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La Bella Mano (061-065)

Post n°781 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

La Bella Mano di Giusto de' Conti
 
LXI

Non porrà mai con tutta sua durezza.
Questa selvaggia, o con più rea sembianza,
Levar dal petto mio l'alta speranza
Che già fermata è sì, che nulla apprezza.
 
Ben può suo sdegno insieme et sua vaghezza
Disfar di me quel poco che ne avanza;
E il resto di mie spoglie in la bilanza
Tener tra vita et morte in tanta asprezza.
 
Ma per ritrarmi dall'ardente laccio,
Indarno ver di me si mostra dura,
Da tal benigna stella vien mia sorte.
 
Dico l'errante fera, che ognior caccio,
Leggera et sciolta sì che nulla cura,
Di sua beltà superba et di mia morte.
 
LXII

Solo fra l'onde senza remi o sarte,
A meza notte priva d'ogni luce,
Mi trovo in picciol legno, et è mio duce
Errore et Caso, non Ragione et Arte.
 
Quando io son combattuto d'ogni parte
Un nuvol di sospir, che mi conduce
Vicino al mortal passo, al cor m'adduce
Cagion, ch'io mi lamenti in mille carte.
 
Et più pavento allor, ch'io mi ricordo
Che, stando dentro al legno ben non veggio
Come fortuna intorno mi minaccia.
 
Il mio fido soccorso è fatto sordo,
Morta è pietà per me dove la chieggio,
Chiuse ha mia speme le pietose braccia.
 
LXIII

Deh torci gli occhi dallo soperchio lume,
Anima dolorosa, che due stelle
Ti par la vista, che ti mena al fine,
Et pensa chi vien tosto omai la sera;
Sì che io già sento rinforzar gli venti,
Et la fortuna infin dentro del porto.
 
Ben fora tempo omai ridursi in porto,
Ch'io veggio intorno già sparito il lume,
Et al mio navigar turbati i venti:
Et le tranquille mie due care stelle
Mi stan celate in tutto, da la sera
Ch'io vidi al viver mio sì pronto il fine.
 
Di quinci lasso di mia vita il fine,
Quindi si mostra al mio soccorso il porto,
Et al pigliar consiglio vien la sera:
Ma sì m'abbaglia un dispietato lume,
Ch'io sprezo il segno di mie fide stelle,
Et la salute mia commetto ai venti.
 
Se mai s'acquetan gli turbati venti,
Sì che, venendo la tempesta al fine,
All'orizzonte sorgan le mie stelle,
Io scamperò fuggendo in qualche porto,
Nanzi ch'un'altra volta il maggior lume
Trapassi il monte, et torni l'altra sera.
 
Ma pria mi giugnerà l'ultima sera,
Che mai levar dall'Ostro senta i venti
Per isgombrare il ciel nanzi al bel lume:
Et prima Amor trasporterammi al fine,
Ch'io volga vela per ritrarme in porto,
Durando il corso delle crude stelle.
 
Se tanto a me nimiche son le stelle,
Che voglion ch'io sospir mattino et sera
Su l'onde errando et mai no arrivi a porto,
Movansi d'ogni parte tutti i venti,
Sì che una volta veggia trarmi al fine
Per non veder per gli occhi mai più lume.
 
Leggiadro et vago lume di mie stelle
Scorgimi a miglior fine innanzi sera
Con più suavi venti in qualche porto.

LXIV

Fra scogli in alto mar, pien di disdegno,
Colma ho la vela; e il sol già si nasconde;
Et solo mi ritrovo, et non so donde
Conforto aspetti omai per mio sostegno,
 
Non veggio lume in porto o stella o segno,
Non luna che le corna aggia ritonde,
Ma tenebrose nebbie, et turbide onde,
Et giunto al duro fin mio stanco legno.
 
In tanto, di me dubbio, disperando
Scorgo il maggior periglio, et lì m'avento
Per venir tosto all'ultimo sospiro;
 
Ma lei, che d'ogni ben mi tiene in bando,
Sostien ch'io non perisca in tanto stento,
Perché sia sempiterno il mio martiro.

LXV

Se l'alma non s'accorge dell'inganni,
Non posso lungamente omai soffrire:
Smarrita è l'arte, et manco vien l'ardire,
Et la ragione è morta tra gli affanni.
 
La guerra è lunga et crudel troppo, et gli anni
Men freschi, stanchi sotto il gran martire:
La spene m'abbandona, e il gran disire
Sempre più ardente trovo né miei danni.
 
Il cor che né sue imprese tante volte
Quante ne ardisce, è vinto da costei,
Talor si sdegna, et pur meco s'adira.
 
Così mi vivo, et non è chi m'ascolte
Dè miei pensier, che tutti son di lei:
Onde la mente a doppio ne sospira.

Giusto de' Conti
La Bella Mano

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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