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Rime inedite del 500 (XXXIX-1)

Post n°930 pubblicato il 28 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

XXXIX

[1 Di Latino Latini]

Signor, che colmo d'alte voglie, ardenti
L'animo avete e di virtù sì rare,
Seggio d'onor, di lode altiere e chiare,
Albergo u' son gli umani affetti spenti.

Talché sopra natura e gli elementi
Vi siete alzato, ond'oggi in voi traspare
Raggio divin, che vi farà adorare
Da spirti più leggiadri ed eccellenti.

Quanti veggio, signor, lodati inchiostri
Per voi destarsi, e 'l bel romano clero
Quanto da voi riceverà splendore.

Ché se fortuna i chiari merti vostri
Vorrà gradir, e s'io predico il vero,
Della chiesa di Dio sarai pastore.

[2 Di Latino Latini]

A messer Vincenzo Divi col disegno per messer Giovanni Battista Spirito.

Se coll'alto valor, col chiaro ingegno
Vostro, signor, con cui l'età novella
Di magnanime imprese è ricca e bella
Rendete e voi d'immortal gloria degno,

Discorrendo di quei lochi il disegno
Ch'agli antichi roman furno castella,
Quando contro di gente empia e rubella
Sfogar' col ferro in man l'ira e lo sdegno,

V'invaghiste sì dentro al bel lavoro
Che con picciola schiera incontra a molti
Difender la fortezza aveste ardire.

Col don date ai feriti alcun ristoro,
Che per non si curar restan sepolti
Spesso anzi al giusto termin del morire.

[3 Di Latino Latini]

Signor, già con leggiadre e forti penne
Solea sì in alto il mio pensier levarsi,
E tanto al bene eterno avvicinarsi
Ch'ogni cosa mortale a schivo tenne.

Poscia che occultamente al cuor mi venne
L'ingorda sete di ch'io già tutto arsi,
Ogn'onesta mia voglia in ria cangiarsi
Sentì, sì che di sen nulla ritenni.

Onde non che più al cielo alzare i vanni,
Ma non pur li potei levar dal fango
U' senza vergognarmi un tempo giacqui.

Or che per te, signor, scorgo i miei danni
Che ti chieggo perdon, che 'l fallir piango
Tornami tal qual tua mercè rinacqui.

[4 Di Latino Latini]

A pie' de' monti, ove or tranquilla pasce
L'eletta da Dio greggia erbette e fiori,
Quella di latte pieno, esse d'odori
Fonte di chiare e salubri acque nasce.
 
A cui fa in alto giro ornate fasce,
Porfido vivo sì ch'uscir di fuori
Di là non puote; intorno olivi, allori,
E palme il sant'umor nudrisce e pasce.
 
Quinci e quindi del fosso in su le sponde
Sta vigil serpe, acciò che dagli oltraggi
D'invide voglie il buon signor difenda.
 
Tempo sia che dai verdi alteri faggi
La greggia sitibonda al pian riscenda
U' el buon pastor l'invita alle sacre onde.
 
[5 Di Latino Latini]

Se per vago, leggiadro e grato aspetto
D'amorosetta donna, o cortesia
Rara ver' me s'aprì unqua la via
A fare accesa per scaldarmi il petto;

Trovò però sì chiuso il calle e stretto
Ch'al cor profondo mio gelato invia
Ch'estinta al tutto et agghiacciata pria
Restò, che giunta al destinato affetto.

Non altrimenti che veggiam noi farsi
Il lumicin in vaso ampio e profondo
Per stretta intrata alcun di porlo affretta;

Che pria spento riman, che entro inviarsi
Possa, così mai non arriva al fondo
del petto mio d'amor calda saetta.
 
[6 Di Latino Latini]

Come nella stagion ch'a giuochi e feste
Col nuovo suo liquor Bacco n'invita,
E che la pianta abbastanza nodrita
Perde col digiunar la bella veste.

Pomo non può nato d'albero alpestre,
Se ben maturo par, senz'altra aìta
D'alquanto tempo e d'arte insieme unita
Cangiar in dolce il sapor duro e agreste.

Così, se dall'inculto aspr'Appennino
Il frutto, ch'or vi mando, è mal maturo
Sicché col succo acerbo il dente annoda,

Maturatel con arte in loco oscuro,
Finché sia tal che 'l gusto se lo goda,
O l'alber trasferite in Aventino.

[7 Di Latino Latini]

Al signor eletto di Cesena quando andò a Siena.

