevemente accennerò quali sieno stati gli usi anticamente, come siasi introdotta, su quai principj fondata, da quai leggi diretta; poi qualche cosa dirò delle opinioni di varj autori e degli usi attuali di alcune nazioni d'Europa con che crederò di aver posto fine a queste Osservazioni con un esame generale dei diversi punti di vista, sotto i quali può ragionevolmente riguardarsi un così tristo e così interessante oggetto.

XII
Uso delle antiche nazioni sulla tortura

L'invenzione della tortura, se crediamo a Remus e a Gian-Lodovico Vives, dovrebbe attribuirsi all'ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo, a Masenzio ed a Falaride; convien lodare il criminalista Remus, poiché almeno giudiziosamente ha trascelti tre notissimi tiranni per far cadere sopra tre tiranni l'obbrobrio di così inumana invenzione. Sappiamo però che al tempo de' tiranni Falaride, Nearco e Gerolamo furono posti alla tortura i più rispettabili filosofi de' loro tempi, Zenone Eleate e Teodoro; e il filosofo Anassarco fu crudelmente torturato per ordine del tiranno Nicocreonte.
L'origine di una così feroce invenzione oltrepassa i confini della erudizione, e verosimilmente potrà essere tanto antica la tortura, quanto è antico il sentimento nell'uomo di signoreggiare dispoticamente un altro uomo, quanto è antico il caso che la potenza non sia sempre accompagnata dai lumi e dalla virtù, e quanto è antico l'istinto nell'uomo armato di forza prepotente di stendere le sue azioni a misura piuttosto della facoltà che della ragione. Io prescindo dal risguardare la legislazione dei libri sacri, come la legge dettata dall'autore stesso della natura a una nazione di cuor duro; e considerando unicamente quel monumento come il più antico testimonio che sia a nostra notizia de' costumi de' secoli remoti, osservo che nel sacro testo nessuna menzione vi si fa della tortura; che anzi nel prescrivere le pratiche da usarsi co' rei si vuole la strada della convinzione co' testimonj, né si esige la confessione del reo. Veggasi il Deuteronomio al Cap. XIX num. 10. «Non si sparga il sangue innocente su questa terra, che Dio ti darà da abitare, acciocché tu non sia reo di sangue». Ed al num. 16 viene ordinato il modo onde provare i delitti, cioè coi testimonj, e si prescrive che «un solo testimonio non valga, qualunque sia il delitto, di cui si tratti, ma che due o tre testimonj facciano la prova completa». E un calunniatore «dovrà comparire coll'accusato in faccia a Dio e de' sacerdoti e giudici, i quali diligentissimamente scandaglieranno entrambi, e trovata la calunnia la puniranno della stessa pena che era dovuta al delitto falsamente imputato». Tale fu la legislazione criminale del popolo ebreo, dove il delitto si provò co' testimonj, e la contraddizione fra l'accusatore e il reo con una diligentissima ricerca dei giudici, non mai cogli spasimi della tortura. Che mai potranno dire i fautori della tortura, che la credono necessaria al buon governo del popolo? Il sommo legislatore avrebbe egli tralasciato un oggetto di buon governo per il suo popolo eletto? Saranno gli uomini sotto la legge di grazia da trattarsi più duramente che sotto la legge scritta? Sono forse i popoli di questi secoli più induriti e bisognosi di giogo di quello che lo erano gli Ebrei? Troviamo noi Cristiani nel Vangelo qualche seme, onde incrudelire co' nostri fratelli? Il solo giudizio che Cristo pronunciò durante il corso della sua vita fu per assolvere la donna che si voleva lapidare; e i Cristiani che sono imitatori, o debbon esserlo, della vita paziente, benefica, umana, compassionevole del Redentore, scrivono i trattati per tormentare colle più atroci e raffinate invenzioni i loro fratelli? La contraddizione è troppo evidente. Ritorniamo all'antichità.
Presso de' Greci egualmente che presso de' Romani fu sconosciuto l'uso della tortura per gli uomini. Non parlo degli schiavi, i quali nel loro sistema non si consideravano come persone, ma superficialmente come cose: in guisa che si vendevano, si uccidevano, si mutilavano colla padronanza e libertà medesima, colla quale si fa di un giumento, senza che le leggi limitassero la padronanza sopra di essi. La tortura si dava ai servi, ossia schiavi, ma non ai cittadini e agli uomini. Se fosse male o ben fatto il degradare una porzione dell'umanità al segno de' giumenti, io non ardirei di deciderlo. Quelle due nazioni sono state le nostre maestre, la loro grandezza tutt'ora ci fa maraviglia, noi non siamo giunti a pareggiare la loro coltura; e da un canto solo d'inconveniente mal si giudicherebbe del tutto insieme e della connessione necessaria che un disordine parziale talvolta tiene colla perfezione generale del sistema. So che quando in uno stato si voglia tenere una classe d'uomini annientata sotto l'arbitrario potere della nazione, ogni cosa che avvilisca e degradi quella classe sarà conforme al fine politico. Mi trovo al punto medesimo, sul quale fu l'immortale presidente di Montesquieu, e non saprei dir meglio che servendomi delle di lui parole: Tant d'habiles gens, et tant de beaux génies ont écrit contre l'usage de la torture, que je n'ose parler après eux. J'allais dire qu'elle pourrait convenir dans le gouvernements despotiques, où tout ce qui inspire la crainte entre dans les ressorts du gouvernement; j'allais dire que les esclaves chez les Grecs et chez les Romains... mais j'entend la voix de la nature qui crie contre moi [Tante persone illustri, e tanti nobili ingegni hanno scritto contro l'uso della tortura che, dopo di loro io non oso parlare. Stavo per dire che essa potrebbe convenire ne governi dispotici, presso i quali tutto ciò che ispira la paura entra nel meccanismo governativo; stavo per dire che gli schiavi presso i Greci e presso i Romani... ma sento la voce stessa della natura che grida contro di me]. Che i Greci non usassero tormenti contro i cittadini si scorge in Lisia Orat. in Argorat., e Curio Forturato Retore Schol. lib. 2, e per i cittadini Romani dalla stessa legge 3 e 4 ad Legem Juliam majestatis. Dopo che la libertà di Roma fu soggiogata e piantata la tirannia, veggonsi esentate dalla tortura le persone di nascita, dignità o servigi militari. Durante però la repubblica, unicamente i servi erano sottoposti a questo strazio, non mai gli uomini figli della patria e aventi una personale esistenza; quindi la L. 27 alla L. Jul. de adult. § 5 dice che liber homo tortus, non ut liber, sed ut servus existimatur [L'uomo libero torturato è considerato non libero ma schiavo]. Veggasi Sallustio in Catilin., che pure attesta che le leggi Romane proibivano il dare la tortura agli uomini liberi. Quindi Cicerone, nella sua orazione Pro Silla, esclama contro l'insolita tirannia minacciata: Quaestiones nobis servorum, et tormenta minitantur [Ci minacciano gli interrogatori e le torture dei servi].

 
 
 
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