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Colonna Infame 04-1

Post n°1008 pubblicato il 09 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Storia della Colonna Infame
di Alessandro Manzoni

IV

L'auditore corse, con la sbirraglia, alla casa del Mora, e lo trovarono in bottega. Ecco un altro reo che non pensava a fuggire, né a nascondersi, benché il suo complice fosse in prigione da quattro giorni. C'era con lui un suo figliuolo; e l'auditore ordinò che fossero arrestati tutt'e due.

Il Verri, spogliando i libri parrocchiali di San Lorenzo, trovò che l'infelice barbiere poteva avere anche tre figlie; una di quattordici anni, una di dodici, una che aveva appena finiti i sei. Ed è bello il vedere un uomo ricco, nobile, celebre, in carica, prendersi questa cura di scavar le memorie d'una famiglia povera, oscura, dimenticata: che dico? infame; e in mezzo a una posterità, erede cieca e tenace della stolta esecrazione degli avi, cercar nuovi oggetti a una compassion generosa e sapiente. Certo, non è cosa ragionevole l'opporre la compassione alla giustizia, la quale deve punire anche quando è costretta a compiangere, e non sarebbe giustizia se volesse condonar le pene de' colpevoli al dolore degl'innocenti. Ma contro la violenza e la frode, la compassione è una ragione anch'essa. E se non fossero state che quelle prime angosce d'una moglie e d'una madre, quella rivelazione d'un così nuovo spavento, e d'un così nuovo cordoglio a bambine che vedevano metter le mani addosso al loro padre, al fratello, legarli, trattarli come scellerati; sarebbe un carico terribile contro coloro, i quali non avevano dalla giustizia il dovere, e nemmeno dalla legge il permesso di venire a ciò.

Ché, anche per procedere alla cattura, ci volevano naturalmente degl'indizi. E qui non c'era né fama, né fuga, né querela d'un offeso, né accusa di persona degna di fede, né deposizion di testimoni; non c'era alcun corpo di delitto; non c'era altro che il detto d'un supposto complice. E perché un detto tale, che non aveva per sé valor di sorte alcuna, potesse dare al giudice la facoltà di procedere, eran necessarie molte condizioni. Più d'una essenziale, avremo occasion di vedere che non fu osservata; e si potrebbe facilmente dimostrarlo di molt'altre. Ma non ce n'è bisogno; perché, quand'anche fossero state adempite tutte a un puntino, c'era in questo caso una circostanza che rendeva l'accusa radicalmente e insanabilmente nulla: l'essere stata fatta in conseguenza d'una promessa d'impunità. «A chi rivela per la speranza dell'impunità, o concessa dalla legge, o promessa dal giudice, non si crede nulla contro i nominati», dice il Farinacci. (54) E il Bossi: «si può opporre al testimonio che quel che ha detto, l'abbia detto per essergli stata promessa l'impunità... mentre un testimonio deve parlar sinceramente, e non per la speranza d'un vantaggio... E questo vale anche ne' casi in cui, per altre ragioni, si può fare eccezione alla regola che esclude il complice dall'attestare... perché colui che attesta per una promessa d'impunità, si chiama corrotto, e non gli si crede». (55) Ed era dottrina non contradetta.

Mentre si preparavano a visitare ogni cosa, il Mora disse all'auditore: Oh V.S. veda! so che è venuta per quell'unguento; V.S. lo veda là; et aponto quel vasettino l'haueuo apparecchiato per darlo al Commissario, ma non è venuto a pigliarlo; io, gratia a Dio, non ho fallato. V.S. veda per tutto; io non ho fallato: può sparagnare di farmi tener legato. Credeva l'infelice, che il suo reato fosse d'aver composto e spacciato quello specifico, senza licenza.

Frugan per tutto; ripassan vasi, vasetti, ampolle, alberelli, barattoli. (I barbieri, a quel tempo, esercitavan la bassa chirurgia; e di lì a fare anche un po' il medico, e un po' lo speziale, non c'era che un passo.) Due cose parvero sospette; e, chiedendo scusa al lettore, siam costretti a parlarne, perché il sospetto manifestato da coloro, nell'atto della visita, fu quello che diede poi al povero sventurato un'indicazione, un mezzo per potersi accusare ne' tormenti. E del resto c'è in tutta questa storia qualcosa di più forte che lo schifo.

