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Rime di Celio Magno (26-28)

Post n°991 pubblicato il 06 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

26

Vinezia prepara a guerra cento galere in soli otto giorni; e processioni, cessato il bisogno

Vidi questa del mar reina altera
portar di ferro il petto e 'l fianco adorno,
et ad un cenno a' liti errar d'intorno
copia d'armati legni invitta e fera.

Vidi poi dietro a lei divota schiera
di quanti in Adria fan dolce soggiorno
doppiar con sacre faci il lume al giorno,
cinto il cor d'umiltate e fede vera.

Così Giove talor dopo il baleno
e l'alto suon de l'armi sue tremende
empie d'ardenti stelle il ciel sereno.

Quinci il suo gran poter, quinci s'intende
suo santo zelo: e l'uno e l'altro a pieno
pregiata al mondo e cara a Dio la rende.

27

In morte della signor Irene delli signori di Spilimbergo

Giacea presso al suo fin, languida e vinta,
la bella Irene, e sconsolato Amore
morir ne' vaghi lumi anch'ei parea.
d'intorno a lei le Muse egual dolore
scoprian con faccia di pallor dipinta,
per cui rigando il pianto in sen cadea.
E di lor una: — Ahi vergine — dicea,
— degna sol per virtute ardente e chiara,
il numero adeguar di nostra schiera;
qual cruda stella e fera
il commun danno nel tuo mal prepara?
Qual destin vuol che 'n così verde etade,
in sì bel corso di tua gloria manchi?
Or quando fia che 'l mondo si rinfranchi
del mal che sovra lui sì acerbo cade?
Ahi non sia più ch'aggrade
viver qua giù: poiché morte aspra e dura
ogni ornamento, ogni piacer ne fura. —
Ciò detto, ecco che 'l gir più innanzi a l'opra
del suo filo vital prescrive il Fato:
onde la Parca già secarlo intende.
ma, come agricoltor che 'n verde prato
l'adunca e sottil falce in giro adopra,
e de' suoi ricchi onor vedovo il rende,
s'allor che per ferir il braccio stende
fior vede adorno di bellezze nove,
a cui fin su dal ciel Venere aspira,
s'arresta, e mentre il mira,
non usata pietà nel punge e move;
tal essa, per tagliar la mano alzando
quel degno stame e 'l fior d'ogni virtute,
ritarda il colpo; e le non più vedute
grazie in altra giamai fiso mirando,
ed al suo fin pensando,
nel cor sì duro, inespugnabil pria,
sentì pietade entrar per larga via.
Sentilla ancor; previsto il duro caso
con le sorelle, il dì che 'l parto eletto
prima i begli occhi in questa luce aperse;
e de l'orto felice infra 'l diletto
provaro il duol del suo futuro occaso;
or di dolce, or d'amaro i cori asperse.
indi lo spazio a misurar converse
ch'al suo viver segnava il cielo avaro;
s'assiser presso a la gradita cuna.
La conocchia avea l'una
di stame avolta prezioso e raro;
l'altra con la sinistra indi traeva
a parte a parte il ricco vello in giuso,
e con la destra infra le dita il fuso
rotando in presto giro il fil torceva;
la terza in man teneva
per troncarlo al suo segno il ferro crudo,
e far d'ogni bel pregio il mondo nudo.
Queste di sacro spirto accese in vista
nascendo Irene incominciar tal canto
descritto negli eterni alti decreti:
— Oh quanta grazia or dal ciel piove! Oh quanto
oggi per cotal parto il mondo acquista
de' suoi doni più cari e più secreti!
Fronte serena, occhi soavi e lieti,
bocca e guance di rose e chioma d'oro,
e d'ogni parte in lei beltà divina
farà dolce rapina
Di ben mille e mill'alme a gloria loro;
né per altra giamai di più bel laccio
con onestate amor fia giunto insieme,
o ricorrendo a sue forze supreme
renderà stanco in più ferite il braccio.
né fia che 'n foco e 'n ghiaccio
altri più dolcemente si consumi
dinanzi a due più vaghi e chiari lumi.
Per sì leggiadro in lei corporeo velo
trasparerà l'interna alma bellezza,
qual per puro cristallo ardente luce.
