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Rime inedite del 500 (XXXVIII-1)

Post n°926 pubblicato il 28 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

XXXVIII

[1 Di Ferrante Gonzaga]

Aretia

Era nella stagione

Che impallidir le chiome
Si veggon de le piante e gli augelletti,
Che van fuggendo il gelo
Passar di là dal mare
A più temprato cielo:
Già dell'agricoltor le mani avare
Tolte aveano alle viti
Il lor dolce tesoro
Che parea in vista o di Piropo, o d'oro
Pria che Venere bella
In oriente splendea
Risorto era Tirinto,
E la sua viva fiamma
A l'ombra della notte umida e bruna
Sfogava con le stelle e con la luna
E per quei campi errando
Soletto alfin pervenne
All'albergo d'Aretia, alloraquando
Parea del dì nascente
Gravido l'orïente,
Et ella innanzi al sole
Veggendolo apparira
Pensoso con le luci al cielo affisse,
A lui rivolta disse:
Aretia
Ben m'aveggio, Tirinto,
Qual cagion qui t'ha spinto;
Non son retti da te questi tuoi passi,
Ch'i tuoi vari pensieri
Come vanno il tuo amor volgendo teco,
Così t'aggiran seco
Per distorti sentieri;
Ma sia pur stata elezïone, o sorte
Vieni sotto quest'elce in grembo a l'erba,
E meco ragionando del tuo stato
L'interna pena sfoga, e disacerba,
E l'affatto petto in un restaura
A lo spirar soave
Di questa matutina e placid'aura.
Tirinto
Io vengo, e qui m'assido;
Così avesser riposo i miei pensieri
Com'hanno queste membra
Che dall'ora ch'io vidi
Il viso di colei
Ch'ha tutti in sé raccolti i desir miei,
(Con sospir mi rimembra)
Non ondeggia sì il mare
Dove dicon che Atlante
Bagna li orridi pie' nell'onde amare,
Come fa la mia mente
Ora lieta, or dolente.
Aretia
Dimmi, t'è dato mai
Di scovrirle i tuoi guai
Con la tua propria bocca, o con l'altrui?
O pur solo con gli occhi
Messaggeri del core
Le mostri il tuo dolore?
Tirinto
Hier' mi fu in sorte dato
Giorno per me beato,
Io la vidi e l'udii
Parlando sospirare,
E de' suoi lumi ardenti il vivo sole
Accese in me l'ardore,
E l'aura de le sue dolci parole
E 'l vento de' sospiri
Spiraron nell'incendio e 'l fer' maggiore,
Né 'l fuoco scemerà ch'ora in me dura
O variar d'etate, o di ventura.
Aretia
Poiché già sì d'apresso ella ti mira,
E tu la miri et odi,
Godi, Tirinto, ardendo,
E de' pensieri acqueta le tempeste,
Che qual terrena rosa,
Alla rugiada a l'ora
De la nascente aurora
Non apre vergognosa
Il suo vermiglio ed odorato seno;
Ma poi che più vicino il caldo sente
Del gran pianeta ardente
Apre languendo le purpuree spoglie
E 'l bel raggio del sole in grembo accoglie.
Così la verginella
Ai pianti ed ai sospiri
Di novello amator che lunga miri
Chiude il ritroso petto,
Ma poi che s'avvicina il vivo ardore
D'un amoroso aspetto
Languendo apre la via per gli occhi al core
E nel virgineo sen riceve amore.
Ma come t'udì Clori
Quando le apristi le tue pene ascose?
E come ti rispose?
Tirinto
Ella, cortese in vista, e vergognosa
Di purpurei color tinto il bel volto
Talor il dolce sguardo in me volgea
E poi gli occhi chinava;
Ma quando chiuse a la mia voce il passo,
L'affetto che voleva
Tutto in un tempo uscire in me gli affisse
E sospirando disse:
Tirinto, t'amo, ed amerò mai sempre
Quanto più cosa al mondo amar conviensi:
Però de la mia fe' vivi contento,
Se pur ti poss'io dar gioia e tormento.
Aretia
Vero è quel che si dice
Ch'infinita è la voglia degli amanti,
Tu mostri essere dolente e sei felice.
Tirinto
A tai parole sì cortesi e care
D'amorosa baldanza il cor ripieno,
Mossi per gira a lei,
Né però m'appressai, ch'in un baleno
Vidi nubi di sdegno il bel sereno
Del volto aver coperto, e vidi uscire
Da' begli occhi lucenti
Folgori d'ira ardenti;
Indi fe' segno di partirsi allora
In atto supplichevole e tremante:
Non sol, dissi, tu puoi, anima fiera,
Levare a questi miei languidi lumi
Il lor più caro obietto;
Ma questo afflitto cor trarmi dal petto.
Non farai già, mentre avrò spirto e core,
Idolo mio crudel, ch'io non t'adore.
Deh! torna a me, deh! torna; e qui mancommi
Lo spirito e la voce e del mio aspetto
Gli atti languidi e mesti, indi le fero
A temprare il mio duol pietoso invito.