S'a quel desir, ch'in voi sovente accende
Viva ragion, divino alto intelletto
Non fia per nuova voglia unqua ristretto
Il freno, anzi al bel fine ov'egli attende,
 
Vedransi opre sì degne, e sì stupende
Uscir dall'onorato e sacro petto
Che di vostra virtù fia sempre detto
Ove il sol poco, ove molto risplende.
 
Però, signor mio caro, all'alta impresa
Che può farvi fra gli uomini immortale
Et al superno ben larga ampia porta
 
Raccendete di nuovo ognor l'accesa
Voglia, s'a voi di voi medesmo cale,
Ch'altro ben d'esta vita uom non porta.

[8 Di Latino Latini]

Di se stesso a m. Camilla.

Tenesti, Amor, gran tempo in man le chiavi
Del mal'accorto mio tenero cuore,
Quando in sul primo giovenil errore
Parvermi i lacci tuoi dolci e soavi.

Ma poich'in me sospir penosi e gravi
Fra le varie speranze e 'l van timore
Creasti, disleale, empio signore,
Odiai il tuo falso ben, che mi mostravi.
 
Ond'io ringrazio quel motor superno,
Che creò questo e quell'altro emisfero,
Che da' tuoi duri lacci il cuor mi scinse.
 
Errarno ben col tuo cieco governo
I sensi, e l'occhio mai non scorse il vero;
Ma voglia in me ragion giamai non vinse.
 
[9 Di Latino Latini]

Almo pastor, la cui pietà infinita
Ha del comune ben zelo e del mio,
E di tirarne al ciel tanto desìo,
Che perciò prendi e poi lasci la vita,
 
La cara pecorella tua smarrita
Oggi ritrovi e fai, signor, sì ch'io
Riceva il don, che solo vien da Dio,
A cui s'inchina l'alma e chiede aita.
 
Così risorgo, e dentro al cuore sento
Nuovo pensier: quei mi conforta e sprona
A seguir oltre, ond'io m'affretto e scaldo.

Quinci chi può ridir qual sia il contento
Ch'ognor s'accresce all'alma, che poi saldo
Opra tessendo in ciel giusta corona?
 
[10 Di Latino Latini]

Poiché d'alpestre e rapido torrente
In mar tranquillo e ben spalmata barca,
Di ricca merce, e saggio nocchier carca
E col favor d'un placido ponente,

Scorgo che il signor mio felicemente,
Solcando l'onde inanzi agli altri varca,
Mercè del sommo e provido monarca
Ch'abbandonar sua gregge non consente.

Dico fra me: felice e ben nat'alma,
Che del primo pastor l'afflitta nave
Guiderai fuor di perigliosi scogli;

Prendi or' in pace desïata et alma
D'argento l'una e d'or fin l'altra chiave
E con vera pietà ne lega e sciogli.
 
[11 Di Latino Latini]

O città, che del mar reina sei,
Che l'alma Esperia il destro fianco bagna,
E schermo pio, non pur figlia o compagna
Sempre fosti di Pietro ai santi piedi.

Perch'or lo strazio e 'l duol non odi e vedi
Della sposa di Cristo, che si lagna
Non men di te, che di Germania e Spagna
Cui lei preda badando esser concedi?
 
Torna almeno a te stessa, e nell'altrui
Danno, il tuo posto ancor chiaro vedrai
Sol con quest'arti il suo valor s'atterra.
 
Coi gigli d'oro e cogli azzurri omai
Spiega il Leone alato incontra a lui
Che combattendo altrove a te fa guerra.
 
[12 Di Latino Latini]

Signor, ch'omai tre lustri interi avete
Nel santo e ben locato offizio vostro
A tutto il mondo apertamente mostro
Quale in voi senno e carità chiudete;
 
Dico le stelle grazïose e liete
Preste a tanto serbarvi in questo chiostro
Uman quanto a voi basti al terren vostro
Render la desïata sua quïete,
 
E 'l far che l'alma vostra sposa cara
L'empio settentrion chieda perdono
E tributo le dian Turchi, Indi e Persi,
 
Dunque non sian vostri desir diversi
Da quei del ciel, che preparati sono
Quinci a donarvi gloria eterna e rara.

[13 Di Latino Latini]

Siena, è stato capriccio della sorte
Et una come te porro influenza
Il sinistro che par ch'abbia Fiorenza
Le mura tratte giù non delle porte.

E il caso a Chiusci dalle fusa torte
Trionfante chimera in apparenza,
Ch'in verità la neutral prudenza
Miglioramento il tien della sua morte.

O in fatti e in detti legitima schiava,
E in fatti e in detti libertà bastarda,
Non esser così pazza e così brava.
 
Poveraccia da bene, il fine guarda
Che la promessa colla qual si chiama
Il Turco epidanissimo è bugiarda.
 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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