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Rime inedite del 500 (XII)

Post n°840 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

XII

[1 Di Nicolò Amanio]

Del Amanio

Qual più saggie parole, o più secrete

Potran sì aperto dirvi il mio dolore?
Come voi dal timore,
Dal mio non saper dir, donna, il vedete.
E se vostro valor, vostra bellezza
Forse v'han gionto a tale,
Che al mio stato mortale
Vostro sdegno gentil mirar disprezza.
E s'io a mirar quegli occhi impallidisco,
Ed ardo, e l' ardor mio dir non ardisco,
Morte il fin del mio male
Serà; ché 'l core hormai tacendo more,
Se tanto con pietà nol soccorrete
Quanto più bella d'ogni bella siete.

[2 Di Nicolò Amanio]

Amanio

Dunque se i miei desiri,
Se le mie accese voglie
Questo ostinato stil vorran seguire,
Da possenti martiri,
Da le soverchie doglie
Mi converrà per voi, dama, morire?
Dunque, se mai uscire
Da sì alta impresa penso,
S'erge da quel pensiero
Il mio foco e più fiero,
E con forza maggior si fa più intenso;
Tal che se i' v'amo, i' ardo, e se per sorte
Penso lasciarvi, i' vo drieto a la morte.
Dunque che tu ch'in aspetto
Di tutto 'l ciel più strano
Guardast'il nascer mio, torbida stella,
Mi volesti interdetto
Tenir l'arbitrio umano,
Finché in tutto da me l'alma si svella.
Ch'io non posso di quella,
Onde mia morte viene,
Luce fugir' il foco;
E s'io la miro poco,
Veggio lontano il fin de le mie pene.
Iniquo ciel, novi aspri dolor mei,
Ch'io non posso voler quel che vorrei!
Ma, s'a volervi amare
I' manco in sì alto ardore,
E 'l volervi fuggir morte n'acquista,
Qual de tue pene amare
Prenderai, qual dolore
A uscir de queste membra, alma mia trista?
Dolce mia amata vista,
I' voglio nel bel viso
Morirmi risguardando,
Morirmi ardendo amando;
Ché se posso morir, mentre che fiso
Premo mirando que' begli occhi, allora
So ch'io morrò senza sentir ch'io mora.
Hor vedi, Amor, là dove
Gli occhi mortal di questa
Altera donna mia condotto m'hanno;
E quanto in me si move
Dolor, quanto si desta
Alto in quest'alma mia noioso affanno;
Che i miei pensier si stanno,
O ch'io mora in presenza
De' begli occhi lucenti,
E in quelle fiamme ardenti,
O, s'io vorrò fuggirle e viver senza,
Ch'io veggia a poco a poco uscirne in vita
Dagli occhi con le lagrime la vita.
Ah! che son gionto a tale
Ch'io non vorrei a pena
Cangiar questa miseria in altro stato.
Dolce mio, amaro male,
Da voi falsa sirena,
Da voi son, maga mia, sì trasformato.
Voi, e 'l destino, e 'l fato
De miei tormenti siete;
Altre stelle, altri cieli
Son altrui mortal veli,
Suo viver, sue passion piover solete;
Son gli occhi di costei le erranti e fisse
Stelle onde 'l ciel (le) mie doglie prescrisse.
Tu destinata adunque
Mia sorte, da begli occhi
Fa per ultimo don che almanco impetre
Che mai non venga ovunque,
Me posi, e mai non tocchi
Costei, dove io sarò, chiuse le pietre,
Ché, se mai fia che aretre
Mia doglia, ancor in tanto
Che dove i' sia sepolto
Senta apparir quel volto;
I' entrarò sotterra anco altro tanto
Per tema così morto de le false
Sue viste, de cui armato Amor m'assalse.
Canzon, s'ancor trema il mio seno, dilli:
Sgombritisi dinanzi ogni altra voglia;
Mori, che morte è il fin d'ogni altra doglia.

