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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°926 pubblicato il 28 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) Che impallidir le chiome Si veggon de le piante e gli augelletti, Che van fuggendo il gelo Passar di là dal mare A più temprato cielo: Già dell'agricoltor le mani avare Tolte aveano alle viti Il lor dolce tesoro Che parea in vista o di Piropo, o d'oro Pria che Venere bella In oriente splendea Risorto era Tirinto, E la sua viva fiamma A l'ombra della notte umida e bruna Sfogava con le stelle e con la luna E per quei campi errando Soletto alfin pervenne All'albergo d'Aretia, alloraquando Parea del dì nascente Gravido l'orïente, Et ella innanzi al sole Veggendolo apparira Pensoso con le luci al cielo affisse, A lui rivolta disse: Aretia Ben m'aveggio, Tirinto, Qual cagion qui t'ha spinto; Non son retti da te questi tuoi passi, Ch'i tuoi vari pensieri Come vanno il tuo amor volgendo teco, Così t'aggiran seco Per distorti sentieri; Ma sia pur stata elezïone, o sorte Vieni sotto quest'elce in grembo a l'erba, E meco ragionando del tuo stato L'interna pena sfoga, e disacerba, E l'affatto petto in un restaura A lo spirar soave Di questa matutina e placid'aura. Tirinto Io vengo, e qui m'assido; Così avesser riposo i miei pensieri Com'hanno queste membra Che dall'ora ch'io vidi Il viso di colei Ch'ha tutti in sé raccolti i desir miei, (Con sospir mi rimembra) Non ondeggia sì il mare Dove dicon che Atlante Bagna li orridi pie' nell'onde amare, Come fa la mia mente Ora lieta, or dolente. Aretia Dimmi, t'è dato mai Di scovrirle i tuoi guai Con la tua propria bocca, o con l'altrui? O pur solo con gli occhi Messaggeri del core Le mostri il tuo dolore? Tirinto Hier' mi fu in sorte dato Giorno per me beato, Io la vidi e l'udii Parlando sospirare, E de' suoi lumi ardenti il vivo sole Accese in me l'ardore, E l'aura de le sue dolci parole E 'l vento de' sospiri Spiraron nell'incendio e 'l fer' maggiore, Né 'l fuoco scemerà ch'ora in me dura O variar d'etate, o di ventura. Aretia Poiché già sì d'apresso ella ti mira, E tu la miri et odi, Godi, Tirinto, ardendo, E de' pensieri acqueta le tempeste, Che qual terrena rosa, Alla rugiada a l'ora De la nascente aurora Non apre vergognosa Il suo vermiglio ed odorato seno; Ma poi che più vicino il caldo sente Del gran pianeta ardente Apre languendo le purpuree spoglie E 'l bel raggio del sole in grembo accoglie. Così la verginella Ai pianti ed ai sospiri Di novello amator che lunga miri Chiude il ritroso petto, Ma poi che s'avvicina il vivo ardore D'un amoroso aspetto Languendo apre la via per gli occhi al core E nel virgineo sen riceve amore. Ma come t'udì Clori Quando le apristi le tue pene ascose? E come ti rispose? Tirinto Ella, cortese in vista, e vergognosa Di purpurei color tinto il bel volto Talor il dolce sguardo in me volgea E poi gli occhi chinava; Ma quando chiuse a la mia voce il passo, L'affetto che voleva Tutto in un tempo uscire in me gli affisse E sospirando disse: Tirinto, t'amo, ed amerò mai sempre Quanto più cosa al mondo amar conviensi: Però de la mia fe' vivi contento, Se pur ti poss'io dar gioia e tormento. Aretia Vero è quel che si dice Ch'infinita è la voglia degli amanti, Tu mostri essere dolente e sei felice. Tirinto A tai parole sì cortesi e care D'amorosa baldanza il cor ripieno, Mossi per gira a lei, Né però m'appressai, ch'in un baleno Vidi nubi di sdegno il bel sereno Del volto aver coperto, e vidi uscire Da' begli occhi lucenti Folgori d'ira ardenti; Indi fe' segno di partirsi allora In atto supplichevole e tremante: Non sol, dissi, tu puoi, anima fiera, Levare a questi miei languidi lumi Il lor più caro obietto; Ma questo afflitto cor trarmi dal petto. Non farai già, mentre avrò spirto e core, Idolo mio crudel, ch'io non t'adore. Deh! torna a me, deh! torna; e qui mancommi Lo spirito e la voce e del mio aspetto Gli atti languidi e mesti, indi le fero A temprare il mio duol pietoso