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Il Dittamondo (1-23)

Post n°757 pubblicato il 08 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo
di Fazio degli Uberti

LIBRO PRIMO

CAPITOLO XXIII

Tal era giá in Africa Cartagine, 
che, per tema ciascun de la sua scopa, 
seguiva e onorava la sua imagine. 
E io di qua, ne le parti d’Europa, 
mi vedea tanto grande e tanto cara, 5 
qual donna a cui ogn’altra poi s’indopa. 
Or come sai che le piú volte è gara 
dove poder con gran poder confina, 
mosse guerra fra noi aspra e amara: 
ch’ella volea dominar la marina, 10 
guardar Cicilia, Corsica e Sardigna 
e ogni piaggia che m’era vicina. 
Per ch’io pensai: se costei s’alligna 
sí presso a me, il suo poder fia tale, 
che poco pregiar posso ulivi o vigna. 15 
Onde, per non voler vergogna e male, 
e sí per acquistar onore e pregio, 
la briga impresi, che fu sí mortale. 
Appio Claudio di gran valore fregio: 
tal me ’l trovai contro Annibale il vecchio 20 
e contro a Iero, che m’avea in dispregio. 
Ma poco apresso fe’ grande apparecchio 
questo Annibal e venne a le mie prode 
col ferro in man, col fuoco e col capecchio. 
Cornelio Asina uccise con sue frode; 
e, benché ’l soprannome non sia vago, 
non vo’, però, che ’l tegni di men lode. 
Oh quanto, rimembrando, ancor m’appago 
come con buon volere e gran fatica 
Duilio il sperse per lo marin lago! 30 
E quanto cara m’è, bench’io nol dica, 
de la sua sposa Iulia la risposta, 
che fe’ vèr lui, tanto onesta e pudica! 
E quanto ancor mi piace e mi s’accosta 
Lucio Scipio, quand’io penso ch’Annone 35 
uccise e cacciò i suoi di costa in costa! 
Da gente serva e vil, senza ragione 
una giura fu fatta per rubarmi; 
ma cadde il danno su le lor persone. 
Da notar degno Calpurnio qui parmi, 40 
ch’accorto fu in subito consilio, 
franco, sicuro e valoroso in armi. 
In questo tempo feci il gran navilio: 
Regulo e Manlio funno gli ammiragli 
fra gli altri eletti nel mio gran Concilio. 45 
Non dirò tutto, perché men t’abbagli 
il mio parlar; ma d’Amilcar costoro 
preson vittoria, dopo piú travagli. 
Con molti presi e con ricco tesoro 
Manlio a me tornò e Regul poi 50 
in Africa co’ suoi fece dimoro. 
Costui fu tal, che certo al dí d’ancoi 
il par non troveresti per virtute: 
dico nel mondo, non che qui fra noi. 
Sessanta e tre cittá con piú tenute 55 
prese ed uccise il gran serpente e rio, 
del qual poi vidi il cuoio pien di ferute. 
Qui pensa se fu degno che morio 
di crudel morte; e ciò sostener volse 
per mantener sua fé e l’onor mio. 
Per la vendetta, il mio senato sciolse 
Emilio e Fulvio, che la fecion tale, 
ch’Africa poi piú tempo se ne dolse. 
Allegri e carchi, senza niun male 
reddiano a me, allor che le bianche onde 65 
ruppe ’l navilio con vento mortale. 
Or qui ben puoi veder che non risponde 
ognor la fine come va il principio, 
come ogni albor non frutta che fa fronde. 
Sempronio ancora e Servilio Cipio 70 
tornavan di Cicilia ricchi e carchi, 
quando a Eolo spiacque ciò concipio. 
Per questi dubitosi marin varchi, 
ordinai io al piú per mar tenere 
sessanta legni, a guardar le mie marchi. 75 
Ma quella lupa, che non puote avere 
tanto, che giá mai sazi l’appetito, 
l’ordine ruppe a seguir tal volere. 
E perché forse ancor non hai udito 
del vecchio Annibal quello che ne avenne, 80 
sappi ch’el fu da' suoi morto e tradito. 
E Asdrubal tanto male si contenne 
contro a Metello Lucio, che, del campo 
fuggendo, ancor da’ suoi morir convenne. 
Ne la Spagna Amilcar l’ultimo inciampo 85 
de la vita sostenne e sí sconfitta 
fu sua gente, che poca ne fe’ scampo. 
Ahi, lassa!, come io fui allor trafitta 
ch’Atilio e Manlio rivolson la poppa 
contro a’ nemici, u’ la proda era ritta! 90 
E lassa!, ché sí il cuore ancor mi scoppa, 
quando ricordo il gran distruggimento 
di Claudio, che al dir la lingua aggroppa. 
Cosí allora allegrezza e tormento 
cambiavan me, come fa gente in mare, 95 
che ride e piange secondo c’ha il vento: 
ché, quando piú fioria per sormontare, 
di subito giungea nova tempesta, 
che ’l passo a dietro mi facea tornare. 
Ma tanta grazia al mio Lutazio presta 100 
il cielo allor, che ristorò le perde 
sopra Cartagine e con lieta festa 
la pace fe’, che poco stette verde.

 
 
 
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