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Rime inedite del 500 (XXVII)

Post n°905 pubblicato il 25 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

XXVII

[Di Antonio Cinuzzi]

O d'Helicona dee, che dall'oscuro
Sepolcro e dall'oblìo cieco et eterno

Traete l'uomo e lo serbate in vita,

Date favore al mio disire interno,

Riscaldatelo voi, fatel' sicuro

Al poggiar di quest'alta, erta salita;

Bench'io facessi già di voi partito

Molti anni sono, non vi sdegnate ch'io

Torni, almen questa volta, al vostro albergo,

Poi ch'io le carte vergo

Per onorar quasi un terreno dio

Il gran Cosmo d'Etruria oggi gran Duca,

Il cui chiaro valor lungi risplende

Sopra gl'altri di questa, o d'altra etate.

Io chieggio a' gravi affanni libertate,
E pace, onde dir possa quel ch'intende
L'ascoso mio pensiero, e lo riduca
In chiare note, e a lieto fin' conduca.
Datemi voi lo stile, e dolci e tersi
Sien per voi questi accenti e questi versi.
L'alto re de le stelle, e gran motore,
Che fe' ciò che si vede, e lo mantiene
Senz'altro mezzo e sol co 'l suo volere
A tutto quel di su scende e vîene
Del suo spirito infonde e del suo amore;
Ma dove meno, e dove più sincere
Mostra le forze sue possenti e vere,
Quindi è ch'or' questo, or' quel mortal si scorge
Per fatti egregi sopra il mondo alzarsi,
E grande, e chiaro farsi,
Tanto che maraviglia al mondo porge.
Quindi gl'Ercoli al cielo e gl'alti Augusti
Saliro, ch'ebber luogo in fra le stelle
Mercurio, Marte, Apollo et altri molti,
De' quai da questa vil carne disciolti
Non fia per l'opre lor' tante e sì belle
Chi giamai del liquor di Lethe gusti.
Hor fra quelli onorati, e fra quei giusti
Sarete, Cosmo, voi, poich'in voi sempre
Più largo è Giove ognora in varie tempre.
Ecco in segno di ciò con la corona
Real di grande il degno nome in dono
Oggi vi dà chi tien di Pietro il manto,
Chi presso e lungi fa sentire il suono
Dell'alta sua bontà. Tutto Elicona
Dovrebbe qui voltar le rime e 'l canto.
Egli, che 'l folle e 'l rio del saggio e santo
Scernendo col giudizio suo divino
Dà premio a' buoni, e dà castigo a' rei
Fra gli altri semidei
Ha visto voi, più raro e pellegrino,
Pien di casto pensier, d'alto costume,
Ornato e pronto d'animo e di forza
A la difesa di sua santa sede.
Questa donque e maggiore a voi mercede
Convien, come a chi sempre al ben si sforza,
A ciò che voi fuor d'ogni uman costume
A la cieca età nostra un chiaro lume.
Siate, onde poi ognuno al ben s'appigli
Nel dir, nel fare, a voi si rassomigli.
Tra quanti mai natura e 'l ciel crearo
Uomini glorïosi, uomini illustri,
Che furo a li scrittori ampio soggetto,
Stati son mai in tanti e tanti lustri
Che del nome di grande, e d'altro chiaro
Segno onorati sieno, e ognor nel petto
Dessero a gran' pensieri alto ricetto.
Fra questi pochi, o onor dell'età nostra,
O di valor, di vera gloria tempio,
O di ben fare esempio,
Splendete voi per l'alta virtù vostra.
Quindi è che 'l Pio pastor tanto cortese
Non sol fu a voi di cotal' don; ma ancora
A quei che sono e che giamai saranno
Eredi vostri, e 'l scettro in man terranno.
E ben conviensi, poi che già dimora
Quell'ardente virtù, per cui palese
Fate veder' vostre onorate imprese
Nel vero successor del sangue vostro
Degno d'ogn'alto e ben lodato inchiostro.
A lui 'l governo avete dato in mano
Di città e di provincie, e mari, e porti,
Giovane ancor, ma sopra gl'anni saggio.
Egli discerne le ragioni e i torti
Con vista grave, e con sembiante umano
Del nobil sì, come del vil lignaggio,
Simil'al sol, che luce col suo raggio
In basso e in alto, e in ogni parte scalda.
Quest'orme son de la paterna altezza,
Ove ha la pianta avvezza
Di posar come in base giusta e salda,
Del regnar' questi son gli accorti esempi
I quai maraviglioso il mondo ammira
Con bella invidia, e con soave scorno,
Et a ragion; poscia che quanto intorno
Distende l'ocean le braccia e gira
Non fu mai ne' moderni e antichi tempi
Chi 'l rio più distinguesse dal sincero,
E meglio conoscesse il falso e 'l vero.
La dotta Grecia, che si vanta e gloria
