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Rime di Celio Magno (76-85)

Post n°1022 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

76

A quelle belle man che m'impiagaro
col proprio arco d'Amor sì forte il petto;
a quelle onde in tal laccio il cor fu stretto
che più che libertà m'è dolce e caro;

queste spoglie onorar non sia discaro,
di sé vestendo il viv'avorio e schietto.
E dove manca il don, paghi l'affetto,
ch'a voi non è de l'alma propria avaro.

Queste odorando voi, per me le rose
bacieran de la bocca, ove natura
odor che spira assai più dolce ascose;

e per me si godran la luce pura
degli occhi, ove il mio sole il ciel ripose.
O di pover don felice usura!

77

Perdon vi chieggio, o mia terrena stella,
et ad ogni supplicio umil mi rendo,
se vostra fe' col mio sospetto offendo
e vi forma il pensier ver me rubella.

Che far poss'io? Voi sovr'ogni altra bella;
più ch'altri io cieco ognor vaneggio ardendo:
e quante Amor insidie ordisca intendo
per riportar di voi palma novella.

So come in donna foco, a cui ristoro
vicina esca non dia, talor si spegna,
e lontananza in Lete il cor le immerga;

ma so non men che d'onor legge insegna
che prodiga bellezza è vil tesoro
e in nobil petto un ardor solo alberga.

78

Lettere amorose abruciate fra via per sospetto di peste.

Primo

Frena l'empio furor, ministro insano
ch'ardi le chiuse carte; anzi le inchina:
ch'elle son, se nol sai, cosa divina,
e scritte in terra da celeste mano.

Temer peste da loro è stolto e vano,
ch'anzi salute il ciel per lor destina;
e fanne prova in me, c'ho già vicina
morte, languendo a la mia dea lontano.

Fortuna rea, ch'al mio digiun sofferto
per sì lungo sperar, con doppia noia
invidi il cibo in su le labbra offerto;

ma 'l restar il mio nome e la mia gioia
arsi e 'n cenere volti, augurio è certo
che vuole in ciel ch'in questo essilio i moia.

79

Secondo

Ahi, ch'innocenti fur le dolci e pie
note dal mio bel sole in carta espresse;
e nel funesto rogo arse con esse
alto tesor de le speranze mie.

Anzi, tra quelle fiamme ingorde e rie
arser allor le mie viscere istesse;
poiché nel duol de l'aspre piaghe impresse
conforto altro non è che 'l ciel m'invie.

Ma tu, se in te di nobil cura è dramma,
fanne vendetta, Amor; che son tue piume
quelle onde scrive e i cor madonna infiamma.

E troppo offende il tuo possente nume
che sacrilega man con empia fiamma
del più bel foco tuo l'esca consume.

80

Terzo

Chiedea mia fé che le bramate carte
desser luce a quest'occhi e vita al core,
e sentisser da me devuto onore
di ben mille miei baci a parte a parte.

Ma s'esser pur dovean distrutte e sparte,
ciò fatto avria de' miei sospir l'ardore,
o de' miseri lumi il largo umore
ch'io verso dal mio ben, lasso, in disparte.

Or che farò? Se del conforto usato
in terra e 'n mar le vie rinchiuse stanno?
Perché più vivo in sì dolente stato?

Deh soccorri tu Amor pietoso al danno:
fatti de la mia dea corriero alato
o m'aita con morte in tanto affanno.

81

Al saettar di duo be' lumi ardenti,
che d'angelo parean dal ciel disceso,
vinto io rimasi; e bench'a morte offeso,
m'eran dolci i sospir, dolci i tormenti.

Ma poi che gli occhi, a più bel segno intenti,
ebber oltre passando il guardo steso
a quel divin ch'entro 'l mortal compreso
è primo ardor de le più nobil menti,

qual sotto vista dilettosa e vaga
di prato ove mal cauto il piè trascorse,
trovai dentro un bel sen brutt'angue ascoso:

che mordendo il mio cor crudo e pietoso
in lui sanò d'amor l'indegna piaga
e con mortal velen vita mi porse.

82

Amante

Ingrato, empio mio cor, che fatto degno
d'arder al sol d'alta beltà verace,
potesti d'altra oscura, ignobil face
foco gradir de la tua fede indegno.

Qual acerba d'Amor pena e disdegno
contra te basta a tanta colpa audace?
Poich'ingiuria a colei per te si face
ch'è sol del viver tuo lume e sostegno?

Dunque, o sia questa mano in te conversa
con giusto ferro, o tu del proprio errore
lagrime amare eternamente versa:

ch'è severo in se stesso un nobil core,
né si purga in amor voglia perversa
se non con morte o con mortal dolore.

83

Cuore

Poiché duol senza fin, lasso, io sostegno
lungi da la mia vera, amata pace,
ceda il biasmo a pietà, s'alcun fallace
rimedio in tanto mal cercar convegno:

ch'ogni soccorso tenta, ogni suo ingegno,
infermo che vicino a morte giace;
né fallir vano a pena aspra soggiace,
né ricco è men de la mia fede il pegno.

Anzi indegna provar fiamma diversa
dal mio bel foco accrebbe il primo ardore,
e mia colpa in sua gloria or si riversa.

Basti dunque ch'io moia a tutte l'ore,
misero essempio di fortuna aversa,
senza spronar ne le mie piaghe Amore.

84

Amante

Bramar la morte, aver la vita a sdegno,
giunger sempr'esca al suo foco penace,
e pascersi di quel ch'amaro spiace:
legge è d'un cor di vera doglia pregno.

Ma s'aver può da lei tregua o ritegno
di rubello desir fatto seguace,
e fuor che 'l suo bel sole altro gli piace,
è di tepida fiamma aperto segno.

Così tu la tua fé candida e tersa
macchiasti; e guasto del tuo pregio il fiore,
hai con la mia la sua gloria dispersa.

E mentre cerchi il mal render minore
con lingua, qual sei tu, di frode aspersa,
il tuo fallo raddoppi, e 'l mio disnore.

85

Cuore

Peccai, stolto; e pentito a mercé vegno,
com'uom ch'al vero cede e vinto tace;
e vergogna e dolor mi punge e sface,
tal ch'a scorno e tormento il viver tegno.

Dunque io contra 'l mio sol ghiaccio divegno?
e me stesso gli furo empio e rapace?
Dunque altrove spirar posso fugace
da quel bel seno, in cui felice i' regno?

Torni pur l'onda al suo fonte riversa
rapido rio, con meno altrui stupore,
poich'in perfidia è la mia fé conversa;

ed io mi strugga in lagrimoso umore
d'acerba doglia: onde, mia colpa astersa,
racquisti almen con bel morir l'onore.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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