Allora ella si volse,
E serenossi in vista,
E i bei pietosi lumi in me converse.
Ben vidi in quel momento
Il bel d'ogni altro bello in me rivolto
Sì bella è la pietà nel tuo bel volto.
Aretia
Caro, e soave sdegno
Che sol mostrossi ne' begli occhi armato
Per esser poi da la pietà fuggito.
Tirinto
Fu forza alfin partire,
E vidi il mio bel viso
Asperso già di rose,
Smarrirsi in un pallor leggiadro e misto
Di vïole amorose,
E di bianchi ligustri;
Onde non fia già mai ch'io non ritegna
Ne la memoria impresso e l'atto e 'l loco.
Aretia
Quest'è segno maggiore
Di vero ardente affetto;
Sparsi di tal colore
Vanno i servi d'amore,
Godi dunque, Tirinto, e vivi lieto,
Che qual giovane pianta
Si fa più bella al sole
Quando meno arder suole;
Ma se fin dentro sente
Il vivo raggio ardente
Dimostran fuor le scolorìte spoglie
L'interno ardor che la radice accoglie.
Così la verginella
Amando si fa bella,
Quando amor la lusinga e non l'offende;
Ma se 'l suo vivo ardore
Le penetra nel core,
Dimostra la sembianza impallidita
Ch'ardente è la radice de la vita.
Tirinto
Se sperar del mio amor tanto mi lice,
Incendio mio felice,
Non sarà sasso che non arda meco,
Né fia caverna, o speco
Che con me non risuoni il caro nome
Il suo bel volto e le dorate chiome;
Né sarà selva, che con le fresch'ombre
Non m'inviti a sfogar l'alma mia fiamma,
Né sarà pianta che non mostri espresso
El mio gioir nella sua scorza espresso;
Né sarà augello in questi verdi rami
Che non sembri con me cantando dire:
Clori, non fia che non t'adori e t'ami;
O soave languire,
Felice me, s'io vivo in questo stato,
Beata lei ch'altrui può far beato!
Aretia
Or m'ascolta, Tirinto,
Poiché la bella Clori
Onor di queste selve,
Fiamma di mille cori,
Ad ogni altro pastor ritrosa e dura,
A te sol dona il core, agli altri il fura,
Donale la tua fede,
E degna la mercede
Sarà dell'alto don che si fece ella,
Se sì fido sarai com'essa è bella.
Tirinto
Come, Aretia, potrai non esser fido?
Troppo fu dolce la catena d'oro
Con che a la tua beltade Amor m'avvinse.
Troppo il bel nodo strinse
Ch'unito è sì col nodo della vita
Che scioglier non si può se non per morte.
Troppo aperte del cor furon le porte;
Quando la bella imago
A lui pervenne in prima,
Ed or non è sì vago
Ch'ad ogni altra le serra:
Onde non sarà mai bellezza in terra
Che in sé rivolga, o renda meno ardente
Il bel desio dell'invaghita mente.
Aretia
Ma se talor la tua leggiadra ninfa
Veggendoti da molti esser amato
Di pallido timor tingesse il volto,
Temendo che d'altrui non le sii tolto,
Lascia pur ch'ella tema, e ch'altri t'ami;
Ché l' gielo del timore il foco affina
Negli amorosi petti;
Ma non esser cagion della tua tema
E sembra nel sembiante
Cortese a tutti e di lei solamente;
Né far giammai de la sua fede prova;
Poiché nulla ti giova
Se bene a te paresse,
Come credo che sia,
Più salda che colonna;
Mai non si dee tentar la fe' di donna.
Alfin d'esser rammenta
Timido di parole
Seco e d'affetti audace,
E sappi che non fu mai senza guerra
Il dolce fin d'una amorosa pace.
Ma ecco colà veggio
Venir in vista lieti e vergognosi
Calisa e 'l suo Rutillo, amanti e sposi.
Felice coppia, a cui concesse amore
Refrigerio soave
Del loro onesto ardore.
Tirinto
Adrio di là se n' viene
Forse da me per sfogar meco parte
Delle sue dolci ed amorose pene.
Aretia
Dunque vanne, Tirinto, e lui consola;
Poiché sei consolato,
E lieto vivi, e godi
Delle tue fiamme e ne' tuoi cari nodi.
Tirinto
Le grazie ch'io dovrei,
Aretia, non ti rendo,
Ben te le renderei
Se parlassen per me gli affetti miei.
Rimanti dunque, ed importuna guerra
Di noiosi pensieri
Non turbi mai la tua tranquilla pace.
Destro a te giri il cielo,
Ti dia frutti la guerra,
Né pioggia accolta in gielo
Già mai t'abbatta i campi,
Né mai folgori, o lampi
Cadano giù della gran madre in grembo.
Ti sia l'aer sereno, e largo nembo
Di dolcissima manna e di rugiada
Piova in questa felice alma contrada.

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)
 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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