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La Bella Mano (091-100)

Post n°849 pubblicato il 18 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Bella Mano di Giusto de' Conti
 
XCI
 
All'ultimo bisogno, o cor dolente,
Che Amor sempr'arde, et ria ventura affrena
Colla sua propria man di nostra pena,
Fra i bei pensier d'amore alza la mente:
 
Convien, che i nostri guai con stil più ardente
Senta costei, del ciel nova sirena;
Malvagia che a morir mia vita mena,
Mia vita, che al morir cieca consente.
 
Io parlo lagrimando, et vo' che m'oda
Chi pria mi strinse sì che ancor non scioglie
Il laccio, onde al martire Amor mi guida.
 
Et chi della sua man tutto m'annoda,
Misero me, del lamentar mio rida;
Poi che d'amor trionfa, et di mie spoglie.
 
XCII
 
O dolce pena mia, dolce mio foco,
Che sì lontan mi struggi, et nanzi allumi:
O fera voglia, che il mio cor consumi
Sì che mi avanza a consumarne poco;
 
Deh, potess'io la voce al sacro loco,
Ove fan giorno quei due santi lumi,
Gittar co 'l pianto, onde questi occhi in fiumi
Son già conversi, et io son fatto roco;
 
Staresti, alma spietata, ancor sì fera?
Novella Deianira, che mercede
Disdegni, et d'ogni tempo pietà fuggi;
 
Che maledetta sia tanta mia fede,
E il cor, che in te sol, disiando spera,
Se lungi et presso mi consumi et struggi.
 
XCIII
 
La bella terra, ove me aggiunse Amore,
Et prese già con sì mirabile arte,
(Né vorrei che mia sorte in altra parte
Piegato avesse il tanto afflitto core).
 
Sempre mi è innanzi con quel dolce errore,
Che mi rimembra lasso a parte a parte
La guerra, onde io mi lagno in tante carte,
Et gli anni spesi indarno, e i giorni et l'ore.
 
Ma quando a quella parte giunger sole,
Che mi ricorda quel suave riso,
Et l'atto delle tarde sue parole,
 
Il cor fra tanto bene allor conquiso,
Quasi sdegnando meco star non vole,
Per gire al suo terrestro paradiso.
 
XCIV
 
O folti et verdi boschi, o fido albergo,
Campi fioriti, ombrosi et freschi monti;
O poggi, o valli, o prati, o rive, o fonti;
O fonti, o rive, in cui mi bagno et tergo:
 
Dolce piacer leggiadro, ond'io sempre ergo
A lei ciascun pensier, che al cor mi monti:
O caro sguardo, o capei biondi et conti.
Per ch'io lagrime tante, et carte aspergo:
 
Dolci contrade, o chiuse et chete valli,
Dove da me fuggendo il cor mio stassi,
Et dove co 'l disio la mente movo;
 
O bennati fioretti bianchi et gialli,
Che lei raccoglie et preme, o fiumi, o sassi,
Dove son gli occhi bei, che qui non trovo?
 
XCV
 
Or che dall'Ocean sorge l'aurora,
Et con l'umida treccia il mondo bagna,
Et seco Filomela pur si lagna
Sì che de i suoi lamenti altrui namora,
 
Tornami al cor Madonna, il tempo, et l'ora,
Che mai dal mio pensier non si scompagna
Quando fu presa all'amorosa ragna
Quest'anima, che Amor l'increspa e indora.
 
Così nel gran disio mi levo a volo,
Et tregua ho quando l'alba il ciel ne imbanca,
E il cor digiuno di speranza pasco:
 
Vien poi la sera, et io rimango solo
De miei alimenti, onde mia vita manca;
Così la notte moro, e il dì rinasco.
 
XCVI
 
Sacro, ligiadro, altiero, et puro fiume,
Che adorni il mio celeste et vivo sole;
Riva che senti talor sue parole,
Et miri gli atti vaghi, e il bel costume;
 
Aer felice, et tu possente lume
Che m'hai fiammato omai, come amor vuole;
Aer felice, donde volar suole
La mia finice dall'oneste piume,
 
Come si mena il corso antiquo in giri,
Così, sospinta dalla dolce guerra,
Dì et notte la mia mente par che corra
 
Colla fiera memoria della terra,
Che trarrà sempre dal mio cor sospiri
Infin che Morte per pietà soccorra.
 