[3 Di Nicolò Amanio]

Del Amanio

La bella donna mia d'un sì bel foco,
E di sì bella neve ha il viso adorno,
Ch'Amor mirando intorno
Qual di lor sia più bel, si prende a gioco.
Tal è proprio a veder quell'amorosa
Fiamma, che nel bel viso
Si sparge, ond'ella con soave riso
Si va di sue bellezze innamorando,
Tal è a veder qualor vermiglia rosa
Scuopre el bel paradiso
De le sue foglie, allor che 'l sol diviso
Da l'oriente sorge il giorno alzando;
E bianca sì come n'appare quando
Nel bel seren più limpido la luna
Sovra l'onda tranquilla
Ch'i bei tremanti soi raggi scintilla.
Sì bella è la beltade ch'in quest'una
Mia donna hai posto, Amor, e in sì bel loco
Che l'altro bel de tutto 'l mondo è poco.

4 Di Nicolò Amanio]

Quelle pallide, angeliche vïole,
Colte per mia ventura in paradiso,
Qual con candida mano e dolce riso
Donast' a me, piene di grazie sole,

Sono in l'anima mia con le parole
Soavi impresse e 'l vostro lieto viso,
Ch'han me da me dolcemente diviso,
E moro d'una morte che non duole.

Sì come i fiori alla stagion megliori,
Vaghi e belli si fan(no), così a voi lice
Nel freddo tempo mantener' i fiori.

Ed io, vostra mercè, lieto e felice
Il don terrò finché in me fien gli ardori,
Benché un tal don a me par non sia lice.

[5 Di Nicolò Amanio]

Tosto che in questa breve e fragil vita
Il mio bel sol d'ogni virtude adorno
Apparve, tutti i dei ebbe d'intorno
Ed ogni grazia parimente unita.

Questa, dicea ciascun, dal ciel gradita
Pianta da me vien prima e questo è il giorno,
Ch'io l'ho produtta e che a vederla io torno;
Così lite fra lor nacque infinita.

Vener' intanto un dolce bacio prese
Da l'angelica bocca, e poi rispose:
Questo chiaro farà nostre contese.

Allor fiorirno le vermiglie rose
D'ostro celeste, sì polite e accese
Ch'Amor per starvi sempre vi s'ascose.

[6 Di Nicolò Amanio]

Amanio

Ben mi potea pensare
Che tor me la dovea a tempo, a luoco,
Perché ogni extremo sole durar poco.
Extremo era il mio ben, che d'ora in ora
Da madonna avev'io, un sì cortese,
Sì uman, sì dolce e sì grato ascoltarmi.
Or poss'io ben lagnarmi
Che da me solo hormai saranno intese
Queste dolenti mie parole ognora.
Deh!, dolor mio crudel, fa almen ch'io mora
Nanti che veder mai
Quel ch'io so che vedrai.
Ma questo è il mio dolor, questo è il mio foco
Ch'io l'uscirò di mente a poco a poco.

[7 Di Nicolò Amanio]

Amanio

Se per forza di doglia
Di vita un uom si spoglia — la mia vita
Dal duol fu tronca in questa dipartita.
Ché partendo da voi, dolce mio bene,
Ogni riposo, ogni diletto e gioia
Le fia converso in sì feroci pene,
Che dopo del ritorno fuor di spene
Far non potrà che di dolor non muoia.
Deh! vivace dolor, fa che veloce
M'uccida; ché se aspetti al dipartire,
Fia allor cotanto atroce
Il duol, ch'io non potrò di vita uscire,
E con doppio martire
Io morrò poi per non poter morire.

[8 Di Nicolò Amanio]

Già mi fu un tempo i cieli e la fortuna
Prosperi, sì ch'io vivea in alto seggio
E hor transcorso ognor di male in peggio,
E volto è in mio contrario sole e luna.

Ora ogni fato iniquo in ciel s'aduna
Per farmi guerra, e indarno aiuto chieggio;
O sventurato e miser me, che deggio
Far, se non pianger sempre in vesta bruna?

Da poi che morte ha scolorito il volto
Ch'a tutto il mondo già rendea splendore
Ed hammi il mio riposo in terra tolto.

Non penso mai che manchi il mio dolore
Fin che la terra in sé non m'ha sepolto,

E veggia la mia donna e 'l mio signore.

Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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