Mondo Jazz

JAZZMI, ANCORA CONSIDERAZIONI ..


Ecco un altro articolo della serie "È Dell' Ava che traccia il solco, ma è Riccardi che lo difende" (come vedete cerchiamo di tenerci al passo con i tempi...).Scherzi a parte, vorrei aggiungere qualche considerazione su questa grande kermesse, in aggiunta e talvolta in alternativa a quelle di Roberto.Una premessa indispensabile: ad una coca cola nel deserto non si dice mai di no, non c'è salutismo o gourmandise che tengano. La manifestazione irrompe in un vuoto pneumatico della scena milanese, soprattutto in termini di apertura su quello che succede all'estero, sia negli States che in Europa. L'unica boccata di aria fresca in una stanza che sa molto di chiuso.Non si può certo rimproverare a JazzMi di essere quel che è, un ricchissimo, direi pantagruelico banchetto munificamente offerto 'una tantum' ad una platea di invitati tenuti a digiuno ascetico per tutto il resto dell'anno. In sintesi, dall'inedia alla congestione.Il richiamo al compianto Aperitivo in Concerto quindi rischia di portare fuori strada: quella era una stagione stabile che aveva creato un pubblico, aiutandolo a crescere gradualmente verso proposte sempre più sofisticate e inedite, spesso accolte dagli aficionados sulla fiducia nel 'marchio di fabbrica' di una rassegna che ha sempre seguito una linea precisa, coerente e leggibile. Questo è un lusso che a JazzMi non è consentito: a prescindere dalle sole due edizioni alle spalle, il Festival milanese (o romano? J) proprio per la sua occasionalità ed unicità deve necessariamente servire più platee con gusti, orientamenti e disponibilità all'ascolto molto differenziati. Non può quindi permettersi una 'linea' unica, né fughe in avanti su terreni largamente inesplorati. Del resto nel molto (direi anche nel troppo...) offerto, troviamo Art Ensemble of Chicago, John Zorn e Bill Laswell, Antonio Sanchez che non sono nomi che ricorrono di frequente nei cartelloni di tanti autopromossi e già consolidati festival estivi, cartelloni spesso e volentieri partoriti dall'intramontabile ciclostile. Anche nel gran fiume del mainstream si notano scelte non banali e di insolita ricercatezza (attenzione soprattutto a Marquis Hill e Christian Sands, ma anche le 'riscoperte' dei nostri Napoli Centrale di James Senese e dell'appartato Mario Rusca denotano gusto e memoria non comuni in tempi di stucchevole ed amnesica superficialità).I festival 'di tendenza' purtroppo presuppongono una base di pubblico omogeneo e consapevole (in città al momento assente o quantomeno da tempo disperso) e soprattutto un deciso, lungimirante e tenace supporto in fase di avvio da parte di sponsorizzazione privata e soprattutto di sostegno pubblico, entrambi purtroppo ormai inesistenti in città (tra i partner della manifestazione brilla l'assenza del Comune, nemmeno un platonico patrocinio). Milano 'città europea' surclassata dalle Cormons, Novara, Sant'Anna Arresi etc? Facciamocene una ragione, come si diceva tempo fa: magari il non rivelarsi all'altezza di certe supponenze può risvegliare un po' di amor proprio, chissà...Altra questione importante, già postasi nella precedente edizione. La densità del programma - compresso per di più in una decina di giorni - porta a delle sovrapposizioni che gridano vendetta. E' clamoroso (ma non unico) il caso del 6 novembre, che vede simultaneamente andare in scena in luoghi diversi ed alla stessa ora Zorn & Laswell, Jason Moran e Steve Kuhn, figure ciascuna a suo modo di primissima grandezza e i cui passaggi a Milano hanno la stessa frequenza di quelli delle comete. Se da un lato è molto positivo che il festival abbia adottato una struttura 'federale' ed abbia 'fatto sistema' con le realtà locali esistenti (che ne guadagnano in visibilità) , forse sarebbe stato il caso di richiedere a queste ultime la sensibilità di evitare controproducenti protagonismi ed autosufficienze individuali che si risolvono in un autentico gioco al massacro. Ma si sa, sin dai tempi del nostro aureo Rinascimento le faide di contrada hanno sempre la precedenza sui Lanzichenecchi che premono alle porte con tanto di licenza imperiale di saccheggio....  Infine, l'offerta di JazzMi non si esaurisce nella sola musica: anche quest'anno abbiamo una selezione di rari ed altrimenti pressocchè invisibili documentari di grande interesse, proposti ciascuno in due sole repliche in un Palazzo del Cinema da 10 sale....Raccomando a tutti anche le interessantissime conferenze di Claudio Sessa e Maurizio Franco sul jazz dell'anno 1968, che, celebrazioni cerimoniali a parte, rappresenta in effetti un punto di svolta che ha segnato l'inizio di un'autentica trasformazione genetica di questa musica. La serie si integrerebbe alla perfezione in "Body and Soul", la 'storia disinvolta del jazz' di produzione RAI cui tra l'altro hanno intensamente collaborato sia Sessa che Franco. Domanda per Via Asiago: una diffusione radiofonica in differita ed in podcast a beneficio di un pubblico più ampio no? Mi rendo conto, si tratta di attraversare la Linea Gotica su molti infidi viadotti... ma in Corso Sempione a Milano non c'è un bel palazzo con tanto di antenna formato grattacielo?Franco Riccardi