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La Bella Mano (101-110)

Post n°850 pubblicato il 18 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Bella Mano di Giusto de' Conti
 
CI
 
Solea per rifrigerio de miei guai
Vegliar le notti, et disiar l'aurora;
Ma già conosco lasso che quell'ora
Mi è più noiosa, che la sera assai.

Et più spietato Apollo perché sai
Come la notte, al dipartir mi accora,
Più tosto il giorno ne rimeni allora,
Perché da pianger non mi manchi mai.
 
Tu ne rimeni quel, che mi disface;
E il sol della mia vita a me s'asconde
Al tuo apparire, ond'io rimango cieco.
 
Misero me, che tanto ho qualche pace
Quanto la notte il dì cela fra l'onde,
Et la mia Donna sola stassi meco.
 
CII
 
Per gli occhi miei passò la morte al core,
Et da i begli occhi uscio
Virtù, che mi tien lieto nel dolore:
La gelosia, che del piacer si accese
Il dì, che io puosi me stesso in oblio,
Rinova nel mio cor l'antica pena;
Et da passate colpe sa dolerme;
Et con sì doppia forza al fin mi mena
La rimembranza delle amate offese,
Che fa dogliose le mie posse inferme,
Et di dolce paura un bel disio.
Né spero mai che Amore
Prenda pietà del lungo pianger mio.
 
CIII
 
Quando la sera per le valli aduna
Del velo della terra la sparsa ombra,
E il giorno a poco a poco da noi sgombra
Il Sol, che fugge, et dà loco alla Luna,
 
Pensoso io dico allor: Così fortuna,
Lasso, di mille doglie il cor m'ingombra,
Così la luce mia, che l'altre adombra,
Celandosi, mia vita, e il mondo imbruna.
 
Et maledico el dì, che io vidi in prima
Tanta dureza, et quel fallace sguardo,
Che al cor m'impresse la tenace speme:
 
Così i miei danni mi rammento al tardo,
Quando più m'arde l'amorosa lima,
Che il resto del mio cor convien che sceme.
 
CIV
 
Alma gentil, ch'ascolti i miei lamenti
Al suon de ardenti et gravi miei sospiri;
Alto valor, che dentro et fuor mi miri,
Et vedimi nel foco et sì il consenti:
 
O divino intelletto, che odi e senti
Quai siano et quanti, tutti i miei disiri:
O lubrico desir, che anco mi tiri
Per forza a riveder gli occhi lucenti:
 
O speranza infinita: o cor mio stanco:
O perfido costume, che dinanzi
Pur mi figuri l'ombra del bel guardo:
 
O venenoso stral, che il lato manco
Per man di Amor per mezo il cor mi avanzi,
Quando uscirem del foco, ove io tutto ardo?

CV
 
Lass'io, che Amor li passi intorno intorno
Sì m'ha richiusi, et reti tante sparte
Contra mia vita, che né via ned arte
Io veggio, ond'io ritorni al bel soggiorno.
 
Se io m'allontano dal bel viso adorno,
Che un Sole è agli occhi miei, dal cor si parte
Mia vita affatto; et poi, se in qualche parte
Mi si dimostra, al foco allor ritorno.

Così tra due convien che Amor mi strugga,
Amor, che a sì gran torto pur si pasce
Dei miei tormenti, et vive di mia morte:
 
Né val che nanzi all'ale sue già fugga;
Tal fu il mio fato dalle acerbe fasce,
Tal mio destino, et tal mia cruda sorte.
 
CVI
 
Quanto più m'allontano dal mio bene,
Seguendo il mio destin, che pur mi caccia,
Tanto più Amor con nuovi ingegni impaccia
Mio corso, volto a più beata spene.
 
Or qui le guance più che il ciel serene;
Or qui gli ardenti lumi, onde mi allaccia,
Pur mi dipinge:or qui l'ardenti braccia,
Onde a gran torto morte il cor sostene.
 
Io sento ad ora ad or soavemente
Parlar Madonna sola fra le fronde
Di questi boschi inospiti et selvaggi:
 
Veggio quel maggior sole, che mi si asconde,
Levar con l'altro insieme all'Oriente,
Et abagliarlo con più vivi raggi.
 