Di senno, di valor, di gentilezza
fia chiaro specchio: e nel camin del cielo
caste voglie e sant'opre avrà per duce.
Che più? Quando le fronde altri produce,
questa, come ben culto arbor fecondo,
maturar si vedrà suoi dolci frutti.
Per costei ricondutti
fian d'Aracne e d'Apelle i pregi al mondo;
questa giungendo al dolce canto il suono,
potrà far molle un cor di dura pietra:
ond'una in mille a prova eletta cetra
Febo a lei serba in prezioso dono,
e già sacrati sono
lauri e palme in Parnaso al suo bel nome,
ch' aspettano d'ornarle ancor le chiome.
Cresci dunque a fermar ne' nostri petti
cotanta speme, o fortunata prole,
scopri i novelli rai del volto adorno;
cresci, parto gentil, qual novo sole,
e porta al mondo i suoi veri diletti:
apri a tante sue notti un chiaro giorno.
Già festosa t'annunzia d'ogn'intorno
del tuo bel dì la desiata aurora,
tal che ne rende il ciel puro e sereno
e d'allegrezza pieno:
e già del tuo splendor l'arde e innamora.
Ecco che sparge il tuo lieto oriente
d'incenso e croco e mirra un largo nembo,
e ti dispiega il suo purpureo grembo
ogni rosa, ogni fior vago e ridente;
e salutar si sente
il nascer tuo di sopra gli arboscelli
da ben mille canori e lieti augelli.
Ma perch', ohimè, del ciel contraria voglia
sul più bel folgorar de' raggi tuoi
a duro occaso ti destina e sforza?
Perché del viver tuo l'arbitrio in noi
almen non lascia? Acciò che mai nol toglia
dal suo corso felice etate o forza? —
Così del Fato aprir la chiusa scorza
le sacre dive, e 'l fero altrui palese;
a che poi chiara prova il tempo aggiunse,
finché lo stame giunse
ove l'amica dea la man sospese.
Essa, che 'l tronchin, le sorelle prega,
ma lor trova di sé non men pietose.
tre volte il duro officio il ciel le impose,
tre volte ella prestarlo indugia e nega;
al fin, perché la piega
l'immutabil destin, l'opra recise,
e l'alma dal bel corpo in un divise.
Ahi nemico destin, destin rapace,
destin crudele e rio, poiché sì tosto
di tanto ben ne spogli e di duol gravi!
Dunque a sì degna vita hai pur fin posto?
Dunque il sol di virtute estinto giace,
per cui tu mondo, or cieco, alter andavi?
E voi, già d'amor nido, occhi soavi,
esca gentil di mille fiamme sparte,
morte, ohimè, pur v'ha chiusi in sonno eterno.
Anzi, se 'l ver discerno,
desti or v'aprite in più beata parte:
ivi pur giunti, al fin di vostra spene,
de' rai del sommo sol lieti godete,
e 'n atto d'umiltate a lui rendete
grazie, ché v'alzò tosto a tanto bene.
Nova dea fatta è Irene,
nova Pallade il ciel l'addita e chiama,
e de l'altra non men la pregia ed ama.
Se desio di veder, canzon, ti punge,
qual doglia e pianto a tutto 'l mondo apporte
sì dura, acerba, intempestiva morte,
segui ovunque di lei la fama aggiunge;
ché non fia gente così alpestra e lunge
dal nostro mar che non ne pianga al grido,
né fera in alcun lido
sì cruda a cui pietà nel cor non passi:
e vedrai forse ancor piangerne i sassi.

28

Al clarissimo signor Giorgio Gradenico fu del clarissimo signor Andrea

A che la vostra bella alma sirena,
che 'l cor vi prese col suo dolce canto,
pur chiamate nel mar del vostro pianto
e 'n questa valle di miserie piena?

Ella or suoi giorni in ciel felici mena,
con l'immortal cangiato il fragil manto,
e voi del vostro amor scemate il vanto
cogliendo del suo ben lagrime e pena.

Ben dava indicio in lei divino zelo,
beltà divina a divin senno aggiunta,
ch'era indegna sua stanza il mortal velo.

Né dite: — Irene è tosto al suo fin giunta —;
ch'anzi pur tardi ognor per girne in cielo
da questo incarco vil l'alma è disgiunta.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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