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La Bella Mano (191-200)

Post n°889 pubblicato il 22 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Bella Mano di Giusto de' Conti

CXCI

Ahi tempo speso, ahi pronti pensier vani,
Ahi lingua or muta, già sì ardita et franca,
Ahi occhi, ahi core, a cui giammai non manca
Piangere et sospirar presso et lontani!

Ahi lasso ingegno, ahi mie affannate mani,
Ahi mente vaga, che ancor non sei stanca
Di lusingar quella man bella et bianca,
Et far quegli occhi pietosi et umani!

Ahi passi sparsi tanto che i piè vostri
Infermi sono, et l' alma in grande errore;
Ahi penna, ahi carta, ahi mal locati inchiostri!

Ahi fugace speranza, che n' hai mostre
Fallaci ciance, ahimè mio dolce amore,
Perse son tutte le fatiche nostre.

CXCII

Il dì sospiro, et le lacrime ch' io
Per vergogna nascondo, a mille doppie
La notte io rendo, perché il cor non scoppie,
Che di dolersi ognor cresce il disio.

Et se talora di porle in oblio
Cerco, et dentro le stringo a coppie a coppie,
Di subito convien ch' io le raddoppie,
Come il pensiero alla cagione invio.

Onde il viver mi spiace per l' affanno,
Né spero mai trovar cosa altra alcuna,
Se non che a pianto et morir mi conforte.

Et perché amando bene alma ciascuna,
Ben more il corpo, anzi eterni si fanno,
Ognor più bramo et più chieggio la morte.

CXCIII

Doloroso mio cor, tu ti lamenti
Di me senza ragione et di costei:
Lamentati di te, poiché tu sei
Cagion tu sol di tutti i tuoi tormenti.

Allor che da disio mosso consenti,
Che gli occhi di costei per gli occhi miei
Penetrando là dentro ove tu sei,
In te scolpiti ognor mi sien presenti.

Che posso io poi, se non per maraviglia
Contemplar la incredibil sua bellezza,
Che a noi fa spesso infino il sole oscuro!

M' abbaglia sì della dolce vaghezza
Quando in me volge le radianti ciglia,
Che bene ho paradiso; altro non curo.

CXCIV

Amor, tu vedi che costei mi sdegna,
Et più non posso, et tu vuoi ch' io la segua:
Deh non, per Dio! ma i suoi pensieri adegua
All'animo suo altier dove disegna.

Per me ferma il più bel volto tua 'nsegna;
Di qui leva il mio cor che si dilegua,
Né spera mai aver pace né tregua;
Tanta superbia et crudeltà in lei regna!

Vogli de' tuoi suggetti una fiata
Crescendo il numer compiacer a doi,
Et trar me et forse altrui di grave stento.

Deh fallo, io te ne prego, ora che puoi!
Et se il servir mio poi più non t' aggrata,
Lassami in libertà, ch' io son contento.

CXCV

Passato è il tempo, Amor, che di me stratio
Per contentar costei tu far solevi;
Passata è la stagion che tu dovevi
Farmi beato, ond' io di te son satio.

Passato è il tempo, anzi non hai più spatio
Ad effetto mandar quel che volevi;
Persa hai la forza in me e 'l valor che avevi:
Fammi il peggio che puoi, ch' io ten disgratio.

Ch' io sono in libertà ; et quest' altera,
Crudele, ingrata, falsa donna, a cui
Di volontà mi fei servo fedele,

Rivolti ha i suoi pensier tutti in altrui,
Di ch' io non curo: ché il mio core spera
A miglior vento dirizzar sue vele.

CXCVI

Spento è quel fuoco che sì lungamente
A poco a poco consumando m'arse,
Et le bellezze che mi fur sì scarse
Forse dell' error suo tardi si pente.

Però che una più dolce e assai più ardente
Fiamma il benigno Arcier sopra mi sparse,
Tal ch' io sentii di subito cambiarse
Non pur mio volto, ma il core e la mente,

E innamorarmi d' un più gentil fiore,
Anzi d' un più bel viso et più perfetto,
Che mai natura e il ciel mostrasse in terra:

Apparso qui fra noi per mio rispetto,
Com' anco spero a trarmi di dolore,
Et pace darmi di sì lunga guerra.

CXCVII

La donna ch' io già porto in cor scolpita,
Che acceso di disio pregando adoro,
E in versi e in rime a mio potere onoro,
Per farla in l' amor mio ferma et gradita,

Ognor più co' vaghi occhi m' invita
A seguir l' alta impresa e il bel lavoro,
E il pronto lusinghier de' suoi stral d' oro
Rinfresca al cor la non mortal ferita.

Ché a mal mio grado volentier comenzio
A temer et sperar non so di cui,
Et piangendo cantar miei dolci affanni.

Che fia di me non so: sassel colui
Che tempra a' servi suoi mel con assenzio,
Et cangia il viso e 'l pelo innanzi gli anni.

CXCVIII

Col viso bianco, anzi pallido et smorto
Vo pauroso ove i begli occhi stanno,
Per fin che scorgo ben se a schifo m'hanno,
E il capo basso di vergogna porto.

Elli co 'l guardo benigno ed accorto
Più certo ognor del loro amor mi fanno,
Tal che ho 'l cor pien di dilettoso affanno,
Et di speranza tutto mi conforto;

Ringraziando i cieli e la natura,
Et più Cupido, et molto più ancor Lei
Che si contenta che per Lei sospire.

Languisca o mora, omai mio cor non cura,
Purché rimanga il titolo a costei:
Ché l'onor della vita è un bel morire.

CXCIX

Come in pigliarmi diversa maniera
Amore oprò, così ancor nuova legge
Usa, ch'or m'ammonisce, or mi corregge,
Or mi lusinga, or mi mostra aspra cera.

Questa mia mansueta et vaga fera,
Che sol co 'l guardo suo mia vita regge,
Et di quaggiù non ha chi la paregge,
Parmi ogni dì più grata et meno altera.

Con tutto questo il cor non si assicura,
Rimembrando fra sé prove altre molte
Del mio Signor, che a nessun fede osserva.

Fiamma amorosa in femina non dura,
Anzi in un punto si cambia più volte,
Se 'l tatto o il guardo almen non la conserva.

CC

Qual chi mai cose insolite et stupende
Sospeso guarda et poi si maraviglia,
Et spia, cerca, dimanda, et s'assottiglia,
Finché del suo disio parte comprende,

Questo m'avviene ognora che si stende
Mia vista in l'ombra delle vaghe ciglia,
Onde il cor di lassarmi si consiglia,
Et verso loro il cammin ratto prende.

Poi si ritien, perché non è ancor fido
Di là benignamente essere accolto
Ché vede usarsi al mondo di nuov'arte.

Così dubbio di sé, legato, et sciolto
Torna pien di vergogna al primo nido,
Dove non sta volentier, né si parte.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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