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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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« Messaggio #156L'incipit letterario »

La mia città adottiva: Viterbo

Post n°157 pubblicato il 22 Maggio 2007 da bimbadepoca
 

Questo blog partecipa al gioco letterario ideato da Writer

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Se ne sta in disparte per scelta, discosta dalle grandi vie di comunicazione. Per arrivarci bisogna percorrere strade immerse nel verde, lunghe ferite nella vallata dei fianchi.
E sta lì, rannicchiata ai piedi dei monti Cimini, racchiusa nel morbido abbraccio delle sue mura. Un abbraccio di madre.

Viterbo è una signora di campagna trasferita in città, si è messa sul viso un po' di belletto, così quasi a caso, per darsi il contegno di una nobildonna.
Le piace mostrare i suoi averi passeggiando sul corso Italia, tra vetrine di lusso e banche e gioiellerie.
Le piace farsi osservare seduta sui divani bianchi, tirati fuori per la bella stagione, quando Piazza delle Erbe diventa un salotto accogliente.
E' un'esibizionista che non si perde nessun evento mondano. Le piace farsi vedere nell'unico teatro cittadino, quello che indica la piazza con il suo nome comune. E le piace mostrarsi al cinema, nelle quattro sale cittadine che hanno ancora le tendine rosse a far da cortina allo schermo.

Ma dà il meglio di sé nei grandi eventi di stagione, quelli che segnano la misura del tempo sul calendario.
La fiera dell'Annunziata ed il bailàmme per la festa di Santa Rosa, la santa patrona a cui ogni bimbo che nasce viene consacrato come un bocciolo di rosa.
Ed i facchini che si tramandano l'onorificenza di padre in figlio, orgoglio e vanto del sacro privilegio di essere prescelti a trasportare sulle proprie spalle una colossale "macchina" elevata alla credenza della fede.

Viterbo rimane una contadina dai modi bruschi e dal carattere diffidente. Accetta senza problemi gli stranieri, i turisti, i militari, gli studenti universitari, le troupe cinematografiche che costantemente l'omaggiano, per via di quel quartiere medioevale strappato alla Storia ed al passare del tempo.
Accetta ma storce il naso ed intanto allarga la borsa per intascare il denaro.

Viterbo è una vecchia comare, gelosa dei suoi secolari segreti, ma poi sa tutto di tutti perché è usa origliare dietro le persiane accostate. Ed ogni volta esulta e si segna con la croce per i piccoli scandaletti di provincia.
Ma non racconta a nessuno la storia della bella Galiana, quella ragazza d'indicibile bellezza che fu uccisa per il dispetto d'aver preferito agli ori di Roma l'amore di un giovane menestrello di paese.
Non racconta di quel mitico Ercole delle fatiche, che con un solo colpo di clava fece scaturire dalla terra le acque preziose del Bulicame. E non racconta nemmeno i misteri del suo passato etrusco, delle necropoli abbandonate di Castel d'Asso.
Non si svela Viterbo, è una guelfa fedele che ti ripete la tiritera dei papi.

Viterbo è una cuoca senza fantasia, prepara piatti semplici e robusti, con i prodotti del suo orto e l'olio del suo frantoio. E poi sorride sussiegosa dell'ignoranza agricola dei forestieri e si scandalizza quando viene a sapere che non sei capace nemmeno di tirare la sfoglia e fai la spesa al supermercato.
Ma come una madre bonaria, dopo averti redarguito, ti offre, dietro giusto compenso, le verdure del suo orto, l'olio del suo frantoio, la frutta dei suoi alberi ed il vino dei suoi vitigni.

Viterbo mi diverte per questo suo modo di fare, inconsapevolmente provinciale, ma proprio per questo mi piace, per quella sensazione di essere parte di qualcosa, come se le vie cittadine non fossero altro che un prolungamento della mia abitazione. Una città che diventa casa e che t'accoglie nell'abbraccio materno delle sue mura.

 
 
 
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