Di tanti savi suoi, che con le leggi
A molte patrie procacciar' salute,
S'avesse hauto voi dentro a' suoi seggi,
Dopo non l'era far d'altri memoria,
Ché di tutti è maggior vostra virtute,
In cui mirando, immantinente mute
Restan le lingue. Or non avete voi
Creato mille leggi, e dato norma
D'onesta vita, e forma
A varie e strane genti, non ch'a noi?
Non piglian Francia e Spagna e Italia tutta
Da voi consiglio, sì com'anco aiuto?
Non porgete voi loro armi e tesoro?
E Roma u' lascio e 'l suo purpureo coro,
Che s'è spesso per voi salvo renduto?
Nel qual' vittrice in la terrena lutta
Splende la stirpe vostra, che condutta
Vedremo un giorno, spero, a tanto pregio
Ch'avrà de' sacri onori il sommo fregio.
Fur' gli avi e padri vostri illustri e degni
D'ogni eccelsa fortuna; ma promesso
Avean tal' dono a voi stelle fatali,
A voi, signore, han tanto ben concesso
Nell'età nostra quei celesti segni
Per far che noi levassem' suso l'ali.
De' pensieri a bell'opre et immortali,
Che l'impara da voi chi ben le stima,
In voi fan le virtù vago drappello,
E com'in questo, e quello.
Una n'appare, o due; onde ben prima
Tornarà l'Arno vostro al proprio fonte
Che manchi il vostro nome, o che s'estingua
Tutti quei che fur' mai pregiati e rari,
O che saranno fien' di voi men' chiari.
Deh! avess'io come il mio voler' la lingua,
E le voci, e le rime ardite e pronte,
Che risonar farei la valle e il monte
Di vostre lodi; ma mia sorte vuole
Ch'io le mormori in semplici parole
Direi di voi fin' dalle fascie come
Dal padre vostro in voce alta chiamato
Ricolto fusto nell'ardite mani,
Né stelle fisse allor, né largo fato
Tenne cura di voi dal pie' alle chiome;
Ma chi 'l ciel regge; onde non pur fe' vani
Col suo poter, ma discacciò lontani
Tutti i perigli ch'a le picciol' membra
Né ferme ancor nuocer potevan forse,
Quando da sì alto scorse
Il corpo vostro, orrore a chi 'l rimembra.
Direi del grato conversare, onesto
Negl'anni giovenili, e dell'ingegno.
Del cuor sdegnoso d'ogni cosa vile,
E che 'l più generoso e più gentile
Non vide il sol, né giunse alcuno al segno
Dove giugneste voi, che sempre desto
Foste ad opre onorate, e pronto, e presto,
Indicij certi di trovare il guado,
Di passare ove or' sete a tanto grado.
Io cantarei che 'l quarto ancor finito
Lustro non era, che lo scettro aveste
De la bella città, che l'arno inonda,
E come la giustizia in man prendeste,
Prima il governo, e cominciaste ardito
Aver per lei al navigar seconda
Quell'aura, ch'or' vie più che mai v'abbonda,
E se, come sovente fa fortuna,
Che con virtù mal' volontier s'accorda,
Cieca ai buon' sempre e sorda
Gravi ingiurie v'ha fatto, e non pur' una,
L'alta vostra virtù, che fin' al cielo
Alzar vi vuol tutte l'ha rese vane,
E resolute in fumo, in nebbia, in polve,
E seguirei com'ora il crine avvolve
A la man vostra per seguir' lontane
Le vostre imprese con ardente zelo
Fin' al caldo maggiore, e al maggior' gelo.
Or se in voi con virtù fortuna è insieme,
Convien che 'l mondo v'ami e di voi trieme.
Signor, io lodarei l'ordini e i modi
Ch'avete dato, e con divin giudizio
Per fare altrui ragione al vostro tempo,
Per lo cui mezzo d'ogni inganno e vizio
Altri si tolga, si ritenga, e snodi,
Che fien' laudati infin che sarà 'l tempo
Raccontarci com'anco in breve tempo
Ridotto avete ad ogni piccol cenno
Via più bella milizia, e d'ogni sorte,
Nobile, saggia, e forte,
Che quei di maggior stato unqua non fenno,
La qual' non loda pure il re de' fiumi,
Che sì superbamente come al mare,
E quel già sì possente antico Tebro;
Ma Eufrate ancora e Tana, et Histro et Hebro,
E vostre forze omai son note e chiare,
Vivi del vostro onore altieri lumi,
A colui che i Cristiani e i lor costumi
Cotanto offende, e per voi resta indietro
Che non soggioga Italia, e Roma, e Pietro.
Contra questo tiranno, che la santa
Nostra legge disprezza, e che sol vive
Di rapine, superbo et orgoglioso,
Fondato avete in su le belle rive
Dell'arno e posto l'onorata pianta
Del tempio al santo martir glorïoso
Della chiesa di Dio, già in terra sposo,
La cui religïon di croce rossa