In tempo di peste, era naturale che un uomo, il quale doveva trattar con molte persone, e principalmente con ammalati, stesse, per quanto era possibile, segregato dalla famiglia: e il difensor del Padilla fa questa osservazione dove, come vedremo or ora, oppone al processo la mancanza d'un corpo di delitto. La peste medesima poi aveva diminuito in quella desolata popolazione il bisogno della pulizia, ch'era già poco. Si trovaron perciò in una stanzina dietro la bottega, duo vasa stercore humano plena, dice il processo. Un birro se ne maraviglia, e (a tutti era lecito di parlar contro gli untori) fa osservare che di sopra vi è il condotto. Il Mora rispose: io dormo qui da basso, et non vado di sopra.

La seconda cosa fu che in un cortiletto si vide un fornello con dentro murata una caldara di rame, nella quale si è trovato dentro dell'acqua torbida, in fondo della quale si è trovato una materia viscosa gialla et bianca, la quale, gettata al muro, fattone la prova, si attaccava. Il Mora disse: l'è smoglio (ranno): e il processo nota che lo disse con molta insistenza: cosa che fa vedere quanto essi mostrassero di trovarci mistero. Ma come mai s'arrischiarono di far tanto a confidenza con quel veleno così potente e così misterioso? Bisogna dire che il furore soffogasse la paura, che pure era una delle sue cagioni.

Tra le carte poi si trovò una ricetta, che l'auditore diede in mano al Mora, perché spiegasse cos'era. Questo la stracciò, perché, in quella confusione, l'aveva presa per la ricetta dello specifico. I pezzi furon raccolti subito; ma vedremo come questo miserabile accidente fu poi fatto valere contro quell'infelice.

Nell'estratto del processo non si trova quante persone fossero arrestate insieme con lui. Il Ripamonti dice che menaron via tutta la gente di casa e di bottega; giovani, garzoni, moglie, figli, e anche parenti, se ce n'era lì. (56)

Nell'uscir da quella casa, nella quale non doveva più rimetter piede, da quella casa che doveva esser demolita da' fondamenti, e dar luogo a un monumento d'infamia, il Mora disse: io non ho fallato, et se ho fallato, che sij castigato; ma da quello Elettuario in puoi, io non ho fatto altro; però, se hauessi fallato in qualche cosa, ne dimando misericordia.

Fu esaminato il giorno medesimo, e interrogato principalmente sul ranno che gli avevan trovato in casa, e sulle sue relazioni col commissario. Intorno al primo, rispose: signore, io non so niente, et l'hanno fatto far le donne; che ne dimandano conto da loro, che lo diranno; et sapevo tanto io che quel smoglio vi fosse, quanto che mi credessi d'esser oggi condotto prigione.

Intorno al commissario, raccontò del vasetto d'unguento che doveva dargli, e ne specificò gl'ingredienti; altre relazioni con lui, disse di non averne avute, se non che, circa un anno prima, quello era venuto a casa sua, a chiedergli un servizio del suo mestiere. Subito dopo fu esaminato il figliuolo; e fu allora che quel povero ragazzo ripetè la sciocca ciarla del vasetto e della penna, che abbiam riferita da principio. Del resto, l'esame fu inconcludente; e il Verri osserva, in una postilla, che «si doveva interrogare il figlio del barbiere su quel ranno, e vedere da quanto tempo si trovava nella caldaia, come fatto, a che uso; e allora si sarebbe chiarito meglio l'affare. Ma», soggiunge, «temevano di non trovarlo reo». E questa veramente è la chiave di tutto.

Interrogarono però su quel particolare la povera moglie del Mora, la quale alle varie domande rispose che aveva fatto il bucato dieci o dodici giorni avanti; che ogni volta riponeva del ranno per certi usi di chirurgia; che per questo gliene avevan trovato in casa; ma che quello non era stato adoperato, non essendocene stato bisogno.

