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Meandri della mente: haiku

Post n°393 pubblicato il 20 Febbraio 2014 da valerio.sampieri
 

Mi sono occupato ripetutamente, nella caterva di miei blog che nascono e muoiono come funghi (a proposito: ad alcuni sembra che piacciano moto quelli velenosi, dato che costoro sono soliti dire "A me i funghi velenosi me fanno morì"), della poesia giapponese, ma sempre sotto il profilo dei waka o tanka, che costituiscono la quasi totalità del corpo delle 21 Antologie Imperiali e delle innumerevoli altre collezioni poetiche (ne ho contate oltre 900), realizzate sino al 15° Secolo all'incirca e, comunque, sino all'avvento di Matsuo Basho.
La lingua giapponese è basata su concetti e perciò l'indeterminatezza e l'antinomia costituiscono il nucleo della produzione letteraria giapponese: tutto è sfumato e le interpretazioni che possono darsi ad un waka sono spesso contrastanti, se non addirittura opposte l'una all'altra. Mentre i choka -le poesie lunghe- hanno forma libera, i tanka hanno una ben determinata struttura, essendo composti di 5 versi che contengono soltanto 31 sillabe distribuite nel seguente ordine: 5 nel primo verso e poi 7, 5, 7, 7. La struttura concettuale del linguaggio riesce ad ovviare alla rigidità formale del componimento. I temi sono, peraltro, sempre più o meno i medesimi, secondo la struttura della prima Antologia, il Kokin Wakashu: stagioni, amore, partenze, viaggi, religione oltre a temi vari che si alternano nelle varie opere.
Con Basho, la forma poetica diventa ancor più sintetica e l'haiku diventa la forma dominante di poesia: 17 sole sillabe suddivise in tre soli versi (5, 5, 7), dei quali i primi due sono per lo più puramente descrittivi, ed il terzo segna una decisa svolta, prevalentemente verso un moto interiore, svolgendo un concetto che si distacca nettamente da quello descritto nei due versi precedenti.
Mio cognato è un grande appassionato di haiku ed io gli ho sottoposto questo mio componimento, chiedendogli cosa ne pensasse. Conoscevo già la risposta che mi avrebbe dato: "Una boiata invereconda!".
Ma questo haiku non è stato composto a fini poetici, sia perché vi manca qualsivoglia afflato poetico, sia in virtù della non correttezza formale, dato che l'ultimo verso non si distacca gran che dagli altri ed è anch'esso puramente descrittivo, a prescindere dall'opinione di mio cognato che, per una volta in vita sua, ha detto una cosa sensata.

Boschi odorosi,
ombrose fronde ...
tremuli fiori immersi.

Quale è, perciò, il motivo per cui avrei composto questo haiku? Il motivo risiede in una particolarità non facilmente riscontrabile in sette parole consecutive in lingua italiana, munite di un senso più o meno logico, racchiuse in 31 sillabe. C'è chi ha fatto di peggio, estendendo analoga particolarità ad un racconto di 50.000 parole. Ma, in tale seconda ipotesi, più che di meandri della mente (per quanto un po' mattacchiona), sarebbe, anzi è, opportuno parlare di meandri della follia più totale.

 
 
 
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