CVII
 
Selva ombrosa aspra e fiera,
Dove fuggendo, Amore
Mi apparse innanzi leggiadretto et vago.
Con l'amoroso Albergo del mio core,
Rasserenato dalla luce altera
Di quella umana fera
Di che pensando sol meco mi appago:
Et l'una et l'altra insieme dolce imago,
Che io vidi col pensier che in gli occhi luce,
Alto valor mi induce
A dir quanto per me si aduopri, et pensi,
Che gli ostinati sensi
Rivolgono il suo duro effetto altrove,
Dove pietà si trove:
Né posso per mio ingegno levar dramma
Di quel saldo voler, che sì m'infiamma.
Io penso ad ora ad ora:
Se è morta ogni speranza
Che mai veggian questi occhi quel bel viso,
Non so per che il desir, che ogni altro avanza,
Che nacque d'essa, et lei manca, non mora;
Anzi crescendo ogni ora,
Dal cor mi scaccia ogni altra gioia et riso:
Ma pensi un poco come egli è diviso
Per tanto spatio dal maggior suo bene,
Sì che vana è la spene
Che il nostro mal risaldi per sua pace:
Poscia un pensier fallace
Quando rivolge tanto il danno è grave,
Con sue ragioni prave
Aguaglia la speranza all'empia voglia,
Che d'ogni bel riposo l'alma spoglia.
Ben so che sì bel piede,
Né d'occhi sì bei rai,
Né d'or sì bei capelli al vento sparsi,
Né ingegno, né natura non fe' mai,
Come quel dì, che d'altra cura sciolto,
Fra i lacci d'oro avvolto
Io vidi vivi vivi ond'io tutto arsi.
Ma che giova, alma trista, ardente farsi?
Che a questo ancor passata è la stagione:
Et la poca ragione,
Che già ti prese et tenne, ancor t'invita,
O fonte di mia vita,
Faville accese in quel vezoso giro,
Mirate il mio martiro;
Et come in pianto la mia vita passo;
Et dogliasi di me ch'io son già lasso.
L'alta piaga et mortale,
Con l'angoscia noiosa,
Per che piangendo gli occhi miei son stanchi,
(Non basta a me sottraggia ogni altra posa)
Contende al mio dir sì, che a me non vale
Parlar del dolce male
In guisa tal, che nel mezo non manchi:
Con tai due sproni punge gli miei fianchi
Che a forza al duol si voltan le parole;
Onde son triste et sole,
Et mal s'accordan le mie note insieme:
Perché parlando geme
Il cor piagato: et s'io torno alle rime
Poi, mille et delle prime
Già per la doglia mia posto ho in oblio,
Tanto m'ingombra et preme il dolor mio.
Freschi et lieti arboscelli,
Amor, Madonna, et tu vago concetto,
Poi che nel tristo petto,
Cercando per fuggir vie, più di mille,
L'angeliche faville
Fatto han mortale il bel foco felice,
Non posso più se contrastar non lice.
 
CVIII
 
La bella et bianca man, che il cor m'afferra,
Per mille strade ognior di riva in riva
Mi si fa incontro pur sì altera et schiva,
Quale era al cominciar di tanta guerra.
 
Così lontan dalla felice terra
Mi vien seguendo come cosa viva
Questa, per chi convien che sempre scriva,
Se altra pietà per forza non mi sferra.
 
Né veggio a mezo dì sì fatto il sole,
Né ascolto suon di queste gelide onde,
Né vedo in questi boschi fronde in ramo,
 
Che nanzi non mi sian le chiome bionde,
E il viso lieto; et senta le parole
Di quella mia tiranna, che io tanto amo.
 
CIX
 
A Francesco Filelfo (?)
 
Francesco, quante volte al cor mi rede
La vista, che mia vita fe' dolente,
E il riso che m'impresse nella mente
L'aspettato soccorso di mercede,
 
Io sento del cor mio far nuove prede,
Et d'altretanto foco l'alma ardente,
Et rinovar l'angosce antique spente,
La voglia, la vagheza et la mia fede.
 
Così in un punto l'alma si rinfiamma
Et spegne, poi che vede ogni speranza
Mancare in tutto al suo lungo disio.
 
Et veggio ben, che dura rimembranza
Destando va la tramortita fiamma,
Accioché nulla manchi al furor mio.
 
[Poesia]
 
Angiolo Galli a Giusto
 
Piangi misero, lasso, ch'hai ben donde
Ché vivi senza la tua dolce vita:
Un geloso pensiero ognor m'invita
Col pianto a crescer Pado et le salse onde.
 
Chiamo dì e notte, ma non mi risponde,
Colei, che in mezzo al cor tengo scolpita:
Ben fu spietata e dura la partita,
Che me tien quivi, e la mia vita altronde.
 
Ma poi che pur dal pianger vegno meno,
Parmi ch'alora quella santa mano,
Rasciugando le lagrime del volto,
 
L'alma partita la rimetta in seno;
Et se ha cotanta forza un pensier vano,
Pensa che fora tra le braccia accolto.
 
CX
 
Risposta di Giusto
 
Quel tuo bel lamentar, che mi confonde
Fra l'alto stile, et la pietà infinita
Raccesa m'ha la fiamma tramortita
Delle mie piaghe infino al cor profonde:
 
Che benché l'ombra delle trecce bionde
Talor mi rinfrescasse la ferita
Pure era agli occhi miei quasi sparita
La luce, che fortuna mi nasconde.

Però se gli occhi giro al bel terreno,
Rasserenato dal sembiante umano,
Che sdegno a torto et gelosia m'ha tolto,
 
Ritrovo di speranza il cor sì pieno,
Che l'alma trista avampan di lontano,
Come già presso, i raggi del bel volto.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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