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« La salvezza del mondoA tentoni nella Storia »

Il paradiso puņ attendere

Post n°882 pubblicato il 30 Maggio 2019 da fedechiara
 

 

E il ritorno a palazzo Lezze, sede espositiva del padiglione dell'Azerbaigian, che più centrale non si può, (campo santo Stefano, Venezia) ci mostra che 'qualcosa è cambiato' in quel paese – e ci ricordiamo che, due anni prima, gli artisti e i loro sponsor politici e gli addetti culturali e i curatori ci parlavano di e magnificavano un paese privo di conflitti, paradiso in terra di convivenze possibili.

E oggi, invece, altri artisti di quel paese ci raccontano di un conflitto intestino, un ripiegamento, un incartarsi delle coscienze individuali nell'uso distorto di tecnologie che dovrebbero essere sempre liberatorie e diventano, all'opposto, schiavitù e teste dentro la sabbia del preteso Oltremondo della Rete, dove non tutto funziona come dovrebbe e niente va ben, madama la marchesa, - ad ascoltare quei tali, gente sinistra, che gridano alle 'fake news' e agli 'haters' e ai maledetti 'leoni della tastiera' (hic sunt leones) forse nostalgici dei tempi in cui esistevano solo loro e i loro autorevoli 'verba' : i maitre à penser e i professori, circondati da laudatores peripatetici e folle di discenti silenziosi e succubi.

E i manichini ciechi e sordi delle istallazioni hanno gigantesche molle che collegano i crani – e si suppone che vi transitino delle informazioni, sperabilmente importanti e significative, ma gli occhi dei comunicanti sono spenti e non vi è emozione, il solo condimento che dà sapore ai dialoghi e vivacizza i rapporti tra le persone e si costituisce a 'senso' e condivisione di 'umanità'.

Il paradiso può attendere. Da vedere.

L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi, scarpe e spazio al chiuso
L'immagine può contenere: spazio al chiuso
L'immagine può contenere: testo
L'immagine può contenere: spazio al chiuso
Viva l'Arte viva

Viva l'Arte viva (2) Ieri accadeva

Dobbiamo includere l'Azerbaigian nelle nostre rassegne-stampa quotidiane. Perché, a detta dei curatori dell'esposizione che gli artisti azerbaigiani ci mostrano a campo S. Stefano (palazzo Lezze), è il paese esemplare della convivenza possibile e del più pacifico melting pot che si dà sul pianeta Terra.
Verifichiamo la cosa e teniamolo in palmo di mano e indichiamolo ad esempio planetario, un tale paese felice. Perché l'affermazione del curatore (Martin Roth) è perentoria e ci stupisce per la sua perentorietà: 'L'Azerbaigian è un esempio assoluto di convivenza tollerante tra genti di culture diverse.' Perbacco.

La cosa va studiata e, di questi tempi, portata all'attenzione delle scuole europee di ogni ordine e grado e discussa con assoluta priorità nei parlamenti europei e nazionali che dovranno mandare i loro emissari nel paese asiatico per capire e vedere come si fa. 
Magari si scopre che non ci sono fiumi di profughi richiedenti asilo che premono alle frontiere azerbaigiane come da noi sul Mediterraneo e nei campi profughi della Turchia - e ci costano una fortuna in assistenza diretta (paghiamo la Turchia per la loro contenzione) e in quella indiretta delle carceri che ne ospitano un buon numero; e i rimpatri dei non aventi diritto sono ostacolati e rimandati alle calende greche dai ricorsi giudiziari di primo e secondo grado. 
E magari scopriremo che in Azerbaigian non sono cresciute a dismisura le enclaves islamiche con moschee a predicazione radicale incistate nelle periferie urbane delle loro città e l'integrazione laggiù funziona benissimo e possono insegnarci qualcosa, chissà.

L'Arte al servizio dell'esemplarità politica è una gran novità e ce ne rallegriamo e giuriamo di svolgere approfondite ricerche su questo paese magnifico nunzio di un grande futuro di pace e pacifiche convivenze sul pianeta Terra. Viva l'Arte viva che ci parla di politica e di società e culture diverse come si deve – ed esprimiamo voti che sia tutto vero, naturalmente.


 
 
 
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