Porta per voi alla e verace insegna,
Che di lei solo è degna.
Quella virtù che far vermiglio possa
Del suo sangue per Cristo il mare e i liti,
E mille suoi forti guerrier già indietro
Respingon le rie genti, e ne fan preda;
Onde convien' ch'egli si roda e ceda,
Lassando d'ogni parte il mar quïeto.
Questi signor con voi si stanno uniti,
Ch'un vostro cenno che li chiami e inviti
Faran veder che l'Otomanno volta
Le spalle, e sua virtù resta sepolta.
Ma non potrei già dir con mille penne
Quanta industria, quant'arte e quanta cura
Ne' superbi edifitii ognor si veggia
Onde vostra memoria oblio non cura
Quel grande Augusto, che l'imperio tenne
Anni cinquantasei ne la sua reggia,
Con tanta gloria appena vi pareggia.
Ordinar veggio alti disegni et opre
Ovunque io miro, ovunque il passo muovo,
Per cui più ognor di nuovo
L'alto vostro saper maggior si scuopre.
In opra vostra son ben mille Apelli,
Mille Lisippi, e mille Fidii e mille
Inventor d'arti nobili e famose.
Questi le più segrete e più nascose
Opre degne ch'il cielo all'uom instille
Fanno palesi, questi con pennelli
Rendon viva, e con punte di scarpelli
L'imagin vostra, e li scrittor' l'interna
Virtù, ch'assai più val, faranno eterna.
D'imagini ornan' molti l'ampia sala,
Camere e loggie, e di mirabil fregi
Sì ben che nulla al ver' più s'assomiglia.
Miransi in maestate i volti egregi
De' vostri antichi, e come in alto sale
De' Medici la nobile famiglia
Ch'Italia e 'l mondo empie di maraviglia.
Fra l'altri illustri ivi si vede il vecchio
Cosmo, dal popul richiamato e accolto
Con dolce e lieto volto,
Far de la sua bontà lucente specchio
Ancora agli empi e fieri suoi nimici,
Onde Arno poi ne la grat'urna scrisse;
(Bel don), ch'ei fu de la sua patria padre.
Fur' infinite l'opre sue leggiadre,
E saggio sempre in ciò che fece e disse,
Ebbe, siccome voi, possenti amici
E fur' chiamati i giorni suoi felici,
A Dio pe' tempi infin' là dove atroce
Morte sostenne il Signor nostro in croce.
Quel gran saggio Lorenzo, e tanto fido
A la sua patria che d'andare elesse
Del re nimico in forza per salvarla,
Quivi com' uom' si vede a cui porgesse
E lode e premio da ciascun suo lido
Italia tutta, poi ch'in consigliarla
Si mostrò padre; onde ogni storia parla,
Splendonvi ancor per vie più alte insegne
E Clemente e Leon', con mitre e chiavi,
E con modi alti e gravi
La via del ciel par che ciascun' insegne;
Ma qual fulmine appar, qual vivo fuoco,
Qual nuovo Achille, anzi qual vero Marte
Il gran genitor vostro, altiero, invitto,
Cui cedon tutti quei di cui fu scritto,
Tanto alto in greche, od in romane carte.
Ahi! morte rea, che se tardavi un poco
Non era Italia e Roma preda e gioco
Del barbarico stuolo, e non sentiva
Tante percosse questa tosca riva.
La tosca riva, che per voi le piaghe
Sue antiche ha poi saldate, oggi quieta
Vi rende e dona eterne grate e lode,
Né pur ella è per voi gioconda e lieta;
Ma tutte l'altre rive amene e vaghe,
Che l'uno e l'altro mar vagheggia e gode,
Sentito il gran romor ch'intorno s'ode
Ovunque andate: ecco, ognun lieto grida,
Ecco il gran Duca di Toscana, et ecco
Parla e risponde ecco;
Ma in voce tal che par che canti e rida.
Austria gioisce, e si rallegra Spagna,
Francia fa festa, con le cui corone,
Col cui sangue real congionto siete.
Or' ogn'altro pensier tuffate in Lethe,
Che sol di gioia ognor non vi ragiona,
Dentro al petto nissun v'odia, o si lagna
Di voi, se dal ver (dir) non si scompagna,
Sepolta è omai l'invidia e ognuno a gara
V'ama, v'ammira e ad onorarvi impara
Chiunque alberga dal mar' Indo al Mauro,
E dall'onde più fredde a le più calde
Viene a rendervi onor, viene a lodarve;
Né son' queste, signor, fint'ombre, o larve;
Ma vere glorie vostre, intere e salde,
Degne d'esser accolte in bel tesauro
Degne di qual più sia pregiato lauro;
Onde non pur Gran Duca; ma vi chiama
Gran Re già il mondo, e tal' v'aspetta e brama.

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)
 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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