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Il diario di Nancy

Pensieri e storie tra il vero, il verosimile e l'inganno.

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Innamorarsi di Antinoo

Post n°272 pubblicato il 23 Maggio 2012 da bimbadepoca
 

Da qualche tempo sto frequentando molto assiduamente un uomo ma prima che cominciate a complimentarvi, felici che anch’io dopo tanto penare abbia trovato il meritato premio, lasciate che vi racconti questa storia.

L’ho conosciuto circa quattro anni fa a una riunione mondana. La maggior parte dei partecipanti era brilla e rideva sguaiatamente di doppi sensi stantii. Qualcun altro cercava di darsi un contegno parlando di vacanze esclusive col tono sussiegoso dei privilegiati. Altri ancora teorizzavano di politica e rivoluzioni e ancora oggi sono seduti sulle stesse poltrone. Lo ammetto mi annoiavo, e non vedevo l’ora di tornarmene a casa, ma poi ho visto quest’uomo seduto su un divano in disparte, non si guardava intorno, non si annoiava, stava lì sereno, semplicemente ascoltava la musica.
Aveva una bellezza particolare, non appariscente ma che si rivelava lentamente, solo osservandolo ti accorgevi che ogni dettaglio del suo viso era perfetto. Mi ricordava la statua di Antinoo, aveva lo stesso profilo, gli stessi riccioli che gli cadevano sugli occhi. Era sensuale in modo inconsapevole.

 

Presi al volo un bicchiere di sherry da un vassoio e mi avvicinai, mi sedetti al suo fianco, lui non si voltò, sembrava che non si fosse accorto della mia presenza, continuava ad ascoltare la musica con espressione rapita.
-Adoro questa canzone- dissi dopo poco, mentendo spudoratamente, perché era la prima volta che l'ascoltavo e manco sapevo chi la cantasse. Senza volerlo avevo toccato il tasto giusto, cominciò a parlarmi di accordi e sinfonie, di gruppi musicali sconosciuti ai comuni mortali, di artisti clandestini che si esibivano per un ristretto cenacolo d’intellettuali idealisti.
Io annuivo, fingevo di comprendere e approvare tutto quello che diceva, ma ogni sua parola mi era incomprensibile. Da vicino mi ero accorta di un’anomalia che sporcava la sua bellezza da statua. Era completamente strabico, e anche se avrei voluto specchiarmi nel cielo trasparente dei suoi occhi, evitavo di guardarlo, per paura che pensasse lo facessi per curiosità.

Probabilmente lui comprese fin dal primo momento che ero un’incompetente in materia musicale, continuò a parlarmi perché, in qualche modo, certi incontri ci sono predestinati. E quando capita lo sai, lo riconosci subito.
E’ cominciata così tra noi, telefonate, messaggi, lunghe mail in cui ci raccontavamo, a poco a poco siamo diventati amici. E abbiamo cominciato a incontrarci regolarmente a casa sua.

Umberto Utrillo è un pianista, già soltanto il suo nome è musicale, ti parla d’arte e colori, di poesia e d’assenzio. Passiamo interi pomeriggi al piano, lui suona ed io lo osservo, somigliamo a Schroeder e Lucy, lui compone perso tra le sue note ed io, sospiro.
Quello che suona non è bello, è eccezionale, ogni volta che lui pigia sui tasti, per me il tempo si ferma, chiudo gli occhi e mi manca il respiro, alle sue note provo un senso di malinconico dolore.
I primi tempi ho cercato di sedurlo, come Lucy mi sdraiavo sul pianoforte e tentavo avances alternando goffaggine e ironia.
Intuivo che le sue composizioni erano dichiarazioni d’amore e sapevo pure che non erano per me. Ma lui mi faceva riascoltare passaggi e ottave spiegandomi che ero stata io a suggerirgliele, che anche se non lo sapevo, ero un personaggio molto evocativo. Che lui componeva tantissimo inspirandosi a me, ed io riascoltavo cercando di capire in quale nota ci fosse nascosta una parte di me.
Finché un giorno, dopo due anni in cui ha imparato a fidarsi, l’ha confessato, me l’ha detto per caso, tra una nota, uno sberleffo e un tentativo di seduzione, sì, aveva una relazione stabile da diverso tempo.
E a differenza di tutti gli uomini che avevo conosciuto, non mi ha regalato la solita manfrina della moglie orchessa. No, mi ha parlato di questa persona con toni delicati, con tenerezza struggente e mentre lo faceva il suo viso si è illuminato di uno dei suoi sorrisi di miele.

Abbiamo continuato a vederci, ogni volta che si esibisce in pubblico, gli piace vedermi in prima fila, sembra che abbia bisogno del mio applauso, ogni volta che le luci si spengono e la musica parte, la cascata delle sue note entra in me con lo stesso incanto, la mia emozione rinnovata è la misura della sua bravura e del suo talento. E lui questo cerca.
E quando lo ritrovo nel retroscena, è stanco, scarmigliato e pallido come un convalescente, la musica per lui è dolore e sangue. Mi guarda e i suoi occhi storti mi confondono sempre, perché non so mai se guarda me o il muro.

Parliamo tanto, io più di lui, credo d’avergli raccontato la mia vita in ogni piega, gli ho raccontato di me, dei miei sogni e degli uomini sbagliati, Umberto ha raccolto ogni mia lacrima e mi ha fatto ridere. Mi ha smontato ogni storia e mi ha restituito delle caricature da cabaret al posto dei miei eroi.
-Tu sei una donna con più qualità di quelle che tu stessa credi, mi piace la tua curiosità travolgente e inappagabile, il tuo intuito, la tua voglia di arrivare alla verità, la tua modestia, la tua libertà-
Un’altra volta, invece, mi ha confessato che il mio modo di comportarmi è molto maschile, giuro che se una cosa del genere l’avesse pronunciata qualsiasi altra persona avrebbe ricevuto una capocciata sul muso, ma detta da Umberto so che è un complimento meraviglioso.


Sì, di quest’uomo  mi piace tutto, la malinconia compiaciuta, la timidezza, il suo modo inutile di essere tormentato, anche il suo sguardo strabico, perché è quello che avrei voluto sposare, l’unico per il quale avrei buttato alle ortiche tutti i vantaggi di essere zitella,  invece siamo soltanto amici come vecchie comari, perché Umberto è irrimediabilmente gay. 

 
 
 
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