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Mondo Jazz

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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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PUBBLICO DI IERI, PUBBLICO DI OGGI

Post n°4033 pubblicato il 14 Luglio 2018 da pierrde
 

E' ormai destino che io diventi il chiosatore ufficiale del collega Dell'Ava. Ma il suo recente post, nel quale si riportano lapidariamente le dichiarazioni di Carlo Pagnotta sulle metamorfosi del pubblico di Umbria Jazz mi sembra meritevole di ulteriori, espliciti approfondimenti, da non lasciare all'iniziativa ed all'intuito del lettore.

L'intervista nel suo complesso merita la massima attenzione, non foss'altro per il fatto che a parlare è colui che può a ragione esser definito il 'padre padrone' di Umbria Jazz, con tutte le responsabilità che ne conseguono. Chi ci segue dai tempi di 'Tracce' conosce benissimo la compatta posizione di questa redazione sul corso recente di questa importante e - ai suoi tempi - gloriosa manifestazione: molto significativa quest'unanimità, soprattutto ove si considerino la notevole diversità di inclinazioni e gusti musicali dei vari componenti.

Ma veniamo alle dichiarazioni di Pagnotta sul pubblico - o meglio sui pubblici - di Umbria Jazz. Innanzitutto il patron del festival merita dovuti complimenti. In un periodo in cui in commercio dilaga il cinismo più sfacciato e protervo, vedere qualcuno che si preoccupa di coccolare i suoi consumatori è cosa che scalda il cuore. Intendiamoci: questa attenzione è indubbiamente doverosa nei riguardi di un pubblico che mette mano alla carta di credito 'oro' per acquistare i biglietti da 50/80 euro che consentono di ascoltare le Lady Gaga ed i Mika in una arena estiva scoperta, in balia degli incerti metereologici.

Non siamo meschini, e quindi sorvoliamo sul fatto che questi spettacoli di gran rilievo commerciale finiscono di fatto per esser cofinanziati dalla mano pubblica attraverso un recente riconoscimento di rilievo culturale nazionale, che sarebbe stato giusto ed anzi doveroso (soprattutto considerate le rilevanti ricadute economiche) se non fosse arrivato 'alla memoria' di quel Umbria Jazz è stata  nei suoi primi decenni, un unicum culturale  di prima grandezza (e che è stato rapidamente riconosciuto come tale all'estero e soprattutto negli States e dalla comunità jazzistica). Oggi si tratta solo di un rivolo in più in quel fiume che sostiene i cachet certo non modesti delle vedettes che monopolizzano il palco dell'Arena Santa Giuliana. 

Quanto a quest'ultima, è senz'altro vero quel che osserva Pagnotta circa la difficoltà di riempire una struttura che ormai appare un autentico 'monstre' senza ricorrere a celebrità (a volte un po' impolverate...) che fanno facile presa su un pubblico 'generalista'. Da ex frequentatore del festival, però, mi limito a rammentare che di gigantismo spesso si muore e che non più tardi di sei-sette anni fa (già in piena crisi, dunque), ricordo di aver visto sfilare su quel palco Sonny Rollins, Herbie Hancock ed altri musicisti sulle cui credenziali artistiche e di continuità con una certa tradizione musicale nulla era possibile eccepire: non ricordo viceversa di aver notato posti vuoti, nemmeno sulle 'gradinate'.

Viceversa, nell'edizione di quest'anno siamo giunti alla paradossale conseguenza che di jazz di qualsiasi caratura e livello se ne ascolta proprio pochino, a parte Quincy Jones (che forse si sarebbe divertito di più con una delle bistrattate, ma collaudate big band italiane....). La cosa più dignitosa sul piano artistico rimane la serata brasiliana, che accanto ad un carioca autentico di grandissima levatura ne appare un altro... come dire? "postito"? su cui volentieri sorvoliamo con un sorriso. 

Nonostante le passate delusioni ed il crescente sconforto, tuttavia anche quest'anno ho esaminato programma e relativo listino prezzi del festival. Scartati i concerti di Santa Giuliana (non siamo all'altezza di comprendere le ardite contaminazioni che lì vanno in scena a beneficio del pubblico 'gold'...), qualcosa di interessante ed intrigante si nota, ma rigorosamente segregato e ghettizzato nella pur esteticamente  splendida cornice del Teatro Morlacchi.

Da ex frequentatore di questa mirabile Scala in miniatura, posso tranquillamente affermare che andare ad ascoltare un concerto in un pomeriggio di luglio in questa splendida 'bomboniera' priva di aria condizionata è una delle più grandi prove di amore per la musica che uno spettatore possa tributare, immergendosi per due ore in una fornace quasi sempre sovraffollata per capienza limitata. A proposito: ai miei tempi, i biglietti per il Morlacchi andavano acquistati almeno con un mese di anticipo, e non era escluso il rischio di trovarsi relegati in un angusto recesso del teatro.

Quest'anno, viceversa, ho notato che a pochi giorni dal concerto si rilevavano ancora apprezzabili disponibilità di posti in ogni ordine del teatro per il concerto del Vijay Iyer Sextet. Stiamo parlando di una formazione che per miracolosa unanimità della critica è stata riconosciuta come la punta di diamante della scena jazzistica odierna: a tutto onore dell'organizzazione, va altresì notato che il concerto era proposto ad un prezzo più che onesto, considerata la tournee transatlantica di un gruppo che raduna musicisti che singolarmente già risultano molto impegnati.

Si tratta di un strana circostanza su cui il direttore artistico dovrebbe riflettere: a mio avviso è il segnale del fatto che il pubblico 'hard core' di Umbria Jazz, quello 'zoccolo duro' stabile che per decenni ne ha assicurato non solo la sopravvivenza, ma anche il crescente successo, la sta ormai gradualmente disertando, cercando analoghe occasioni di ascolto in contesti meno 'glamour' e sacrificati. Ipotesi da ponderare con molta attenzione, anche da un mero punto di vista commerciale e di immagine.

Commovente è poi la lacrimuccia spesa da Pagnotta per i pubblici degli anni '70, naturalmente più naif, turbolenti e meno acculturati musicalmente rispetto a quelli muniti di carta 'gold' e che esigono le Lady Gaga, i Mika etc.... Tuttavia il nostro Direttore Artistico sorvola sul fatto che i saccopelisti di allora (sprovveduti quanto si vuole, ma che per la musica dormivano all'addiaccio...) hanno poi costituito la spina dorsale di una nuova generazione del pubblico italiano del jazz, consentendogli nei decenni '80 e '90 una fioritura sconosciuta in passato (sugli sviluppi più recenti, anche qui sorvoliamo....).

Quello stesso pubblico che, tenuto a balia dall'Umbria Jazz degli happening in piazza (a cui però jazzmen insospettabili di compiacenze gaglioffe hanno dedicato addirittura degli album....), ha poi sostenuto nei decenni successivi la manifestazione nelle sue edizioni più raffinate e coraggiose, quelle che hanno fatto la sua grande reputazione presso jazzmen di consumata professionalità, che non a caso facevano ben attenzione a presentarsi a Perugia con formazioni in gran spolvero.

Ma tant'è, accontentiamoci pure di una menzione 'alla memoria' per questo pubblico naif che purtroppo si è fermato alla musica da cocktail di Vijay Iyer e compagni, invece di evolversi sino all'altezza delle mirabili 'fusioni' in scena a Santa Giuliana. Tanto più che c'è da ritenere che questo pubblico sempliciotto abbia levato il disturbo da solo, forse per sempre.

Franco Riccardi

 
 
 
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