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Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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CANZONI, GENERAZIONI E NOSTALGIA CANAGLIA

Post n°4083 pubblicato il 23 Settembre 2018 da pierrde

 

Avvertenza: la lettura di questo articolo non è consigliata a trend-setters, politically correct, bipartisan, followers 'a prescindere' ed analoghi

Bene, vedo che non avete ancora premuto il tasto del 'parental control', quindi partiamo con quello che non pretende di esser un discorso argomentato e ponderato, bensì più che altro uno sfogo, forse animoso, ma alquanto accorato e spontaneo.

In una stazione della metropolitana milanese mi imbatto nel manifesto di cui alla foto che accompagna il presente pezzo. Quasi subito mi vengono spontaneamente alla mente una serie di considerazioni che mi sembra necessario condividere con voi, anche a costo di pestare qualche callo.

Nessuno più di me felice di vedere affacciarsi alla ribalta una big band (grande tallone d'Achille del jazz italiano, anche in passato), ma va anche osservato che questi debutti mi sembrano sempre più improvvisi e spesso effimeri. Se la dimensione orchestrale è diventata pressocchè proibitiva persino sulla scena americana, cosa dire di un circuito italiano infinitamente più modesto nelle dimensioni e nell'articolazione? Se risulta già difficile tenere insieme e rodare adeguatamente un quartetto od un quintetto, che dire di una big band che richiede lunghe e laboriose fasi di affiatamento, prove ripetute ed accurate? Per tacere della necessità di inserire tra le sue file con la dovuta calma solisti già maturi ed esperti, strappandoli a carriere solistiche di maggiore visibilità. Non parliamo poi della imprescindibile necessità di stabili e continuative occasioni di lavoro.... Quando poi il prezzo del biglietto veleggia intorno agli euro 50/60 (peraltro in un teatro da quasi mille posti, come nel caso), sugli esiti estetici si potrà anche discutere, ma lo standard professionale ed esecutivo deve essere assolutamente fuori questione.

Per fortuna questo fardello di preoccupazione pesa in buona parte sulle spalle degli organizzatori, che hanno l'ingrato compito di metter il piatto in tavola. Che la loro sollecitudine giunga addirittura ad influenzare le scelte di repertorio? Per carità, in modo discreto, senza ledere l'autonomia degli artisti.... Solo qualche suggerimento qua e là, dietro le quinte ed a sipario ancora chiuso, anzi a cartellone ancora da compilare. Ed eccoci qui davanti all'ennesimo tentativo di sposare linguaggio jazzistico e la sempiterna tradizione della canzone italiana, uno dei tanti intendiamoci.... Apro subito una parentesi: anche volendosi inserire in questo filone, mai che si veda un tributo ad un certo Bruno Martino, autore di 'Estate', l'unico vero standard italiano entrato spontaneamente nel songbook jazzistico internazionale. Oppure a figure che nello scorcio dei primi anni '70 hanno tentato avventurosi e spontanei innesti tra i suoni del jazz elettrico che arrivava d'oltreoceano e le nostre tradizioni locali, addirittura dialettali. Mi viene in mente il nome di James Senese e dei suoi Napoli Centrale, giusto per rimanere nella stessa area.... Eh no, a quanto sembra per esser 'tributati' bisogna avere al proprio attivo qualche 'disco d'oro' o telegatto che sia, e possibilmente esser trapassati lasciandosi alle spalle una schiera di inconsolabili orfani musicali, possibilmente ora alquanto 'agèe' (cfr. prezzi di cui sopra).

Ma qui l'inquadratura si sposta rapidamente dagli impresari (purchè non ci impartiscano lezioni di estetica con battute degne di un personaggio di Ionesco, vedi caso bolognese di qualche giorno fa) e dai musicisti di valore coinvolti (a cui vorremmo fraternamente ricordare che il talento disinvoltamente speso può rivelarsi anche una trappola micidiale: un esempio illustre, la parabola di Chick Corea). Anche per stornare l'accusa di sparare sulla Croce Rossa, veniamo a noi, il pubblico, l'ingrediente invisibile, ma essenziale, di questa precaria alchimia che è il jazz.

E' evidente che gli innumerevoli 'tributi' al mondo della canzone nostrana facciano leva sull'elemento 'nostalgia'. Andiamo giù di piatto: dove canta la sirena della 'nostalgia canaglia' per la bella musica della giovinezza, li non c'è il jazz, musica geneticamente contemporanea, la cui più vera vocazione e fascino consiste nel camminare sempre su un filo. Diversamente incombe inesorabile e letale la 'musealizzazione' del jazz, che rischia di esser 'usato' dal pubblico più ampio come semplice 'tappezzeria del salotto buono' dell'anima, come già accade ormai da decenni nel campo della c.d. 'musica colta'.

Che dire poi del connubio jazz/canzone italiana? Per me è quantomeno problematico già in llnea generale: l'agilità e la concisione essenziali nel jazz non si conciliano facilmente con una lingua che ha strutturali ampiezze e complessità. E qui parliamo dell'italiano relativamente limpido e classico dei nostri parolieri degli anni '50 e '60. Se poi veniamo ai testi verbosi e prolissi della canzone degli ultimi 20/30 anni, spesso molto 'parlata' e che si appoggia ad una lingua ormai largamente imbarbarita da incrostazioni burocratiche e gergali e costellata da neologismi pesanti ed artificiosi, l'impresa naufraga addirittura in partenza.

Salvo ammettere che, anche per radicata e lunga tradizione storica che risale almeno ad un paio di secoli, per noi italiani 'musica' è tendenzialmente sinonimo di 'canzone' o, in senso più lato, di musica vocale. Ed il fenomeno trascende di gran lunga l'ambito della musica popolare, come testimonia la triste sorte di tanta affascinante musica strumentale italiana del '900. Provate a chiedere al nostro inclito pubblico 'colto' se ha mai sentito nominare certi Casella, Malipiero, Dalla Piccola, gente che ai tempi 'si dava del tu' con Stravinskij ed ora è completamente scomparsa dalle locandine delle sale da concerto. Volendo farsene un'idea, non resta che una laboriosa ricerca di registrazioni inglesi, con orchestre inglesi, e magari con direttore italiano espatriato, biglietto di sola andata. Viceversa il jazz, specie nelle sue manifestazioni più dinamiche e proiettate verso il futuro, è una musica eminentemente strumentale (sia pure con sotterranei legami e derivazioni dalla vocalità).

A questo punto qualcuno potrà legittimamente concludere che nel Bel Paese la nostra musica sia destinata a rimanere tendenzialmente un fenomeno in qualche misura alieno e di nicchia: posso anche concordare, e la cosa non mi impensierisce minimamente, purchè la 'nicchia' non sia la cripta di una setta chiusa in sé stessa. Del resto, le cose migliori della nostra tradizione artistica e culturale ai loro tempi sono state invariabilmente bollate come 'pallose', 'intellettualistiche', 'estranee al Vero Sentire' del Paese, salvo poi rivelarsi ed esser celebrate poi a distanza di decenni come il suo specchio più fedele - anche se talvolta critico e tagliente. In tutta franchezza, poco mi pesa di non immergermi nella gran corrente del 'Nazional - Popolare': particolarmente con le sembianze che assume di questi tempi....

Scusino lo sfogo.

Franco Riccardi

 

 
 
 
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