XCVII
 
Quand'è la notte oscura et quando è il sole,
Allora alla tempesta, alla gran pioggia,
Mentre che il gelo vince il vago tempo,
Et poi che la stagion fa lieti i colli,
Sempre mi è innanzi l'amorosa luce,
Che in cor mi adombra quell'angelica alma.
Pria so che ne morrò, che la bella alma,
Che prende qualità dall'altro sole,
Men cruda giri in me l'altera luce:
Et nanzi i rivi scemeran per pioggia,
Et sfronderansi a primavera i colli,
Che mai costume cangi lei per tempo.
La nova meraviglia, che al mio tempo
Scese dal ciel, per consumar questa alma,
Et che mi apparve tra boschetti et colli,
Seguir mi fece il raggio di quel sole,
Che va struggendo in lagrimosa pioggia
Quel poco che mi avanza di mia luce.
Non vide il mondo sì possente luce
Mai, come questa che di tempo in tempo
Tira de gli occhi miei più folta pioggia:
Né sì leggiadra mai, né sì dura alma,
Come costei, vestita di quel sole,
Che mi riscalda a piè dei dolci colli.
Lasso, io dipinsi già per mille colli
L'angelico splendor di quella luce,
Che è sola agli occhi miei verace sole;
Ma poi successe l'infelice tempo,
Et d'ogni bel piacer privò quell'alma,
Che per questi occhi si rivolse in pioggia.
Se 'l mi giovasse al sole, et alla pioggia
Il sempre sospirar per selve et colli,
In far pietosa questa perfida alma,
Pianto lamento et sdegno di mia luce
Saria stata mia vita d'ogni tempo,
Da che sparisce et poi ritorna il sole,
Ma scenderà dal sole allor la pioggia
Et frondaransi al tempo duro i colli,
Quando a sì vaga luce acqueti l'alma.
 
XCVIII
 
Saran questi occhi ognior di pianger vaghi,
Et l'alma pur bramosa del suo ardore:
Temprar non ponno il foco del dolore,
Lasso, né pianti miei, né versi maghi.
 
Né d'altro il mio signor vuol ch'io mi paghi;
Né d'altro sparghin gli occhi il falso umore,
Che d'una luce, che m'ingombra il core;
Sì che pensar non so chi me ne appaghi.
 
Questa è la bella luce, che mi apparse
Là, dove corro sempre colla mente,
Qualora Amor mi assale, per mio scampo:
 
Questa è la bella luce, che il cor m'arse.
Et che m'infiamma ancor sì novamente,
Che omai cener son fatto et pur divampo.
 
XCIX
 
Tornami spesso in sogno, et di lontano
Mi viene a consolar l'alma felice:
A che pur piangi? sospirando dice;
Et lusingando prendemi per mano:
 
Misero, a che pur ti consumi invano?
Non sai che al tuo disio ragion disdice?
Et altro che a parlarne all'uom non lice,
Che soffrir nol porria concetto umano.
 
Onde io di tanti affanni prendo scorno.
Da poi s'adira, et mi conduce in parte,
Ove qual già mi si dimostra altera.
 
Ma alfin pur mi lusinga, et poi si parte,
Tal che io vorrei che mai non fusse il giorno,
Né men pietosa mai, né mai più fera.
 
C
 
Dolce et suave, et fido mio sostegno,
Che vuoi tu dirmi? giacché sì sovente
Torni a vedermi: o misero dolente,
Vien questo da mercede, o da disdegno?
 
O caro di mia vita et ricco pegno,
Deh, qual pietà pur mi ti reca a mente?
Deh, perché omai per me quel non si sente,
Se io son di udir le tue parole degno.
 
Che giova, pur rasciughi gli occhi miei
Con le tue mani; e in mezo il sonno sola
Teco ti parli, et te consumi et piagni?
 
Poi che fra mille voci una parola,
Lasso, no intendo ben quanto vorrei;
Né perché stando meco pur ti lagni.

 
 
 
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