Si fece esaminare quel ranno da due lavandaie, e da tre medici. Quelle dissero ch'era ranno, ma alterato; questi, che non era ranno; le une e gli altri, perché il fondo appiccicava e faceva le fila. «In una bottega d'un barbiere,» dice il Verri, «dove si saranno lavati de' lini sporchi e dalle piaghe e da' cerotti, qual cosa più naturale che il trovarsi un sedimento viscido, grasso, giallo, dopo varii giorni d'estate?» (57)

Ma in ultimo, da quelle visite non risultava una scoperta; risultava soltanto una contradizione. E il difensore del Padilla ne deduce, con troppo evidente ragione, che «dalla lettura dell'istesso processo offensiuo, non si vede constare del corpo del delitto; requisito e preambolo necessario, acciò si venga a Reato, atto tanto pregiudiciale, e danno irreparabile». E osserva che, tanto più era necessario, in quanto l'effetto che si voleva attribuire a un delitto, il morir tante persone, aveva la sua causa naturale. «Per i quali giuditii incerti», dice, «quanto fosse necessario venire all'esperienza, lo ricercauano le maligne costellationi, et li pronostici de' Matthematici, quali nell'anno 1630 altro non concludevano che peste, e finalmente il veder tante città insigni della Lombardia, et Italia rimanere desolate, et dalla peste distrutte, in quali non si sentirno pensieri, né timori di onto.» Anche l'errore vien qui in aiuto della verità: la quale però non n'aveva bisogno. E fa male il vedere come quest'uomo, dopo aver fatto e questa e altre osservazioni, ugualmente atte a dimostrar chimerico il delitto medesimo, dopo avere attribuito alla forza de' tormenti le deposizioni che accusavano il suo cliente, dica in un luogo queste strane parole: «conuien confessare, che per malignità de' detti nominati, et altri complici, con animo ancor di sualigiare le case, et far guadagni, come il detto Barbiere, al fol. 104, disse, si mouessero a tanto delitto contro la propria Patria.»

Nella lettera d'informazione al governatore, il capitano di giustizia parla di questa circostanza così: «Il barbiero è preso, in casa di cui si sono trovate alcune misture, per giudicio de periti, molto sospette.» Sospette! È una parola con cui il giudice comincia, ma con cui non finisce, se non suo malgrado, e dopo aver tentati tutti i mezzi per arrivare alla certezza. E se ognuno non sapesse, o non indovinasse quelli ch'erano in uso anche allora, e che si sarebbero potuti adoprare, quando si fosse veramente pensato a chiarirsi sulla qualità velenosa di quella porcheria, l'uomo che presiedeva al processo ce l'avrebbe fatto sapere. In quell'altra lettera rammentata poco sopra, con la quale il tribunale della Sanità aveva informato il governatore di quel grande imbrattamento del 18 di maggio, si parlava pure d'un esperimento fatto sopra de' cani, «per accertarsi se tali ontuosità erano pestilentiali o no». Ma allora non avevan nelle mani nessun uomo sul quale potessero fare l'esperimento della tortura, e contro il quale le turbe gridassero: tolle!

Prima però di mettere alle strette il Mora, vollero aver dal commissario più chiare e precise notizie; e il lettore dirà che ce n'era bisogno. Lo fecero dunque venire, e gli domandarono se ciò che aveva deposto era vero, e se non si rammentava d'altro. Confermò il primo detto, ma non trovò nulla da aggiungerci.

Allora gli dissero che ha molto dell'inuerisimile che tra lui et detto barbiero non sia passata altra negotiatione di quella che ha deposto, trattandosi di negotio tanto grave, il quale non si commette a persone per eseguirlo, se non con grande et confidente negotiatione, et non alla fugita, come lui depone.

L'osservazione era giusta, ma veniva tardi. Perché non farla alla prima, quando il Piazza depose la cosa in que' termini? Perché una cosa tale chiamarla verità? Che avessero il senso del verisimile così ottuso, così lento, da volerci un giorno intero per accorgersi che lì non c'era? Essi? Tutt'altro. L'avevan delicatissimo, anzi troppo delicato. Non eran que' medesimi che avevan trovato, e immediatamente, cose inverisimili che il Piazza non avesse sentito parlare dell'imbrattamento di via della Vetra, e non sapesse il nome de' deputati d'una parrocchia? E perché in un caso così sofistici, in un altro così correnti?

Il perché lo sapevan loro, e Chi sa tutto; quello che possiamo vedere anche noi è che trovaron l'inverisimiglianza, quando poteva essere un pretesto alla tortura del Piazza; non la trovarono quando sarebbe stata un ostacolo troppo manifesto alla cattura del Mora.

(segue)

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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