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L'oscurità del futuro e la Storia

Post n°1281 pubblicato il 28 Giugno 2020 da fedechiara
 


28 giugno 2019 · L'oscurità del futuro e la Storia

Il 'museo del 900' di Mestre è costruzione magnifica a vedersi, degna di una metropoli da un milione di abitanti ( studio Sauerbruch Hutton – Berlino) e segnale che una città può riqualificarsi negli anni e cambiare radicalmente volto, - perfino nelle periferie industriali dei decenni folli che abbiamo vissuto e, sotto i nostri occhi allibiti di bambini, cresceva (e avrebbe inquinato spaventosamente l'intera laguna in un breve volgere di anni) l'orrore urbano e industriale di Portomarghera.

E passi per tutta quella oscurità che ti avvolge all'ingresso dei due piani dell'esposizione – giustificata dalla scelta espositiva di ricorrere agli audiovisivi e alle varie diavolerie digitali interattive; l'oscurità non è un male se ti puoi vedere dentro – dentro gli anni della nostra Storia, intendo, e rivedi i fermo-immagine degli interni/esterni della civiltà contadina che ci siamo lasciati alle spalle, forse un filo troppo didattici/scolastici per chi ha memoria del bel film 'Novecento' di Bertolucci.
Ma bisogna dire che ce l'hanno messa tutta, i curatori, per offrirci un buon prodotto di rivisitazione della Storia, a partire dal 'come eravamo' delle prime immagini all'ingresso, a grandezza d'uomo, che confrontano le fotografie degli uomini e delle donne degli anni Trenta e dei Cinquanta e i presenti e vivi – noi visitatori, mutati di quel mo' nel vestire, acconciare i capelli, invecchiare, spendere e abitare.

Ed entrano in scena i 'migranti', sempre loro, e i curatori buonisti ci vanno a nozze nel predisporre gli audiovisivi giusti dei nostri migranti veneti che partivano per il Brasile a mucchi, perché il Polesine era un brodo di coltura di miseria e malaria e le montagne venete un ricettacolo di pellagre e incurabili solitudini che sfociavano nella demenza – ho ancora negli occhi una bella mostra di qualche anno fa allestita al proposito nell'ex manicomio di san Servolo, che ospitò una mia ava.

Ma salta agli occhi, date le violente polemiche dell'oggi sulle modalità intollerabili delle presenti migrazioni (che si sostanziano di barconi e gommoni fatiscenti dei naufragi organizzati dai criminali 'scafisti' e le lotterie del mare e le o.n.g. taxi del mare che si prestano al trasporto dei clandestini che hanno comprato il gaglioffo biglietto vincente sotto le mentite spoglie del 'salvataggio in mare'), salta agli occhi, dicevo, il racconto che si fa di come partivano quei nostri avi migranti dal Polesine e dai monti – e si mostra la foto di un biglietto prepagato dal proprietario di una grande 'fazenda' e, di seguito, quei migranti ivi alloggiati decorosamente e messi immediatamente al lavoro: a seminare e raccogliere e stivare. 
Malissimo pagati, naturalmente, ma vivi e sani e figlianti la seconda generazione delle future metropoli e del lavoro diverso da quello dei padri/madri e ascensione sicura nella scala sociale dei futuri imprenditori e politici e avvocati e giudici del Brasile.
Per dire che i nostri avi emigravano in sicurezza (certo, non una crociera) su navi e piroscafi e 'su chiamata' degli imprenditori dei paesi ospitanti che necessitavano di manodopera a bassissimo costo. Un autogol dei curatori?
E ascoltiamo il racconto del ragazzino 'bangla' integrato nel quartiere Piave di Mestre che ci racconta allegramente del suo sentirsi italiano e bengalese insieme, e va a scuola e frequenta gli amici della sua comunità, per dire di queste nuove identità cittadine che riempiono gli autobus del trasporto urbano e che fatichiamo a digerire e dire 'belle' e tutte positive. 
E, forse, la scelta di dare parola a un membro giovane della comunità 'bangla' – la più apparentemente integrata, insieme ai cinesi - è funzionale all'agiografia che hanno in testa i curatori : di una società capace di metabolizzare agilmente il diverso e la diversità, ma l'impressione è che noi si viva una 'convivenza armata', invece; e l'eco delle stragi del Bataclan e della promenade des Anglais e dei mercatini di Natale a Berlino e altrove degli anni di piombo 2015/16 ci risuona sorda nelle orecchie della memoria a dirci che, davvero, non è tutto oro quel si vuole che luccichi in questa volonterosa esposizione del secolo in questione e il seguente.

Ma l'intenzione è buona, ne conveniamo, e il futuro è dietro l'angolo, oscuro e con sprazzi di luce, come le stanze della presente esposizione.

 

L'immagine può contenere: cielo, nuvola e spazio all'aperto

 
 
 
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