invito. Allora ella si volse, E serenossi in vista, E i bei pietosi lumi in me converse. Ben vidi in quel momento Il bel d'ogni altro bello in me rivolto Sì bella è la pietà nel tuo bel volto. Aretia Caro, e soave sdegno Che sol mostrossi ne' begli occhi armato Per esser poi da la pietà fuggito. Tirinto Fu forza alfin partire, E vidi il mio bel viso Asperso già di rose, Smarrirsi in un pallor leggiadro e misto Di vïole amorose, E di bianchi ligustri; Onde non fia già mai ch'io non ritegna Ne la memoria impresso e l'atto e 'l loco. Aretia Quest'è segno maggiore Di vero ardente affetto; Sparsi di tal colore Vanno i servi d'amore, Godi dunque, Tirinto, e vivi lieto, Che qual giovane pianta Si fa più bella al sole Quando meno arder suole; Ma se fin dentro sente Il vivo raggio ardente Dimostran fuor le scolorìte spoglie L'interno ardor che la radice accoglie. Così la verginella Amando si fa bella, Quando amor la lusinga e non l'offende; Ma se 'l suo vivo ardore Le penetra nel core, Dimostra la sembianza impallidita Ch'ardente è la radice de la vita. Tirinto Se sperar del mio amor tanto mi lice, Incendio mio felice, Non sarà sasso che non arda meco, Né fia caverna, o speco Che con me non risuoni il caro nome Il suo bel volto e le dorate chiome; Né sarà selva, che con le fresch'ombre Non m'inviti a sfogar l'alma mia fiamma, Né sarà pianta che non mostri espresso El mio gioir nella sua scorza espresso; Né sarà augello in questi verdi rami Che non sembri con me cantando dire: Clori, non fia che non t'adori e t'ami; O soave languire, Felice me, s'io vivo in questo stato, Beata lei ch'altrui può far beato! Aretia Or m'ascolta, Tirinto, Poiché la bella Clori Onor di queste selve, Fiamma di mille cori, Ad ogni altro pastor ritrosa e dura, A te sol dona il core, agli altri il fura, Donale la tua fede, E degna la mercede Sarà dell'alto don che si fece ella, Se sì fido sarai com'essa è bella. Tirinto Come, Aretia, potrai non esser fido? Troppo fu dolce la catena d'oro Con che a la tua beltade Amor m'avvinse. Troppo il bel nodo strinse Ch'unito è sì col nodo della vita Che scioglier non si può se non per morte. Troppo aperte del cor furon le porte; Quando la bella imago A lui pervenne in prima, Ed or non è sì vago Ch'ad ogni altra le serra: Onde non sarà mai bellezza in terra Che in sé rivolga, o renda meno ardente Il bel desio dell'invaghita mente. Aretia Ma se talor la tua leggiadra ninfa Veggendoti da molti esser amato Di pallido timor tingesse il volto, Temendo che d'altrui non le sii tolto, Lascia pur ch'ella tema, e ch'altri t'ami; Ché l' gielo del timore il foco affina Negli amorosi petti; Ma non esser cagion della tua tema E sembra nel sembiante Cortese a tutti e di lei solamente; Né far giammai de la sua fede prova; Poiché nulla ti giova Se bene a te paresse, Come credo che sia, Più salda che colonna; Mai non si dee tentar la fe' di donna. Alfin d'esser rammenta Timido di parole Seco e d'affetti audace, E sappi che non fu mai senza guerra Il dolce fin d'una amorosa pace. Ma ecco colà veggio Venir in vista lieti e vergognosi Calisa e 'l suo Rutillo, amanti e sposi. Felice coppia, a cui concesse amore Refrigerio soave Del loro onesto ardore. Tirinto Adrio di là se n' viene Forse da me per sfogar meco parte Delle sue dolci ed amorose pene. Aretia Dunque vanne, Tirinto, e lui consola; Poiché sei consolato, E lieto vivi, e godi Delle tue fiamme e ne' tuoi cari nodi. Tirinto Le grazie ch'io dovrei, Aretia, non ti rendo, Ben te le renderei Se parlassen per me gli affetti miei. Rimanti dunque, ed importuna guerra Di noiosi pensieri Non turbi mai la tua tranquilla pace. Destro a te giri il cielo, Ti dia frutti la guerra, Né pioggia accolta in gielo Già mai t'abbatta i campi, Né mai folgori, o lampi Cadano giù della gran madre in grembo. Ti sia l'aer sereno, e largo nembo Di dolcissima manna e di rugiada Piova in questa felice alma contrada. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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