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Rime di Celio Magno (1-7)

Post n°951 pubblicato il 03 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

1

Non di porfido tomba eletto e duro,
ove il mio nome in note d'or s'imprima
e bel marmo scolpito il volto esprima,
lasciar, morendo, in mia memoria curo.

Questo che di mia man schermo io procuro
contro l'aspra del tempo avida lima,
sia 'l mio sepolcro; e se non d'altra stima
d'un generoso ardir pegno sicuro.

E s'è l'incolto crin di lauro indegno,
il pregio almen de la mia nobil brama
d'altra povera fronde il faccia degno;

ché perfetta non pur s'onora ed ama
virtù, ma di lei solo un'ombra, un segno,
merta in premio benigno eterna fama.

2

Trovo dovunque io giro 'l guardo intento
trista imagin di morte. Ecc'ora il giorno
da l'oriente uscir di luce adorno,
eccol tosto a l'occaso oscuro e spento.

Così le frondi e i fior, vago ornamento
di primavera a questo colle intorno,
farà languidi e secchi al suo ritorno
de la fredda stagion la neve e 'l vento.

Quanto nasce qua giù, quanto con l'ore
crescendo vive, al fin sotto una sorte,
senza riparo aver, mancando more.

E s'al mesto pensier chiuder le porte
col chiuder gli occhi io cerco, il cieco orrore
contemplo allor de la mia propria morte.

3

Ahi perché questa luce alma gradita
divien per morte in sì poch'ore oscura?
O 'l corso almen, ch'a lei prescritto dura
non è tutto verace, intera vita?

Quanta dal sonno a lei parte è rapita,
da membra inferme e da ria sorte e dura;
quanta ne rode insaziabil cura,
ogni sua pace e libertà smarrita.

Chi può vita chiamar de' teneri anni
l'ignara mente? E qual mortale oltraggio
vince de la vecchiezza i gravi affanni?

Quel, dunque, che riman, qual picciol raggio
fuor d'atre nubi, a ristorar suoi danni
spenda in oneste e liete cure uom saggio.

4

Da verde ramo in su fugace rio
spargea vago augellin sì dolci accenti
ch'avean per ascoltarlo il cielo, i venti
e l'acque il corso lor posto in oblio.

Quando improviso astor giunse, e 'l rapio,
misero, fra gli artigli aspri e pungenti;
onde invano ei si scosse, e co' dolenti
suoi stridi il cor d'alta pietà m'empìo.

Oh regnasse furor sì iniquo ed empio
sol tra le fere, e non tra i petti umani
con via più crudo e scelerato essempio!

Ch'or macchia più che mai l'alma e le mani
rapina e sangue, e 'l reo del buon fa scempio,
vinta ragion da ciechi affetti insani.

5

Non fuggir, vago augello, affrena il volo,
ch'io non tendo a' tuoi danni o visco o rete;
ché s'a me libertà cerco e quiete,
por te non deggio in servitute e 'n duolo.

Ben io fuggo a ragion nemico stuolo
di gravi cure in queste ombre secrete,
ove sol per goder, sicure e liete,
poch'ore teco, a la città m'involo.

Qui più sereno è 'l ciel, più l'aria pura,
più dolci l'acque, e più cortese e bella
l'alte ricchezze sue scopre natura.

O mente umana al proprio ben rubella!
Vede tanta sua pace e non la cura,
e stima porto ov'ha flutto e procella.

6

Non dentro a l'alte e ben guardate mura,
tra nobil turba e marmi e bronzi ed ori,
né tra purpurei manti e falsi onori,
che serva e cieca ambizion procura;

Ma tra questi bei colli, ove natura
spiega in più vaghe pompe i suoi tesori,
tra quest'onde, quest'erbe e questi fiori
siede pace tranquilla e gioia pura.

Qui di lieto pastor povera verga
vince i più ricchi scettri, ed umil tetto
quai più splendon palagi eccelsi ed ampi.

O bel fiume, or fia mai che 'l tristo petto
in te, suo Lete, ogni aspra cura immerga?
E sian questi i miei dolci Elisî campi?

7

Dentro al vaso mortal giacendo sotto
i gravi colpi a strazio indegno acerbo,
dicea 'l forte Anassarco al re superbo,
mentr'era il corpo suo percosso e rotto:

- Sia pur in polve il fral trito e ridotto,
ché l'alma dal tuo sdegno invitta io serbo;
furor contra virtute ha debil nerbo:
tu per far onta, io per soffrir prodotto.

Cada pur sovra me l'immenso peso
del mondo tutto, e franga i membri e l'ossa,
che non sarò dal precipizio offeso.

Così libero i' son, serva è tua possa;
e 'l cener tuo, da ricca urna compreso,
porterà invidia a la mia nuda fossa. -

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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