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Rime di Celio Magno (25)

Post n°984 pubblicato il 06 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

25

Nella vittoria navale contra il signor Turco alli scogli Curzolari l'anno 1571, 7 ottobre

Aprite o Muse i chiusi fonti, aprite!
Non più timor, non più mestizia o cura:
gioia,. gioia versiam fra riso e canto!
Vinto è 'l perfido Trace: i gridi udite
de l'alto gaudio che le menti fura
e soverchio dai cor si stilla in pianto.
O lagrime felici! Or quando tanto.
di ben per mille lustri il ciel n'ha porto
quanto in un punto, o lieto dì, n'adduci?
Chiudami pur le luci
morte, or che tanto don vivendo ho scorto:
ch'ove amica fortuna al colmo siede
de le sue grazie, anzi se stessa avanza,
esser non può 'l morir se non beato.
Ma scorgo io 'l vero? O pur del ben bramato
formo, sognando, al cor falsa sembianza?
Non erro, no: che n'han quest'occhi fede.
O chiara impresa, o gloriose prede!
Cominci omai da questo dì giocondo
più che mai bello a rinovarsi il mondo!
Questo è quel dì che da propizie stelle
con lieto aspetto in ciel n'era promesso,
di Lui che le creò ministre fide;
questo è quel dì ch'in voci illustri e belle
alto spirto divin cantò sì spesso,
mentre l'antica e nova età 'l previde.
Però là, verso l'orto, il sol si vide
dianzi oscurar d'orribil macchie il volto,
e scorrer per lo ciel fiamme e comete.
Ma in queste parti liete,
ove ogni ben fiorir doveva accolto,
produsse in copia a noi, fuor d'ogni stile,
presso al ghiaccio il terren rose e viole;
e s'udir dolci augei di notte, quando
più l'aria tace, a festeggiar cantando,
quasi sorgesse allor da l'onde il sole:
segni che 'l mondo omai, d'oscuro e vile,
a pien farsi dovea vago e gentile,
e che Dio fa predir con note chiare
ne l'opre grandi il ciel, la terra e 'l mare.
Dove l'Ionio mar freme nel seno
che fra l'Istmo e l'Epiro il flutto accoglie,
e di Cefalo il nido intorno bagna,
ecco il Trace spronar suoi legni, pieno
d'immense forze e crude, ingorde voglie:
perché lo stuol fedel vinto rimagna
e serva Italia i propri figli piagna
dati in vittima indegna al falso dio.
Ma Pietro col re Ibero e la reina
d'Adria, cui la divina
grazia a l'empio Ottomano incontra unio,
spinte ver lui l'invitte, armate vele,
fiaccaro i corni a la superba Luna,
e strage fer de la nemica schiera.
Tutto fu 'l mar coperto in vista fera
d'ostil sangue e di corpi: in cui ciascuna
spada stimò pietà l'esser crudele.
Così giacque il nemico empio, infedele:
e vittoria dal ciel con preste penne
a far d'uomini dèi per merto venne.
O di Cristo guerrier feroci, invitti,
che di voi scudo a la sua croce feste
e nel cui degno crin s'orna l'alloro;
ben denno esser a voi gli onori ascritti
di quei che già dal mondo, in mortal veste,
dèi fur creduti a le chiar'opre loro.
Per voi de le virtuti il santo coro
ne la sua dolce libertà respira,
e col torto la fraude e 'l vizio geme;
per voi più non si teme
di barbarico Marte orgoglio ed ira:
sembran giorni le notti, e i foschi giorni
vincono i chiari, e ne' più chiari poi
ogni raggio del sole un sol diventa.
La nostra gioia è un mar ch'invan si tenta
passar, che cela il fondo e i lidi suoi
quanto più vien ch'altri a solcarlo torni;
qual anco è 'l vostro merto, o spirti adorni.
Che nulla esprime il voi chiamar felici,
sendo di tanto ben fonti e radici.
Ma che di voi dir deggio Ercoli eletti,
che sol per nostra universal salute
la morte avete agli onor vostri aggiunta?
Quanto invidio le piaghe a' vostri petti
e 'l sangue sparso! Oh come allor virtute
tinse di dolce ogni più amara punta!
Parmi udir ogni lingua, al suo fin giunta,
spirar tai voci: — E che puoi farmi, o morte,
se mi dai vita, e in te sazia è mia brama?
Chi virtù prezza ed ama,
aver non può dal ciel più rara sorte
che questa vita, sì dubbia e fallace,
ch'a natura, qual sua, render si deve,
a la patria donar diletta e cara;
e cangiar, fuor di sua prigione amara,
con l'immortalità spazio sì breve.
Però non sia chi di lagnarsi audace
mi brami in terra, e turbi in ciel mia pace;
ma sol grazie a Dio renda e, lieto in tutto,
di mia vittoria a sé raccolga il frutto. —
Con questi ultimi accenti usciron l'alme
de' sacri petti, e ne' lor visi estinti
morte ridente allor fu prima vista.
E, novi angioli, a Dio carchi di palme
volar, di compagnia celeste cinti,
risplendendo per l'aria in lunga lista.
Qui dunque a lor, con gioia al canto mista,
ed ostri ed ori e pompe, onor si faccia:
ché morte in lor suoi privilegi perde.
E quei cui l'età verde
gli spirti infiamma e la canuta agghiaccia,
con le vergini pure e caste spose,
celebrin questo giorno; e in lui rinati
l'onorin sempre poi festivo e sacro.
Indi, eretto a la gloria un simulacro,
dal piè si legga: — A quei che 'l Trace, armati,
vinser ne l'onde e fer mirabil cose,
questo invece di tomba il mondo pose. —
Intanto, a Dio porgendo incensi e voti,
così tutti cantiam, lieti e devoti:
— Padre eterno del cielo e de la terra,
d'ogni letizia inessicabil fonte,
ch'or nova manna al tuo popol versasti;
tu del nemico tuo l'orribil guerra
movesti in noi per abbassar la fronte
de' vizi onde i cor nostri eran sì guasti.
Tu poi 'l vincesti, e in Austro allor cangiasti
Borea, che contra noi sue vele empiea,
dando del poter tuo stupendo segno,
e di pietà tal pegno
ch'ogni nostro desir d'assai vincea;
ma proprio è del tu' oprar la meraviglia.
Così tu 'l freno in man, benigno, prendi,
nel bel camin de le future imprese,
che nulla tema avrem d'umane offese;
ed è 'l nostro gioir, se nol difendi,
pianta in steril terren, che mal s'appiglia.
Aprine, Padre, al tuo voler le ciglia:
che veggon, tua mercé, pur giunte l'ore
che fia solo un ovil, solo un pastore.
Canzon, prima Dio loda in umil suono,
poi riverente bacia il piano intorno,
onde surgono al ciel gli alti trofei;
e sacra il cor, la cetra e i versi miei
solo a' lor chiari pregi, a questo giorno,
a le palme ch'ancor per nascer sono.
Che non conviensi a chi cantando ha in dono
dolce fiume gustar d'onor divini,
ch'a ber d'altro liquor le labbra inchini.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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